Incostituzionale sanzionare allo stesso modo tutti gli omicidi stradali
La legge 23.03.2016 n° 41 ha introdotto le due fattispecie autonome di reato dell’omicidio colposo stradale (art. 589-bis c.p.) e delle lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590-bis c.p.) nell’ambito dei delitti contro la persona, a testimonianza di quale sia il bene giuridico tutelato: l’incolumità personale, in particolare di chi, come l’utente della strada, si trova a circolare con il suo veicolo esponendosi a un’attività necessariamente rischiosa e dovendo, giocoforza, confidare anche nel comportamento diligente e rispettoso delle norme della circolazione stradale degli altri.
La revoca della patente
La modifica del codice penale ha imposto di adeguare anche il sistema delle sanzioni amministrative accessorie conseguenti all’accertamento di queste figure autonome delittuose di cui all’art. 222 del Codice della Strada. Fin dall’introduzione della riforma, è apparso chiaro come fosse in sé più afflittiva la sanzione accessoria della revoca quinquennale della patente rispetto alla pena detentiva, per lo più sospesa o non scontabile in carcere ma in forme alternative.
Al contempo, ci si è interrogati se l’aver voluto equiparare le sanzioni amministrative accessorie di cui all’art. 222 C.d.S. (revoca o sospensione della patente di guida) a una tipologia di fattispecie incriminatrici autonome eterogenee e assai diversificate come quelle di cui agli artt. 589-bis c.p. e 590-bis c.p., sia stata una scelta coerente ai principi del nostro ordinamento, a fronte di un automatismo sanzionatorio che non ammetteva prova contraria né consentiva alcuna valutazione delle peculiarità del caso concreto.
Le disposizioni normative
La Legge n° 41/2016 ha rimodulato, modificandolo, il testo dell’art. 222. Il primo comma prevede, quando da una violazione delle norme del codice della strada derivano danni alle persone, il potere-dovere del giudice di applicare con la sentenza di condanna le sanzioni amministrative pecuniarie previste e quelle amministrative accessorie della sospensione o revoca della patente.
Il secondo comma dell’art. 222, al primo e secondo periodo, procede, poi, a una graduazione del periodo di tempo della sanzione accessoria, individuata nella sospensione della patente, in relazione all’entità della lesione del bene protetto, l’incolumità personale. E’ così previsto, in via crescente, che se dal fatto deriva una lesione personale colposa la sospensione è da 15 giorni a 3 mesi; se deriva una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione è fino a 2 anni; infine, che nel caso di omicidio colposo la sospensione è fino a 4 anni (comma 2, terzo periodo, art. 222).
Tali previsioni non sono state in alcun modo modificate dalla Legge n° 41/2016. Dal disposto dell’art. 222, comma 2, primo, secondo e terzo periodo (rimasto immutato anche dopo l’intervento riformatore), emerge chiaro che il giudice, in caso di sentenza di condanna per i reati di lesioni personali colpose gravi o gravissime e di omicidio colposo commesso con violazione delle norme del C.d.S. (delitti corrispondenti alle fattispecie incriminatrici autonome degli artt. 589-bis e 590-bis c.p.), è tenuto ad applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, di cui si prevede solo una variazione della durata in relazione alla gravità del fatto e delle conseguenze lesive, prevedendo che, in caso di morte, sia aumentato (fino a 4 anni) il periodo di sospensione, nell’ambito di una valutazione discrezionale del Legislatore.
Anche il comma 2-bis dell’art. 222 C.d.S. prevede che la sanzione accessoria della sospensione fino a 4 anni (cioè quella prevista in caso di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale) sia ridotta fino a un terzo in caso di sentenza di applicazione pena senza giudizio ex artt. 444 e ss. c.p.p. Dal tenore della norma sembrerebbe dunque certo che, tanto in caso di lesioni personali colpose gravi o gravissime che di omicidio colposo commessi con violazione delle norme del C.d.S., la sanzione accessoria che deve applicare il giudice sia la sospensione della patente, di cui varia solo – nell’ambito della previsione legislativa improntata a un criterio di gradualità della sanzione accessoria dipendente dalla gravità del fatto e delle conseguenze lesive del reato ex art. 133 c.p. (e sicuramente ragionevole) – il periodo di tempo.
L’elemento di incertezza introdotto dalla nuova legge
Tutto chiaro? Decisamente no. Nell’ambito del quadro sopra descritto, rimasto inalterato, la legge 41/2016 ha introdotto – nel comma 2 dell’art. 222 – un quarto periodo che recita: “Alla condanna, ovvero all’applicazione della pena su richiesta delle part a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli articoli 589-bis e 590-bis del codice penale consegue la revoca della patente di guida”.
Con la novella normativa si introduce così un elemento d’incertezza nell’individuazione della sanzione accessoria da applicare in caso di condanna per reato commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale. Un dilemma, che non può essere sciolto né in via interpretativa né giurisprudenziale visto che il giudice è soggetto soltanto alla legge e, in questo caso, essendovi due previsioni contrastanti, non si può escludere l’una o l’altra a seconda delle peculiarità del caso specifico.
E ciò anche perché ogni valutazione è impedita dall’automaticità della previsione della revoca della patente del quarto periodo, comma secondo, dell’art. 222 C.d.S., in caso di condanna per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., che impone di applicare tale (più grave) sanzione accessoria e non consente alcun margine di apprezzamento e di scelta tra le sanzioni alternative (sospensione o revoca) in caso di condanna per i reati in considerazione delle circostanze e del caso concreto.
In altre parole, quando il legislatore ha modificato l’art. 222 C.d.S. introducendo la revoca della patente in caso di condanna per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., e intendendo equiparare il sistema delle sanzioni accessorie all’accertamento dei suddetti reati, si è scordato che nel medesimo articolo, al comma 2, nei periodi precedenti, era prevista la (diversa e meno grave) sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente in caso di condanna per lesioni personali colpose gravi o gravissime e in caso di omicidio colposo commessi con violazione delle norme del C.d.S.: delitti in tutto e per tutto identici alle fattispecie incriminatrici autonome di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p. che voleva introdurre e che ha poi di fatto inserito nel codice penale nell’ambito dei delitti contro la persona.
E si è anche dimenticato che nello stesso articolo, al successivo comma 2-bis, era prevista – ancora e sempre – la riduzione fino a un terzo in caso di sentenza di patteggiamento della sospensione della patente fino a 4 anni, cioè la sanzione accessoria prevista in caso di omicidio colposo.
Un classico dilemma all’italiana, causato da approssimazione dell’intervento legislativo. Per porvi rimedio è intervenuta la Corte Costituzionale, sollecitata dai Tribunali di Roma, Torino e Forlì.
L’intervento chiarificatore della Corte Costituzionale
Con sentenza n. 88/2019 (ud. 19.2.2019 – dep. 17.4.2019), la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 comma 2, quarto periodo, del C.d.S., “nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli artt. 589-bis (Omicidio stradale) e 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime) del codice penale, il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 cod. strada allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.”.
Incostituzionale la revoca automatica indifferenziata per tutti gli omicidi stradali
Il ragionamento che ha condotto il giudice delle leggi alla declaratoria di incostituzionalità è lineare e si articola nei seguenti passaggi logici: il quarto periodo dell’art. 222 comma 2 C.d.S. è stato riformulato dalla legge n. 41/2016, con la previsione che alla condanna o al patteggiamento per i reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime consegue sempre la revoca della patente, anche ove sia stata concessa la sospensione condizionale della pena; la revoca è stata estesa indistintamente a tutte le ipotesi – sia aggravate dalle circostanze “privilegiate”, sia non aggravate – di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime; le fattispecie di reato di omicidio stradale e lesioni personali stradali contemplano diverse ipotesi alla cui gravità corrispondono differenti trattamenti sanzionatori: l’ipotesi base del reato colposo (al primo comma), l’ipotesi più aggravata della guida in stato di ebbrezza oltre una certa soglia di tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti (ai commi secondo e terzo), un’ipotesi intermedia perché aggravata in misura minore (ai commi quarto, quinto e sesto), ma comunque con pena aumentata rispetto all’ipotesi base; per la sanzione amministrativa della revoca della patente, invece, vi è un indifferenziato automatismo sanzionatorio, che costituisce possibile indice di disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca; l’automatismo della risposta sanzionatoria prevista dall’art. 222 C.d.S. non è graduabile in ragione delle peculiarità del caso e può giustificarsi solo per le violazioni più gravi, cioè le ipotesi aggravate previste dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589 bis, sia dell’art. 590 bis cod. pen.; per esse si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca nell’ipotesi sia di omicidio stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime; al di sotto di questo livello vi sono comportamenti pur gravemente colpevoli, ma in misura inferiore, sicché non è compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità la previsione della stessa sanzione amministrativa; in tal caso, l’automatismo della sanzione amministrativa non si giustifica e deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice.
In vero vi è una successiva considerazione in ordine alla sovrapposizione delle sanzioni amministrative della sospensione della patente, prevista dal secondo e terzo periodo dell’art. 222 comma 2, e della revoca, prevista dal quarto periodo per fattispecie di reato in parte identiche. Tuttavia a tale rilievo la Corte, nel ragionamento sulla illegittimità costituzionale della revoca, non attribuisce efficacia, limitandosi a osservare che si tratta di “una poco coerente sovrapposizione di fattispecie sanzionate, o no, con la revoca della patente, che si aggiunge all’irragionevolezza intrinseca della sanzione indifferenziata per ipotesi marcatamente diverse in termini di gravità della condotta”.
Re-introdotta la “discrezionalità”
La Corte Costituzionale ha inteso riaffermare la propria costante giurisprudenza, secondo cui l’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità legislativa, il cui esercizio non può formare oggetto di sindacato sul piano della legittimità costituzionale, salvo che si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (v., tra le altre, sentenze n° 68/2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007, n. 394 del 2006 e n° 185 del 2015). Evidentemente la Corte ha ritenuto incostituzionale e in contrasto con le proprie precedenti decisioni la presunzione automatica e il meccanismo sanzionatorio rigido previsto dall’art. 222.
L’assoggettamento a un unico trattamento egualmente e gravemente sanzionatorio (revoca della patente) di fatti di reato diversi quanto all’evento (omicidio colposo, da un lato, lesioni colpose gravi o gravissime, dall’altro) e condotte del tutto eterogenee, come previste in modo specifico proprio all’interno delle ipotesi di reato di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., risultava lesivo di tali principi, perché introduceva una presunzione automatica “rigida” e “fissa” che non permetteva alcuna valutazione discrezionale e in concreto.
Presunzione automatica che appariva in sé irragionevole perché imponeva la revoca della patente anche in ipotesi come l’omicidio colposo stradale non aggravato, causato da mera distrazione del conducente e non dall’abuso di droghe o dallo stato di ebbrezza del conducente, confinando l’applicazione della sospensione alle sole ipotesi di lesioni personali stradali colpose c.d. lievi.
Le condotte gravi, però, non siano limitate ad alcool e droga
Così, però, rimane del tutto insoddisfatta l’esigenza da parte delle vittime di tali reati di sapere che il responsabile abbia avuto un’effettiva conseguenza, giacché il sistema sanzionatorio classico, detentivo, risulta inefficace, dato che sotto certe soglie, nessuna ripercussione reale viene patita da chi è condannato, e solo la revoca della patente costituiva elemento realmente afflittivo.
Resta l’auspicio che nei casi di condotte non aggravate dalla guida sotto l’effetto di stupefacenti o alcool, ma pur sempre estremamente gravi, in ragione di violazioni delle norme del C.d.S., che sottendono un comportamento certamente volontario – si pensi a chi passa col rosso, investe passanti sulle strisce pedonali o provoca incidenti per il superamento dei limiti di velocità di diverse decine di chilometri – i magistrati trovino ragionevole, anche nel rispetto del dolore di chi ha perso un congiunto, applicare sanzioni effettive, severe e commisurate a tali condotte ed alle gravissime conseguente inflitte al prossimo. Solo così, il perenne senso di una generale impunità che il cittadino percepisce di fronte alla gestione della giustizia nel nostro Paese, potrebbe iniziare a essere superato. Favorendo, infine, il rispetto delle regole stradali, unica soluzione ai tanti, troppi, decessi che ogni anno si contano sulle nostre strade.
Avv. Marco Frigo
Foro di Padova