Quando non si applica la sospensione della causa civile
Con la Sentenza numero 13661 del 21 maggio 2019, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, chiarendo l’interrogativo sollevato, con l’ordinanza interlocutoria n. 27716 del 2018, dalla VI Sezione civile della Suprema Corte, hanno individuato i presupposti legali soggettivi di operatività della sospensione necessaria del processo civile di risarcimento del danno derivante dal reato, promosso allorquando nel relativo processo penale di primo grado sia stata già emessa la sentenza di condanna dell’imputato: una questione controversa e di assoluto rilievo.
Più precisamente, è stato richiesto l’intervento risolutore delle Sezioni Unite della Suprema Corte in relazione all’applicabilità dell’articolo 75 comma III del Codice di Procedura Penale allorquando venga proposto giudizio civile per il risarcimento danni a seguito di un incidente stradale nei confronti del responsabile civile e della sua compagnia assicurativa soltanto dopo la pronuncia di primo grado in sede penale.
Il caso
Nello specifico, gli Ermellini sono stati chiamati a decidere in merito alla proposizione di regolamento di competenza avanzato dalla moglie, dai figli e dai fratelli della vittima di un sinistro stradale avverso l’ordinanza di sospensione emessa, ai sensi appunto dell’art. 75, comma 3 c.p.p., dal Tribunale di Milano, secondo cui la sospensione necessaria doveva essere ordinata dal Giudice Civile quando fosse già avvenuta la costituzione di parte civile nel processo penale, ovvero se la parte danneggiata attendeva di promuovere l’azione in sede civile dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado non passata in giudicato.
In particolare, gli aventi diritto al risarcimento dei danni loro cagionati dalla morte del proprio congiunto avevano adito la giustizia civile nei confronti del proprietario e conducente del veicolo responsabile e dell’impresa assicuratrice del responsabile civile, successivamente, però, all’emissione di sentenza penale di primo grado, nel cui relativo giudizio solo i fratelli della vittima si erano costituiti parte civile.
La VI Sezione della Suprema Corte, invero, con l’emissione della suddetta ordinanza interlocutoria, aveva propeso per l’applicabilità della sospensione necessaria, sul presupposto di eliminare il rischio di statuizioni difformi tra il giudizio civile e quello penale. In sostanza, il provvedimento era evidentemente finalizzato a privilegiare l’interesse dell’imputato di potersi avvalere della sentenza definitiva di assoluzione a scapito, però, di quello del danneggiato a vedersi celermente riconosciuto il proprio diritto al risarcimento del danno. Ragion per cui, veniva prospettata la necessità di prevedere la sospensione della domanda proposta in danno dell’imputato, in caso di litisconsorsio facoltativo, e la sospensione di tutto il processo in ipotesi di litisconsozio necessario.
Il principio dell’autonomia dei giudizi civile e penale
Con la citata sentenza n. 13661 del 21 maggio 2019, la Suprema Corte a Sezioni Unite mette subito in chiaro come il legislatore del 1988 abbia sicuramente privilegiato il principio dell’autonomia dei giudizi a scapito di quello di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, favorendone la speditezza e la sollecita definizione e scoraggiando la persona offesa dal reato ad ivi esperire la propria azione.
“La disposizione di cui si discute – recita la sentenza – è frammento dell’ampia e articolata disciplina dei rapporti tra processo civile e processo penale, radicalmente rinnovata dalla riforma del codice di procedura penale, e va dunque interpretata alla luce del microsistema prefigurato dal legislatore per il raccordo tra i due giudizi. Il codice del 1988 ha ripudiato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quello della parità e originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e dell’autonomia dei giudizi (tra varie, Cass., sez. un., 11 febbraio 1998, n. 1445 e sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768)”.
E’ evidente, infatti, l’intento del legislatore di disincentivare la proposizione dell’azione civile nel processo penale, allo scopo di liberare il giudice penale dall’esame di questioni che non abbiano alcuna connessione in merito all’esame sulla responsabilità penale dell’imputato.
“Il danneggiato – chiarisce il pronunciamento – è incoraggiato a evitare la costituzione di parte civile e a promuovere la propria pretesa in sede civile, anche per poter sfuggire agli effetti del giudicato di assoluzione dell’imputato-danneggiante”.
L’esigenza di accelerare i processi
Allo stesso modo, l’esigenza del legislatore ad assicurare la rapida conclusione del processo penale risulta ancora più evidente se solo si esaminino i disposti di legge. Il disposto dell’art. 75, comma 1 c.p.p., infatti, pone quale sbarramento al trasferimento dell’azione proposta in sede civile nel processo penale, la pronuncia di sentenza di merito anche se non passata in giudicato; il disposto del primo comma dell’art 652 c.p.p. statuisce come la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento abbia efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile per il risarcimento del danno promosso dal danneggiato, sempre che la persona offesa dal reato si sia costituita o sia stata posta nelle condizioni di costituirsi parte civile, salvo che, ai sensi dell’art. 75 comma II c.p.p., esercitata l’azione in sede civile la stessa non sia trasferita nel processo penale o la stessa sia iniziata allorquando non è più ammessa la costituzione della parte civile.
In definitiva, dunque, sentenziano gli Ermellini, il favore per la separazione dei giudizi comporta l’accettazione del rischio di difformità dei giudicati ai quali i giudizi separati conducono.
“Si apre per conseguenza alla possibilità di contraddizione – logica, non pratica, in considerazione della diversità di oggetto dei due processi – tra le due decisioni relative alla responsabilità dell’imputato-danneggiante (ne prende atto Cass. 17 febbraio 2010, n. 3820, richiamata, tra varie, da Cass. 22 giugno 2017, n. 15470). In questo microsistema, allora, il valore dell’uniformità dei giudicati su cui punta l’ordinanza interlocutoria diviene recessivo”.
I presupposti di applicabilità della sospensione necessaria del procedimento civile
Pertanto, al fine di individuare i presupposti per l’applicabilità dell’art 75, comma III c.p.p. non si può considerare né l’esigenza di evitare il rischio di conflitto tra giudicati ai quali i giudizi separati potrebbero condurre né, tantomeno, l’obiettivo del legislatore ad incoraggiare la proposizione dell’azione civile nella sede propria.Vero è infatti che, ai fini della sospensione necessaria ex art. 75, comma III c.p.c. è rilevante che, salvo quanto previsto dal secondo comma di detta disposizione, la sentenza penale possa esplicare efficacia nel giudizio civile, così come si evince dall’art. 211 disp. att. c.p.p., secondo il quale la sospensione necessaria del processo civile a causa della pendenza del processo penale e sino alla sua definizione, avviene se il giudizio penale possa dar luogo ad una sentenza che abbia efficacia di giudicato nella causa civile e se è già stata esercitata l’azione penale. Ed è in base a questa ratio che viene esclusa la sospensione necessaria del processo civile nei confronti delle parti diverse dall’imputato-danneggiante, quando sono loro ascritti fatti diversi da quelli oggetto del processo penale.
Il vincolo di cui agli artt. 651 e 651 bis c.p.p. relativo all’efficacia di giudicato della condanna del danneggiante-imputato e del suo proscioglimento per particolare tenuità del fatto si potrebbe generare nei confronti del responsabile civile solo ove il processo risarcitorio sia promosso nei suoi confronti da un danneggiato diverso da quello che abbia proposto l’azione civile nel processo penale e se il responsabile civile sia stato regolarmente citato o abbia spiegato intervento nel processo penale.
In vero, sulla pretesa del danneggiato costituitosi parte civile si può decidere in sede civile solo ove la parte civile sia uscita dal processo penale per revoca o per estromissione, poiché l’esodo della parte civile determina che la citazione o l’intervento del responsabile civile perdono efficacia, provocando il venir meno della condizione prevista dagli artt. 651 e 651 bis c.p.p., ossia che il responsabile civile sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale.
Né è plausibile che possa essere disposta la sospensione del giudizio in ipotesi di litisconsorzio facoltativo esclusivamente nei confronti dell’imputato-danneggiante poiché nei suoi confronti non sono richieste condizioni perché si produca il vincolo derivante dalla sentenza di condanna ex art 651 c.p.p. o di proscioglimento ex art. 651 bis c.p.p. L’autore dell’illecito penale ha, in vero, avuto sicuramente la possibilità di partecipare al processo penale da imputato, con piena garanzia del suo diritto di difesa.
Ad ulteriore suffragio di quanto appena detto, ricorre anche la considerazione che le ipotesi di sospensione ex art. 75 comma III c.p.p. costituiscono una deroga rispetto alla regola rappresentata dalla separazione dei giudizi, sicché tale natura derogatoria ne impone una interpretazione restrittiva.
Le sezioni unite della Cassazione propendono per l’interpretazione “restrittiva” della norma
“La natura derogatoria della disposizione ne impone interpretazioni restrittive – chiariscono i giudici -; e, in virtù di quest’interpretazione restrittiva occorre che tra i due giudizi vi sia identità, oltre che di oggetto, anche di soggetti, alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni (Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538). Estendere l’applicazione di un’ipotesi derogatoria a un caso, come quello in esame, in cui tutte le parti del giudizio civile non coincidano con tutte quelle del processo penale, sacrificherebbe in maniera ingiustificata l’interesse dei soggetti coinvolti alla rapida definizione della propria posizione, in aperta collisione con l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo, presente nel nostro ordinamento ben prima dell’emanazione dell’art. 111, 2° comma, Cost., e comunque assurta a rango costituzionale per effetto di esso”.
E ancora: “In dottrina, al riguardo, si è sostenuto che la concentrazione in unica sede dei risvolti penalistici e di quelli civilistici del medesimo fatto sia un fattore di snellimento. Va, tuttavia, considerato che anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu 1 luglio 1997, Torri c. Italia), nel verificare il rispetto del diritto della parte civile alla ragionevole durata del processo di danno, garantito dall’art. 6.1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha ritenuto che debbano essere computate cumulativamente la durata del processo penale, dal momento della costituzione di parte civile, e quella del successivo processo civile per la liquidazione del danno.mE queste valutazioni rilevano indipendentemente dalla natura del litisconsorzio che lega le parti, necessario o facoltativo”.
In definitiva, per l’applicabilità della norma occorre che tra i due giudizi vi sia identità oggettiva e soggettiva. Concludendo, quindi, con la Sentenza in esame, la Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, nell’annullare l’ordinanza di sospensione e nel diporre la prosecuzione del processo dinanzi al tribunale di Milano, ha dettato il principio nomofilattico secondo cui:
“in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dal terzo comma dell’art. 75 c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quelle di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651 bis, 652 e 654 c.p.p. vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicurativa del responsabile civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato”.
AVV. FABIO FERRARA
FORO DI BARI