Obbligo rcauto anche nel park privato aperto alla circolazione
Il veicolo va assicurato anche se viene tenuto in sosta in un parcheggio privato ma aperto alla circolazione di terzi, e quindi di fatto a uso pubblico. A riaffermare il principio la Cassazione, con l’ordinanza n. 37851/22 depositata il 28 dicembre 2022.
L’opposizione del proprietario di un veicolo contro la multa per la mancata assicurativa
La vicenda. Il proprietario di un’auto aveva impugnato il verbale di accertamento e quello di sequestro amministrativo con cui la polizia locale di Massarosa, in provincia di Lucca, lo aveva sanzionato per aver lasciato in sosta il mezzo privo di assicurazione. Il giudice di Pace di Lucca aveva tuttavia respinto l’opposizione e il Tribunale cittadino, con sentenza del 2019, confermando la decisione, aveva rigettato anche il gravame interposto dall’automobilista sanzionato.
L’auto era sì in uno spazio privato, ma aperto alla circolazione di terzi
Il giudice di seconde cure aveva ritenuto che fosse pacifico il fatto storico della sosta respingendo la tesi difensiva secondo la quale, trattandosi di un parcheggio privato, non avrebbe trovato applicazione l’obbligo di copertura assicurativa, e questo sulla base della accertata circostanza che si trattava comunque di un luogo aperto alla circolazione veicolare: l’equiparazione delle aree private alle strade di uso pubblico non avrebbe potuto impedire la possibilità di sinistri stradali e quindi il mezzo doveva essere assicurato.
Il proprietario della vettura ha quindi proposto ricorso anche per Cassazione con una svariata serie di motivi di doglianza relativi anche alle modalità con il quale era stato effettuato l’accertamento – l’agente che lo aveva operato non sarebbe stato identificabile con certezza, così come il luogo esatto in cui era avvenuto – e gestito tutto l’iter: ad esempio, il ricorrente sosteneva che sarebbe stato del tutto omesso l’obbligo per l’organo di polizia di inviargli l’invito ad esibire documenti e fornire informazioni, e reputava anche illegittimo il sequestro amministrativo.
Ma il motivo che qui preme è il quinto con il quale l’automobilista è tornato a lamentare la violazione e falsa applicazione degli artt. 200 e 201 del Codice della Strada e 383 e 385 del D.P.R. n. 495/1992, ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che si trattava di posti auto realizzati sull’area “di resede”, ossia lo spiazzo esterno di pertinenza, delle unità immobiliari prospicienti e quindi necessariamente ed indubitabilmente di proprietà privata, anche perché non vi sarebbe stato alcun accesso se non riservato o autorizzato dai condomini. E al riguardo, con un ulteriore motivo di doglianza collegato, il proprietario censurava anche il fatto che i giudici territoriali non si sarebbero pronunciati circa le deposizioni testimoniali che egli aveva addotto per comprovare l’esclusiva proprietà privata.
Ma la Suprema Corte, sul punto, gli ha dato torto, definendo la censura infondata. Come detto il ricorrente aveva sostenuto con forza che l’area dove era parcheggiata l’autovettura fosse di proprietà privata, “ma non ha dimostrato – spiegano gli Ermellini – che la via (omissis) fosse privata ed inibita al passaggio delle auto di terzi, anche per la sosta temporanea”. A fronte di questa constatazione, il Tribunale, come ricordato, aveva testualmente affermato: “come si desume dalle fotografie in atti, il parcheggio è comunque aperto alla circolazione, ragione per cui non è seriamente contestabile l’obbligo assicurativo”, la cui ratio infatti, viene ribadito, “risiede nella esigenza che il veicolo, per quanto in sosta, possa essere coinvolto in sinistri stradali o possa essere causa o concausa degli stessi”.
Anche il veicolo in sosta può essere coinvolto in incidenti, ergo va assicurato
Una motivazione, questa, pienamente condivisa dalla Cassazione, la quale aggiunge poi che si tratta di una “valutazione di fatto, astrattamente plausibile perché riferita alla visione diretta delle fotografie dei luoghi, e dunque insindacabile in sede di legittimità”.
I giudici del Palazzaccio hanno parimenti respinto la doglianza con la quale il ricorrente sosteneva di aver censurato, in appello, la valutazione delle prove, così come effettuata dal Giudice di pace, rispetto al complesso degli elementi probatori assunti ed allegati, senza che però il Tribunale si esprimesse in proposito. Secondo la Suprema corte, al contrario, il Tribunale, “fondando la sua valutazione sull’esame diretto delle prove documentali in atti, ha implicitamente disatteso il motivo di appello, valutando le deposizioni non decisive”.
La “strada” può essere anche privata, ma ciò che rileva è la sua destinazione a uso pubblico
Del resto, puntualizza la Cassazione, la circostanza “di essere i testi escussi proprietari esclusivi di aree adiacenti non elimina la possibilità che l’area fosse comunque aperta al pubblico, secondo la giurisprudenza segnalata dallo stesso Tribunale”. La definizione di “strada”, che comporta l’applicabilità della disciplina del relativo codice, “non dipende dalla natura, pubblica o privata, della proprietà di una determinata area, bensì dalla sua destinazione ad uso pubblico, che ne giustifica la soggezione alle norme del codice della strada per evidenti ragioni di ordine pubblico e sicurezza collettiva”.
Per la cronaca, la Cassazione ha invece accolto (solo) il nono e ultimo motivo del ricorso, relativo al ritenuto valore della controversia e alla conseguente liquidazione degli onorari a carico del “soccombente”.