MARE E SPIAGGIA SPORCHI E INQUINATI: UNA QUESTIONE NAZIONALE

MARE E SPIAGGIA SPORCHI E INQUINATI: UNA QUESTIONE NAZIONALE

Quante volte capita di andare in villeggiatura e di trovare il mare e la spiaggia sporchi o, ancor peggio, inquinati. Ma non tutti sanno che, oltre all’aspetto ambientale, questa casistica rientra appieno tra quelle per le quali i turisti possono ottenere un risarcimento in materia di danni da “vacanza rovinata”, come hanno stabilito diverse pronunce della Corte di Cassazione riconoscendo come legittima questa pretesa.

Molto spesso accade, infatti, che, al momento dell’acquisto del pacchetto turistico, nel dépliant illustrativo la spiaggia appaia pulita ed il mare sia raffigurato bello limpido. Mentre, all’arrivo nella località balneare, è possibile riscontrare la presenza di inquinamento e sporcizia lungo tutta la spiaggia. In tali circostanze, la legittima aspettativa di godere di una vacanza salubre e spensierata è senz’altro disattesa.

E’ il caso di una coppia di turisti di Pordenone che aveva acquistato un “pacchetto turistico” avente ad oggetto il trasferimento aereo e l’alloggiamento presso un club di Creta. Le fotografie del club, pubblicate sul dépliant, riproducevano una bella spiaggia antistante l’albergo ed un bel mare cristallino. Invece, giunti sul posto, essi avevano constatato che l’area balneare era sporca ed il mare diffusamente inquinato da idrocarburi. Per tali ragioni, i turisti convenivano in giudizio il tour operator chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito del soggiorno per una settimana a Creta.

In primo grado il Tribunale di Pordenone aveva dato torto alla coppia sostenendo che la pulizia della spiaggia e la purezza dell’acqua del mare non dipendevano dalla responsabilità dell’albergo, né risultavano garantiti a mezzo della stampa del dépliant pubblicitario. Di diverso avviso, invece, la Corte d’Appello, che condannava il tour operator a risarcire il danno per la settimana di vacanza rovinata. In particolare, i giudici di secondo grado affermavano che, con l’offerta del pacchetto turistico, il venditore assumeva l’obbligo di consentire agli acquirenti la fruizione di una spiaggia attrezzata e pulita e di un’area effettivamente balneabile. Caratteristiche, queste, diffusamente evidenziate nel dépliant illustrativo che costituiva parte integrante dell’offerta contrattuale.

Per contro, quel mare e quella spiaggia si erano rivelate in condizioni di inaccettabile sporcizia e disordine. Né, del resto, poteva essere invocato rispetto a tale situazione un esonero di responsabilità del venditore, non avendo quest’ultimo provato che le scadenti condizioni dei luoghi rispetto a quanto pubblicizzato e offerto derivassero da caso fortuito o forza maggiore e non piuttosto da incuria o insufficiente manutenzione degli stessi: fattori, questi, di cui il venditore del pacchetto turistico deve comunque rispondere nei confronti del cliente.

La Corte di Cassazione, infine, ha respinto il ricorso del tour operator e, con sentenza n. 5189/2010, ha confermato la condanna di secondo grado, spiegando che l’organizzatore o il venditore di un pacchetto turistico assumono specifici obblighi soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalità di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi che vanno esattamente adempiuti sulla base di quanto il turista vede sui dépliant illustrativi. In particolare, in caso di mancato od inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto vacanza, l’organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno secondo le rispettive responsabilità (salvo prova di impossibilità della prestazione per causa a loro non imputabile). Con l’ulteriore previsione che quest’ultimi, qualora si avvalgano di altri prestatori di servizi, sono comunque tenuti a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei confronti del prestatore.

Ciò premesso, non risulta censurabile la sentenza di secondo grado, laddove ha ritenuto l’organizzatrice del viaggio responsabile dell’inadempimento nei confronti dei turisti sulla base della non corrispondenza tra quanto “promesso” (rectius: contrattualmente pattuito in relazione al livello qualitativo dell’originaria offerta di viaggio) e quanto realmente “prestato” in sede di adempimento. Ne deriva che, con il contratto avente ad oggetto un pacchetto turistico (sottoscritto dall’utente sulla base di un’articolata proposta contrattuale, spesso basata su un dépliant), l’organizzatore o il venditore assumono specifici obblighi che vanno “esattamente” adempiuti. Ove, come nel caso in esame, la prestazione non sia esattamente realizzata, sulla base di un criterio medio di diligenza, si configura responsabilità contrattuale. È evidente che, per evitare il sorgere di responsabilità a loro carico (con conseguente obbligo risarcitorio), organizzatore e venditore dovranno provare: o il caso fortuito (o la forza maggiore), o l’esclusiva responsabilità del consumatore, oppure l’esclusiva responsabilità di un soggetto-terzo, quali eventi successivi alla stipula del “pacchetto”.

Oltre al danno da inadempimento contrattuale è, inoltre, riconosciuta la sussistenza del danno non patrimoniale. Il turista che lamenti la cattiva esecuzione del contratto di viaggio, ovvero la difformità tra quanto indicato nel catalogo e le prestazioni effettivamente offerte nel luogo di vacanza, ha diritto al risarcimento del danno da inadempimento, costituito dalla mancata fornitura dei servizi acquistati e negli ulteriori esborsi affrontati dal consumatore per sopperire alle carenze dell’organizzazione.

Ma, accanto al danno puramente di natura patrimoniale, che impone al consumatore di dimostrare il preciso ammontare del pregiudizio subito (ammontare delle spese impreviste, valore dei servizi non goduti, ecc.), si riconosce anche la sussistenza di un danno diverso, di natura, appunto, non patrimoniale. Si può anzi dire che, in caso di vacanza rovinata, il danno più rilevante sia costituito proprio da un pregiudizio di natura morale, determinato dalla delusione per le aspettative tradite, dallo stress per il mancato riposo, dalla necessità di interporre continui reclami per i disservizi subiti.

La Corte di Giustizia della Comunità Europea aveva, per la prima volta, riconosciuto espressamente la risarcibilità dei danni da rovinata vacanza con sentenza pronunciata il 12.3.2002. Spunto per tale pronuncia era stata una causa promossa contro un tour operator tedesco da una famiglia austriaca, la quale, durante una vacanza in Turchia, era stata costretta a occuparsi totalmente della figlia, vittima di gravi disturbi intestinali a causa del cibo avariato. Nel giudizio di primo grado, la famiglia aveva ottenuto soltanto una diminuzione del prezzo, ma non le era stato riconosciuto alcun risarcimento per la vacanza rovinata. Questo, infatti, veniva ritenuto una forma di «danno morale», nel caso di specie privo di base legislativa e perciò non risarcibile. In appello la Corte di Linz rimetteva la causa davanti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, la quale così decideva: 1) in base all’art. 5 della direttiva sui «Viaggi tutto compreso» (la n. 90/314/CEE), gli stati membri sono tenuti ad introdurre, nelle rispettive leggi di attuazione, delle norme volte a garantire al consumatore il risarcimento dei danni arrecatigli da mancato o inesatto adempimento da parte del tour operator. La medesima norma riconosce agli Stati membri la facoltà di limitare contrattualmente il risarcimento del danno morale, a condizione che tale limitazione non sia inadeguata (ciò significa, a contrario, il riconoscimento in via generale del diritto al risarcimento del danno morale a favore del consumatore); 2) poiché il diritto al risarcimento da vacanza rovinata è espressamente previsto in alcuni Paesi membri, la mancanza di una previsione generale nell’ambito della UE potrebbe determinare una distorsione della libera concorrenza. Con tale decisione la Corte di Giustizia non solo ha dato piena applicazione alla Direttiva 90/314/CEE (attuata in Italia con il d.lgs. 111/1995), la quale prevede, in termini generali, il diritto ad un «risarcimento del danno» subito in vacanza, ma, con la sua conclusione, chiarisce definitivamente la questione relativa alla configurabilità del risarcimento del danno morale conseguente all’inadempimento dell’organizzatore di un viaggio «tutto compreso».

La citata pronuncia della Corte di Giustizia, nell’affermare la risarcibilità del danno morale a seguito di vacanza rovinata, evidenzia l’importante funzione socio-economica che le vacanze svolgono nella società moderna, e l’importanza che esse hanno assunto nella qualità della vita delle persone, al punto da rendere il loro effettivo godimento un valore meritevole di massima tutela. La sentenza della Corte, avallando la precedente giurisprudenza di merito italiana che riconosceva la risarcibilità del danno non patrimoniale da vacanza rovinata, fornisce un’interpretazione autentica della disciplina turistica, favorendo l’ingresso «ufficiale» nell’ordinamento italiano del «danno morale da vacanza rovinata».

Attualmente, la materia dei contratti aventi per oggetto i servizi turistici è disciplinata dal Codice del Turismo (D.Lgs. n.79/2011), nel quale sono state trasfuse le norme ricomprese nella parte terza del Codice del Consumo, che, a sua volta, aveva inglobato la disciplina del Decreto Legislativo n. 111/1995 concernente i viaggi e le vacanze tutto compreso (attuativa della direttiva Cee n. 90/314).

Il Codice del Turismo all’art. 47 definisce il danno da vacanza rovinata il “danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta” dovuto all’inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano l’oggetto del pacchetto turistico.

E’ evidente come, nel caso di località balneare colpita da inquinamento ambientale, possa configurarsi il danno in questione, qualora tale contaminazione non sia rappresentata dal tour operator ed il turista abbia acquistato, a propria insaputa, un pacchetto vacanza in un ambiente insalubre ed inquinato. Anche spiaggia e mare puliti sono, perciò, una legittima aspettativa di chi va in vacanza, e la possibilità di godere di un periodo di riposo e di svago in un ambiente salubre è senz’altro un bene della vita meritevole di tutela. E se la vacanza non si svolge come ci si aspettava e secondo le previsioni contrattuali, è possibile pretendere il risarcimento del danno per i disagi, per lo stress subiti in corso di viaggio, ed eventualmente anche per il danno alla salute della persona: danno, quest’ultimo, che vale a maggior ragione per i residenti del sito in questione.

L’ambiente in cui si svolge la vita è, infatti, il primo elemento in grado di incidere sulla salute umana. Ogni alterazione dei beni naturali o il loro degrado possono mettere in serio pericolo la vita degli individui e delle generazioni future. La tematica ambientale coinvolge, pertanto, un diritto costituzionalmente garantito, ovvero quello alla salute che è considerato assoluto ed inviolabile. La sua difesa è apprestata dall’articolo 2059 del codice civile che attiene alla tutela dei danni non patrimoniali. Il suo risarcimento non potrà, dunque, esaurirsi nella sola valutazione dell’attitudine del soggetto a produrre ricchezza, ma dovrà considerare anche tutte le funzioni naturali dell’essere umano che siano state pregiudicate od addirittura compromesse a causa della contaminazione ambientale. Si pensi, ad esempio, al danno subito dalla popolazione esposta all’inquinamento di una base militare o di una fabbrica che immettono nel mare e lungo la spiaggia sostanze nocive che provocano decessi e malattie anche gravi nelle persone che vivono in prossimità dell’area interessata.

In questi casi si parla, innanzitutto, di danno biologico consistente nella lesione della salute, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno in questione può avere ad oggetto tanto l’invalidità temporanea, che consiste nel numero di giorni necessari per la guarigione ed il ritorno alla normale attività, quanto l’invalidità permanente qualora la malattia comporti postumi indelebili residuati dalla lesione. Nella valutazione del danno il medico legale dovrà considerare la gravità della lesione e tutte le circostanze esaminate in relazione al mutamento delle condizioni biologiche della vittima.

Nel caso di lesioni plurime derivate da un medesimo fatto lesivo, il danno è unitario, per cui la valutazione delle singole menomazioni, che determinano un peggioramento globale della salute, deve essere complessiva. La persona, in quanto titolare del diritto inviolabile all’integrità fisica, potrà agire direttamente contro il responsabile del danno ambientale per pretendere il risarcimento della lesione della propria salute. Il danno biologico si riferisce non solo ai danni fisici ma anche ai danni psichici quali la depressione, la sindrome ansiosa e le psico-patologie. Questi ultimi sono valutati anche nelle ipotesi di morte di una persona e nell’influenza che tale circostanza abbia avuto nella psiche dei suoi familiari o cosiddette vittime secondarie. In questi casi s’impone un’attenta valutazione circa il rapporto intercorrente tra la vittima primaria (ovvero la persona malata a causa dell’inquinamento) e la vittima secondaria (ad esempio il coniuge dedito alle cure del malato). Anche di tale aspetto si dovrà tener conto nella liquidazione del danno al fine di assicurare il corretto risarcimento del pregiudizio subito dalla vittima dell’inquinamento ambientale.

Dott.ssa Francesca Boscolo

 Foro di Padova

 

In foto, la spiaggia “da sogno” di Murtas, in Sardegna, che sotto un’acqua limpidissima nasconde ancora i resti delle esplosioni e degli esperimenti a mare del Poligono sperimentale e di addestramento interforze Salto di Quirra, la più importante base europea per la sperimentazione di nuove armi, missili, razzi e radio-bersagli. Questa spiaggia è stata a lungo interdetta in seguito all’inchiesta avviata dalla Procura di Lanusei nel 2011 sulla base delle statistiche choc su morti e tumori, specie tra i pastori, su bambini e animali nati con malformazioni, che si concentravano attorno alla piccola frazione di Quirra. Non a caso si parla di “Sindrome di Quirra”.

 

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