Passeggero senza cinture: sì al risarcimento, ma ridotto
Premesso che la cintura di sicurezza va sempre indossata per la propria incolumità, è indubbio che il suo mancato utilizzo possa essere motivo di riduzione del risarcimento in caso di incidente stradale, ma in alcun modo può comportare il suo disconoscimento integrale per il passeggero di un veicolo, non fosse altro perché l’evento alla base, il sinistro appunto, è comunque da ascriversi a responsabilità di terzi.
A riaffermare con forza questo concetto la Cassazione, terza sezione civile, con l’ordinanza n. 30315/23 depositata il 31 ottobre 2023 con la quale ha reso giustizia ai familiari di un uomo deceduto tragicamente nel Padovano.
Negato il risarcimento ai familiari di un passeggero deceduto perché non indossava la cintura
I congiunti della vittima avevano citato in giudizio avanti il Tribunale di Padova il conducente del mezzo in cui il loro caro era trasportato e la sua compagnia di assicurazione. La richiesta era volta ad ottenere il risarcimento dei danni iure proprio subiti per la perdita del rapporto parentale. Ma il giudice aveva rigettato totalmente la domanda osservando che, per citare la sentenza, “pur essendo il verificarsi del fatto lesivo attribuibile al conducente del veicolo, la cui improvvida manovra di attraversamento a raso comportava l’insorgere della situazione di rischio che dava poi causa alla collisione, deve affermarsi che, a mente dell’art. 1227 c.c., comma 2, non compete al trasportato alcun risarcimento, giacché il susseguente evento mortale avrebbe potuto essere evitato con altissime percentuali di probabilità laddove la vittima primaria avesse regolarmente allacciato le cinture di sicurezza”.
I congiunti della vittima appellano la sentenza ma la Corte territoriale rigetta il gravame
Di fronte a questa decisione “shock” i familiari della vittima hanno appellato la sentenza. Anche la Corte d’appello patavina, però, ha rigettato il gravame. I giudici avevano dato atto che, secondo i rilievi degli agenti intervenuti sul posto, il veicolo su cui era trasportata la vittima aveva il segnale di stop. Il consulente tecnico del Pubblico Ministero nel procedimento penale aveva evidenziato che il conducente, dopo essersi fermato poco oltre la linea, era ripartito senza avvedersi del sopraggiungere da destra di un’altra auto ad una velocità stimata di 72 chilometri all’ora, oltre dunque il limite vigente in quel tratto di strada. Inoltre il guidatore, ulteriore capo di responsabilità a suo carico, non aveva verificato, come imposto dal codice della strada, che il trasportato avesse allacciato le cinture di sicurezza.
E, di più, la Corte territoriale aveva scritto in sentenza che, dagli accertamenti, derivava che i due conducenti avevano due addebiti ciascuno. Pertanto si riteneva di interpretare la fattispecie concreta nel senso che ciascuno dei tre soggetti coinvolti (di cui uno era il terzo trasportato deceduto) avesse dato pari contributo causale, del 33 per cento ciascuno, secondo la prassi dell’ufficio “che addebita per mancato utilizzo della cintura di sicurezza il 33%”.
Eppure, alla fine, i giudici di secondo grado tornati ad a concludere che “la grave negligenza consistita nel non allacciare la cintura di sicurezza ha contribuito in misura determinante a provocare l’evento mortale”. Escluso così nuovamente il nesso causale con le gravi e fatali violazioni dei conducenti delle due vetture coinvolte nell’incidente e rigettato l’appello.
Il ricorso finale in Cassazione che accoglie in pieno le doglianze
A questo punto i congiunti del passeggero hanno proposto ricorso anche per Cassazione, deducendo il vizio di motivazione per avere la Corte d’appello da un lato rigettato la richiesta di valorizzazione del rapporto affettivo poiché ritenuta assorbita dall’efficacia determinante del mancato uso della cintura di sicurezza, dall’altro affermato che la vittima aveva contribuito solo per il 33 per cento al verificarsi dell’evento.
Doglianze ritenute (ovviamente) fondate dalla Suprema Corte. La motivazione della sentenza, osservano gli Ermellini, risulta affidata alla affermazione “l’atto di appello si risolve in una serie di rilievi ipotetici i quali, secondo l’interpretazione della Corte, non sono idonei a modificare la conclusione sull’esclusione del nesso di causa, sino al punto di rovesciare l’effettiva dinamica del fatto individuando il nesso nella imprudente condotta di guida del conducente (che superava lo stop senza concedere la precedenza al veicolo investitore), nella negligenza del medesimo per non aver imposto alla vittima di indossare le cinture di sicurezza, nell’imprudente condotta di guida della conducente dell’altro veicolo, e infine nel violento urto contro la portiera e il montante posteriore destro dell’auto e il successivo impatto contro il palo della luce”.
L’assenza delle cinture può aver contribuito al decesso in modo determinante, ma non esclusivo
Ebbene, il nucleo di tale motivazione, proseguono gli Ermellini, è rappresentato dalla valutazione di inidoneità dei rilievi dell’appellante a modificare la conclusione del primo giudice circa l’esclusiva efficacia causale della condotta della vittima (per non aver allacciato la cintura di sicurezza). “Però tale valutazione di inidoneità è apodittica al punto da risultare al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. Infatti non viene offerta alcuna spiegazione del perché la negligenza della vittima, per il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, ha contribuito in misura determinante a provocare l’evento mortale”. L’aver contribuito all’evento “in maniera determinante”, non significa “in maniera esclusiva” asserisce con forza la Cassazione.
Risarcimento in una percentuale di due terzi sul totale
La quale, nel cassare la sentenza e rinviare la causa alla Corte d’appello di Padova, in diversa composizione, per la riconsiderazione della domanda risarcitoria, evidenzia anche che la sentenza impugnata nelle sue affermazioni ha compiuto anche un “errore aritmetico”: considerando che l’efficacia concorrente delle tre condotte colpose è pari per ciascuna di esse ad una percentuale del 33 per cento, non potrà essere riconosciuto alla famiglia della vittima solo un terzo del risarcimento. Se era giusto ascrivere alla condotta del passeggero un’efficacia causale pari ad un terzo, ciò significa che era altrettanto corretto attribuirne agli altri protagonisti del tragico sinistro una totale pari a due terzi. Dunque il risarcimento spettante va commisurato a tale ultima maggiore frazione (due terzi, non un terzo) del risarcimento in astratto nell’intero liquidabile.