Le Tabelle Milanesi per liquidare il danno non patrimoniale
La mancata adozione delle Tabelle del Terminale di Milano (in foto) sulla liquidazione del danno non patrimoniale va motivata e va svolto un giudizio di congruità relativo all’uso di altri criteri, come le cosiddette “tabelle romane”. Con la sentenza n. 38077/21 depositata il 2 dicembre 2021, la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha riaffermato la preminenza “paranormativa” delle tabelle meneghine, una codificazione dei giudici in un’opera di sintesi dei vari parametri da applicare al risarcimento di quelli che, tra i diversi danni, sono di più difficile accertamento positivo: il danno biologico e quello morale (cioè le componenti non patrimoniali di quanto va risarcito al danneggiato).
Com’è ben noto, la materia è stata oggetto di oscillanti posizioni in giurisprudenza e dispute in dottrina. Poi, però, le Tabelle milanesi sul danno biologico sono diventate la pietra angolare per la liquidazione del danno non patrimoniale, con un sistema basato sui punti di invalidità che tengono conto tanto dei danni fisici e alla vita di relazione quanto alle sofferenze morali che ne derivano normalmente. Con possibilità di personalizzazione, come aveva domandato il ricorrente, vittima di un incidente stradale con compromissione della sua vita sessuale, che ha promosso l’azione in questione.
La Corte d’Appello decurta il risarcimento di un danneggiato vittima di un incidente stradale
Il danneggiato aveva citato in causa il responsabile del sinistro stradale di cui era rimasto vittima e la sua compagna di assicurazione per essere risarcito ma la corte d’Appello di Roma, nel 2018, in parziale riforma della sentenza di primo grado del 2016 del tribunale capitolino, accogliendo il gravame della controparte, aveva rideterminato in diminuzione l’importo liquidato dal giudice di prime cure.
Di qui il suo ricorso per Cassazione nel quale si lamentava il fatto che la corte territoriale si fosse limitata ad applicare “in modo del tutto illegittimo e generico” le “tabelle romane” finalizzate alla liquidazione onnicomprensiva del danno non patrimoniale, laddove invece l’uso delle Tabelle di Milano avrebbe nel suo caso comportato una liquidazione per il danno biologico e per quello delle sofferenze ad esso riconducibili pari ad oltre 90mila euro (almeno), contro i 48.752 liquidati dalla Corte di Appello di Roma per la componente del danno non patrimoniale.
Il ricorrente lamenta l’applicazione delle tabelle di Roma in luogo di quelle di Milano
Secondo il ricorrente, la Corte di merito aveva “immotivatamente” utilizzato le Tabelle di Roma senza procedere a compiere un’adeguata personalizzazione del risarcimento e non considerando anche l’aspetto dinamico relazionale del danno, anziché le Tabelle di Milano, il che avrebbe portato a riconoscergli un risarcimento per un’invalidità permanente pari a 18 punti tabellari che con adeguata personalizzazione sarebbe stata pari a euro 90.680.
A suo dire la Corte di merito avrebbe confuso in modo inammissibile il danno biologico-psichiatrico rilevato e liquidato in sede di consulenza tecnica d’ufficio con quella che è la componente del danno non patrimoniale relativa all sofferenze psichiche ed al turbamento interiore conseguenti alla particolarità del danno subito alla sfera sessuale. E, infine, si doleva del fatto che la Corte d’Appello avesse anche qui “immotivatamente” affermato che il giudice di prime cure sarebbe incorso in “errore materiale”, fornendo una motivazione per le sue decisioni del tutto apparente e dunque equivalente a quella “inesistente”.
Le tabelle di riferimento sono quelle di Milano
Per la Suprema corte i motivi sono fondati. “In materia di danno non patrimoniale – ribadiscono gli Ermellini -, i parametri delle “Tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti”.
Ne consegue dunque l’incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata a una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, “risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle “Tabelle” di Milano consenta di pervenire” proseguono i giudici del Palazzaccio.
In conclusione, nell’affermare, come aveva fatto, che “la valutazione del Tribunale, che ha recepito in toto l’accertamento tecnico appare esente dalla censura in esame anche sotto il profilo della percentuale applicata al fine di personalizzare la liquidazione posto che il riconoscimento di una percentuale in misura superiore che tenesse conto nuovamente della sofferenza psichica di cui sopra costituirebbe una non consentita duplicazione delle voci risarcitorie”, la Corte di merito, secondo la Cassazione, “ha disatteso il suindicato principio”. La sentenza è stata pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame della causa.