Medico morto per infarto da stress di lavoro: l’Asl deve risarcire

Fa doppiamente specie il tragico caso che ha definitivamente giudicato la Cassazione con la sentenza n. 13919/23 depositata il 22 maggio 2023, perché riguarda un lavoratore cardiopatico a cui sono state fatte svolgere le stesse mansioni stressanti nonostante la commissione medica ne avesse raccomandato un impiego più “soft”, e che poi è deceduto per l’ennesimo infarto, e soprattutto perché si tratta di un medico e il datore di lavoro inadempiente è un’azienda sanitaria che pure dovrebbe avere nella salute delle persone il proprio “faro”.

E che la Suprema Corte ha condannato a risarcire i familiari della vittima, ritenendo provato il nesso di causa tra l’evento morte e la condotta gravemente inerte rispetto alle (praticamente) sue stesse prescrizioni dell’Asl.

 

I congiunti di un medico deceduto per infarto da stress di lavoro citano l’Asl e la Regione

A promuovere la causa in questione erano stati, per l’appunto, i familiari di un dottore, che avevano citato avanti il tribunale di Gela la Regione Sicilia, il suo assessorato alla Sanità e la Gestione Liquidatoria della soppressa Usl in questione ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti in seguito alla morte del loro congiunto.

L’Azienda non gli aveva cambiato mansioni nonostante i diktat della commissione medica

L’uomo, in qualità di primo medico di sezione presso questa ex Uls, con l’incarico di coordinare i servizi di ambulatorio ed il personale, dopo aver riportato due infarti, era stato giudicato dalla Commissione della stessa Azienda idoneo a riprendere il servizio ma con prescrizioni, ovvero escludendo quelle attività lavorative che potessero comportare il contatto con un  pubblico troppo numeroso, perché tale condizione avrebbe potuto causargli situazioni di stress con possibile recidiva della patologia.

L’amministrazione sanitaria tuttavia era rimasta del tutto inerte rispetto a tale prescrizione, il dottore era rimasto a svolgere la sua mansione originaria e gravosa fino quando era deceduto per ipertensione, infarto del miocardio e collasso cardiocircolatorio. I suoi familiari avevano pertanto chiesto ai giudici di dichiarare responsabili gli enti citati in giudizio, ai sensi degli artt. 2043, 2059 c.c. e 40 c.p., per aver consentito al medico di prestare il servizio nel medesimo settore senza adottare le cautele necessarie in ragione delle sue condizioni di salute, benché fossero stare prescritte dalla Commissione medica.

 

I giudici territoriali ritengono responsabile l’Asl e condannano gli Enti al risarcimento

Riassunto il giudizio davanti al Tribunale di Caltanissetta e svolta una consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, il giudice aveva ritenuto che le cause naturali del decesso, cioè l’infarto, non avessero avuto efficacia autonoma nel determinare l’evento e quindi il danno, e che la condotta omissiva della ex Uls si fosse posta come causa autonoma nella produzione della morte del dottore, condannandola di conseguenza a risarcire i danni, stimati in quasi quattrocentomila euro in favore della moglie e, rispettivamente, in 502mila e 522mila euro per ciascuno dei figli. Sentenza confermata anche dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, che aveva rigettato il gravame interposto dall’Assessorato alla sanità siciliano.

L’assessorato alla Sanità della Regione Sicilia ricorre per Cassazione, che però gli dà torto
Che tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione contestando in primis il fatto che la Corte territoriale, pur in presenza di due concause nella produzione del danno, naturale ed umana, non aveva ridotto, a suo dire erroneamente, il risarcimento in ragione della presenza di cause appunto naturali, che non erano imputabili all’Ente Regione. E il ricorrente ha inoltre censurato come illogica la motivazione secondo cui la questione della causalità giuridica non sarebbe stata prospettata dall’appellante, pur avendo la corte del merito poi sostanzialmente deciso su di essa.

 

L’inerzia dell’Asl riconosciuta quale causa autonoma nella produzione del tragico evento

Ma per la Suprema corte i motivi di doglianza sono entrambi infondati. “In applicazione del criterio del più probabile che non”, spiegano gli Ermellini, la Corte di merito aveva ritenuto che la condotta della Usl, che ignorando le indicazioni mediche aveva mantenuto il dottore nelle stesse mansioni svolte prima del verificarsi degli infarti, avesse assunto nel caso di specie il rilievo di causa autonoma sufficiente alla produzione dell’evento mortale. “E come questa stessa Corte, anche a Sezioni Unite, ha avuto modo di sottolineare, ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. – spiega la Cassazione in uno dei passaggi chiave del pronunciamento -, un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo: ne consegue che debbono essere risarcite tutte le conseguenze dannose derivanti dall’evento di danno in base non solo ad un rapporto di regolarità giuridica, ma anche di causalità specifica. In particolare, le conseguenze (nella specie, la morte) cui il defunto è rimasto esposto in ragione del suo mantenimento da parte della Usl nello stesso servizio, nello svolgimento del quale aveva subito i due infarti, senza adibirlo – come indicato dalla Commissione medica – allo svolgimento di mansioni diverse, meno stressanti e non comportanti contatti con il pubblico”.

Pertanto, secondo i giudici del Palazzaccio, correttamente i giudici di merito hanno “escluso ogni rilevanza causale del pregresso stato morboso del medico poi deceduto, quale antecedente, privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa della Usl nella verificazione del sinistro”. E del tutto correttamente hanno anche “escluso la ricorrenza nella specie del concorso tra causa umana imputabile e concausa umana non imputabile”.

Nella sentenza impugnata, precisa altresì la Cassazione, la Corte di merito, pur facendo erroneamente menzione di “concause”, “ha fatto sostanzialmente corretta applicazione dei suindicati principi, sia nella parte in cui ha valutato che la causa umana, costituita dalla condotta dell’azienda sanitaria, ha nella specie assunto un’autonoma efficacia causale nella produzione del danno evento, sia nella parte in cui ha escluso di poter valutare, sotto il profilo della riduzione equitativa del danno, la presenza di una concausa ai sensi dell’art. 1227 c.c.”. Rigettato anche il motivo di ricorso mirato a ridurre l’entità del risarcimento stabilito in secondo grado e confermato integralmente.

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