Guidare il motorino senza patente non è reato
Non commette reato chi guida un ciclomotore senza patente, e questo vale anche per chi è sottoposto ad una misura di prevenzione. La depenalizzazione applicata in materia, infatti, copre anche questa condotta dal momento che i ciclomotori fino a 50 c.c. non rientrano nella categoria dei “motoveicoli” per i quali la norma prevede invece la fattispecie di reato.
Né la previsione (dal 2013) dell’obbligo della patente anche questo tipo di mezzi giustifica un’estensione del reato che sarebbe in malam partem, contrariamente al divieto di analogia sancito dall’art 14 disp prel. c.c.
E’ una sentenza rilevante, quella – la n. 36648/19 – depositata il 29 agosto 2019 dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione, che ha così definitivamente deliberato su un complesso caso giudiziario, fornendo nel contempo un’indirizzo generale.
La vicenda giudiziaria
Con sentenza del 30 aprile 2018, la Corte d’Appello di Catanzaro aveva parzialmente riformato la sentenza resa in data 3 settembre 2014 dal Tribunale di Vibo Valentia, che aveva giudicato con rito abbreviato R. Z., imputato dei reati di cui agli artt.81 cod. pen., 75 d.lgs. n. 159 del 2011 e 116 d.lgs. n. 285 del 1992, perché, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di Acquaro, il 10 gennaio 2014 si era posto alla guida di un ciclomotore, risultato peraltro privo di copertura assicurativa, senza essere provvisto della patente, che gli era stata revocata, con la recidiva infraquinquennale.
Il Tribunale lo aveva dichiarato responsabile dei reati ascrittigli, riuniti in continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, nonché computata la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di mesi sei e giorni venti di reclusione.
La parziale riforma disposta dalla Corte di appello aveva invece determinato l’assoluzione dell’imputato dal reato di cui all’art. 75, comma 2, in ordine all’addebito di non aver rispettato le leggi, per insussistenza del fatto e, con riguardo alla residua condotta inerente alla guida senza patente del ciclomotore, ne aveva rideterminato la pena in 1.200 euro di ammenda. Più nel dettaglio, la Corte d’appello, esaminate le ragioni poste dal primo giudice alla base della propria decisione e valutate le doglianze svolte dall’appellante, aveva considerato insussistente la violazione dell’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011, richiamando l’elaborazione che nega al mero obbligo di rispettare le leggi natura di precetto a carico del sottoposto alla misura di prevenzione sanzionabile penalmente.
Ha ritenuto, invece, integrata, con riguardo al secondo fatto, in luogo dell’art. 116 d.lgs. n. 285 del 1992, la fattispecie di cui all’art. 73 d.lgs. cit. per il fatto che, in relazione alla relativa norma incriminatrice, R. Z. era stato sorpreso alla guida del ciclomotore dopo che – operante la sorveglianza speciale a suo carico – il Prefetto di Vibo Valentia il 24 marzo 2011 gli aveva revocato la patente di guida. Tale situazione, per i giudici di appello, aveva integrato il reato sanzionato dall’art. 73 cit. 2.
Il ricorso per Cassazione dell’imputato
Contro tale decisione il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendone l’annullamento sulla base di un unico motivo con cui lamentava la violazione degli artt. 521 e 597 cod. proc. pen. per mancata correlazione tra imputazione e sentenza e per inosservanza del divieto di reformatio in peius.
Secondo il ricorrente, la decisione impugnata non aveva tenuto conto del fatto che – nell’applicare l’art. 521 cod. proc. pen., che consentiva di dare allo stesso fatto una diversa qualificazione giuridica – si sarebbe dovuto necessariamente mettere l’imputato in condizione di poter discutere su ogni profilo che investiva i fatti oggetto di contestazione, ivi compresa la qualificazione giuridica: invece, all’imputato in questo caso non era stata prospettata l’eventualità della nuova qualificazione giuridica per consentirgli di interloquire sull’argomento.
Inoltre, ha dedotto il ricorrente, la nuova qualificazione avrebbe violato il divieto stabilito dall’art. 597 cod. proc. pen., poiché la Corte territoriale, invece di prendere atto che il reato contestato, quello di cui all’art. 116 d.lgs. n. 285 del 1992, era stato depenalizzato, aveva – in pregiudizio dell’imputato – qualificato il fatto diversamente inquadrandolo nella fattispecie di cui all’art. 73 cit. 3.
La Suprema Corte accoglie le doglianze: il ciclomotore non è un motoveicolo
La Cassazione ha ritenuto che il ricorso fosse da accogliere, essendo determinante la rilevazione dell’insussistenza del reato contestato. Gli Ermellini infatti evidenziano che è risultato accertato che il veicolo alla cui guida si era posto l’imputato apparteneva alla categoria dei ciclomotori, caratterizzato dalla cilindrata di 50 cc. e da una velocità massima per costruzione non superiore a 45 km/h.
“Va, allora, richiamato e ribadito il principio di diritto – si spiega nella sentenza -, secondo cui non integra gli estremi del reato di cui all’art. 73 d.lgs. n. 159 del 2011 la condotta del soggetto sottoposto, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale che conduca senza patente – o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata -, un ciclomotore non potendo tale mezzo essere ricondotto alla categoria dei motoveicoli contemplata dalla suddetta norma.
La quale recita appunto, testuale, che “nel caso di guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, la pena è dell’arresto da sei mesi a tre anni, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale”.
“La nozione di “motoveicolo” riportata dall’art. 73 non è, tuttavia, tale che possa farsi rientrare in essa anche quella di “ciclomotore”, non autorizzando a tanto le norme definitorie di tali categorie estraibili dal Codice della strada” asseriscono gli Ermellini
Non rileva che adesso sia obbligatoria la patente anche per i ciclomotori
La Cassazione supera anche lo “scoglio” rappresentato dall’attuale disciplina (in vigore da 19 gennaio 2013 per effetto del Dlgs n. 59 del 2011, all’art. 116, comma 1) la quale stabilisce, mutando parzialmente la prospettiva rispetto alla situazione precedente, che non si possono guidare ciclomotori, motocicli, tricicli, quadricicli e autoveicoli senza aver conseguito la patente di guida, in tal modo riconducendo ad unità il “complesso veicolare”.
“In pari tempo, però – sottolinea la Cassazione -, il legislatore ha conservato le distinzioni derivanti dalle differenti caratteristiche tecniche dei veicoli stessi e dall’età dei conducenti“. Né del resto “il mero fatto dell’intervenuta previsione del conseguimento di una patente di guida anche per i conducenti di ciclomotori” legittima di per sé sola “un’interpretazione in virtù della quale il soggetto che, sottoposto a misura di prevenzione in via definitiva, sia stato colto alla guida di un ciclomotore senza patente, possa essere chiamato a rispondere del reato previsto dall’art. 73 Dlgs n. 159 del 2011“.
È infatti “ineludibile osservare che, ove il Dlgs n. 159 del 2011 avesse avuto l’obiettivo di rimodellare la fattispecie di cui all’art. 73 cit. recependo e coordinando la novità normativa introdotta nel Codice delta Strada al fine di estendere la punibilità della condotta sanzionata dall’art. 72 a conducenti di ciclomotori, lo avrebbe fatto modificando i dati strutturali della fattispecie incriminatrice, essendo già nota la novità normativa riguardante la necessità di abilitazione (anche) per la guida dei ciclomotori. Ma ciò non è avvenuto”.
L’esito di questo ragionamento è che “tutti gli indici interpretativi rilevanti per chiarire l‘ambito di applicazione dell’art. 73 Dlgs n. 159 del 2011 inducono a concludere che, in mancanza di un intervento normativo, rimangono immutate le distinzioni riguardanti le categorie dei motoveicoli e dei ciclomotori, con l’effetto che la platea dei destinatari della norma incriminatrice in esame non può ritenersi suscettibile di ampliamento sulla scorta di un’esegesi sistematica spinta al punto tale da inserire nella sua sfera di disciplina anche i conducenti dei ciclomotori per il solo fatto che pure per loro è ora necessario il conseguimento del titolo per l’abilitazione alla guida, ove poi il titolo manchi o sia revocato per l’effetto della misura di prevenzione”.
“Va, dunque, ritenuto – conclude la decisione – che estendere l’applicazione dell’art. 73 anche ai prevenuti che siano stati sorpresi alla guida di ciclomotori senza patente di guida sarebbe approdo contrario all’insuperabile divieto di analogia in malam partem in materia penale”. La sentenza impugnata è stato pertanto annullata senza rinvio.