Responsabilità e risarcimento da mancato consenso informato

Per un paziente che lamenti la lesione del diritto all’autodeterminazione per non essere stato adeguatamente informato su un intervento chirurgico non è sempre necessario provare che, se l’informativa fosse stata corretta e completa, non si sarebbe sottoposto all’operazione.

Possono infatti esserci anche dei casi in cui gli esiti dell’intervento sono stati così inattesi e dolorosi, con relativo peggioramento delle condizioni di salute, che si può ben e ragionevolmente presumere che questi, quand’anche avesse comunque acconsentito alla sua esecuzione, non è stato però messo nelle condizioni di valutare se affrontarne le conseguenze. E tale pregiudizio patito va risarcito. E’ un’ordinanza di notevole rilevanza sul fronte dell’obbligo del consenso informato e della tutela dei diritti dei pazienti quella, la n. 16633/23, depositata dalla Cassazione il 12 giugno 2022.

 

Un paziente cita l’Asl per un errore nell’intervento subito e il mancato consenso informato

Un paziente aveva citato in giudizio davanti al Tribunale di Bolzano l’Azienda Sanitaria della locale provincia autonoma chiedendone la condanna al risarcimento per i danni biologici e patrimoniali causati da un errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico di asportazione di un’ernia del disco eseguito presso l’ospedale della Asl in questione, nonché di quelli derivanti dal diritto all’autodeterminazione per mancanza del consenso informato e questo in ragione all’aggravamento, nei mesi successivi alle dimissioni, della sintomatologia dolorosa che l’aveva spinto ad effettuare l’operazione.

La Corte d’appello riconosce il danno per l’inadeguata informazione sulle complicanze

In primo grado il giudice aveva rigettato le domande, mentre in secondo, in parziale accoglimento del gravame interposto dal danneggiato, la Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, nel 2020 aveva accolto soltanto la seconda istanza, riconoscendo fondata la pretesa risarcitoria per il danno non patrimoniale diverso dal danno biologico per la mancanza di prova che fosse stata fornita al paziente adeguata e completa informazione anche sulle possibili complicanze dell’intervento, pur correttamente eseguito. Il giudice di seconde cure aveva stabilito che fosse liquidata all’appellante la somma di settemila euro, condannando l’azienda sanitaria anche al pagamento per intero delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

 

L’Azienda Sanitaria ricorre in Cassazione contestando la carenza informativa imputatale

A questo punto è stata l’Asl a ricorrere per Cassazione. Tra i vari punti, la ricorrente ha obiettato che la prova del consenso informato andava desunta dalla sottoscrizione dell’apposito modulo, che non era ricco di dettegli sull’intervento, ha ammesso l’Azienda, sostenendo però che l’informazione poteva essere data anche oralmente e la relativa prova si poteva trarre per presunzioni. Secondo l’Asl, peraltro, un modulo eccessivamente dettagliato potrebbe far ritenere inadeguata l’informativa medica proprio perché troppo articolata e complessa e, quindi, non intellegibile per un paziente privo di conoscenze specifiche.

Nello caso di specie, inoltre, sempre secondo la tesi difensiva, l‘elemento indiziario da cui trarre la prova per presunzioni dell’adeguata informativa si poteva e doveva trarre dal fatto che il paziente era stato sottoposto a diverse visite e controlli, elemento che emergeva dal modulo sottoscritto del consenso informato, senza contare altre prove documentali quali l’annotazione nel diario clinico in ordine all’avvenuta informazione redatta dal medico che vi aveva materialmente provveduto o il giudizio del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice, secondo il quale, per citarlo, non risultava “esservi stata alcuna carenza nell’informazione del paziente che ha regolarmente firmato un consenso informato”.

Asserisce che le complicazioni accusate dal danneggiato erano rare

L’Azienda ha quindi aggiunto che alla base della ricomparsa della grave sintomatologia dolorosa nel paziente dopo l’intervento non vi sarebbe stata una complicanza medica vera e propria, come affermato nella sentenza impugnata, ma una semplice reazione cicatriziale incongrua determinata da fattori di predisposizione individuale del paziente, evidenziando anche come la formazione di fibromi o aderenze chirurgiche in caso di interventi quale quello in oggetto aveva un’incidenza statistica bassissima, pari al cinque per cento.

E lamenta la mancata prova che, se informato, il paziente avrebbe rifiutato l’operazione

Ma soprattutto, ed è l’elemento che più preme, la ricorrente ha imputato alla Corte d’appello un grave errore “in iudicando perché la responsabilità risarcitoria per mancato consenso informato presupporrebbe la prova, nello specifico mancante (e anzi potendo trarsi una prova contraria) che il paziente, ove correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento.

 

Ma la Suprema Corte rigetta le doglianze, il consenso deve essere completo ed esplicito

Ma la Suprema Corte ha rigettato tutte le doglianze, confermando integralmente il giudizio d’appello. Il consenso del paziente, spiegano i giudici del Palazzaccio, “oltre che informato, dev’essere consapevole, completo (deve riguardare cioè tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) e globale (deve coprire non solo lintervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso), e dallaltro, esso deve essere esplicito e non meramente presunto o tacito”. E qui la Suprema Corte rammenta come la complicanza verificatasi “non sia stata considerata, anche dai consulenti, eccezionale o altamente improbabile, essendo piuttosto ad essa assegnata una percentuale di verificazione (del 5 per cento) bassa ma tuttavia non a tal punto da potersi qualificare nei termini anzidetti”.

La complicanza era comunque prevedibile

In tale contesto, secondo i giudici del Palazzaccio, è del tutto irrilevante, “oltre che privo di riconoscibile consistenza sul piano lessicale, l’assunto che laccertata origine della sintomatologia dolorosa, ossia la reazione cicatriziale determinata da fattori di predisposizione individuale, non potrebbe considerarsi una vera e propria complicanza medica. Quel che rileva infatti, ai fini della valutazione da compiere sulla completezza delle informazioni da fornire al paziente, è che si tratti di evento correlabile alla prestazione sanitaria, la cui possibile verificazione sia comunque nota nella letteratura medica e come tale prevedibile, ancorché quale conseguenza di bassa frequenza statistica”.

La Cassazione evidenzia poi la contraddittorietà delle asserzioni della ricorrente laddove da un lato ammetteva che il modulo del consenso informato non era ricco di dettagli, e tuttavia sosteneva che dal mero fatto che in esso si diceva che il paziente era stato sottoposto a visita si sarebbe dovuto trarre la prova presuntiva dell’adeguata e completa informazione.

Giustamente riconosciute le sofferenze morali per gli esiti inattesi e dolorosi dell’intervento

Ma, soprattutto, la Cassazione definisce infondata la censura con cui si contesta il riconoscimento di un danno risarcibile a fronte della mancanza della prova che il paziente, ove correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento “incriminato”. E ciò in quanto “tale censura – avuto riguardo alle conseguenze pregiudizievoli cui il credito risarcitorio era riferito, non direttamente rappresentate dagli esiti dannosi dell’intervento, ma piuttosto dalle sofferenze di carattere morale derivate dagli esiti inattesi in termini di sorpresa, impreparazione e maggiore afflittività – non coglie nel segno, nel caso di specie. La Corte territoriale, difatti, ha ritenuto che la prova dell’esistenza di tale diverso tipo di pregiudizio fosse stata efficacemente offerta dal paziente, con valutazione che resiste alle critiche mosse dalla ricorrente”.

 

La Cassazione fa chiarezza sulla responsabilità da mancato consenso informato

E qui la Suprema Corte coglie l’occasione per ripercorrere lo statuto della responsabilità da mancato consenso informato, quale emergente dalla ormai consolidata giurisprudenza della terza sezione civile della Cassazione.  “L’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente può assumere diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute” rammentano gli Ermellini.

Nel primo caso, l’omessa o insufficiente informazione preventiva “evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario”; nel secondo,l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende, invece, dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile, di regola, in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – che, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso”.

La Cassazione condivide questi enunciati, ma aggiunge che “non esauriscono lo schema concettuale cui occorre far riferimento ai fini della verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria, anche quando dedotta come nascente dalla violazione degli obblighi informativi. Anche in tale caso, prosegue la Suprema corte, “il fatto costitutivo del credito risarcitorio richiede la presenza dei seguenti elementi: la condotta lesiva (ovvero l’omissione o l’incompletezza delle informazioni rese al paziente, insieme con il presunto dissenso all’atto terapeutico);  l’evento di danno (che può essere rappresentato dalla violazione del diritto all’autodeterminazione o della lesione del diritto alla salute o da entrambi allo stesso tempo), legato al primo da nesso di causalità materiale; il danno-conseguenza, ossia le concrete conseguenze pregiudizievoli, derivanti, secondo nesso di causalità giuridica ex art. 1223 cod. civ., dall’evento di danno, queste sole costituendo danno risarcibile nel vigente ordinamento che non ammette la risarcibilità di un danno in re ipsa”.

La lesione del diritto alla salute e di quello all’autodeterminazione

Ricapitolando, pertanto, la violazione degli obblighi informativi dovuti al paziente può dunque essere dedotta “sia in relazione eziologica rispetto all’evento di danno rappresentato dalla lesione del diritto alla salute, sia in relazione all’evento di danno rappresentato dalla violazione del diritto all’autodeterminazione, sia, contemporaneamente, in relazione ad entrambi”.

Nel primo caso, quello cioè del deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla salute, “non vi sono considerazioni particolari da fare quanto al secondo ed al terzo elemento dello schema concettuale già ricordato: risarcibile non sarà, in sé, la lesione dell’integrità psico-fisica, ma le conseguenze pregiudizievoli da questa derivanti (danno patrimoniale, danno biologico, danno morale)”.

La particolarità in tal caso, proseguono i giudici del Palazzaccio, “riguarda piuttosto il primo elemento della fattispecie: il fatto lesivo. In tal caso, infatti, l’omessa informazione assume di per sé carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la rilevanza causale dell’inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa “consenso/dissenso” che qualifica detta omissione. In caso, infatti, di presunto consenso, l’inadempimento dell’obbligo informativo, pur esistente, risulterebbe privo di incidenza deterministica sul risultato infausto dell’intervento correttamente eseguito, in quanto comunque voluto dal paziente. Diversamente, in caso di presunto dissenso, detto inadempimento assume invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l’intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito – e l’esito infausto non si sarebbe verificato – non essendo stato voluto dal paziente. L’allegazione (e la verifica giudiziale) dei fatti dimostrativi dell’opzione “a monte” che il paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante del nesso eziologico tra l’inadempimento e l’evento dannoso”.

Qui il paziente non è stato messo nelle condizioni di affrontare consapevolmente l’operazione

Nel secondo caso, quello cioè del deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione, “le considerazioni da fare riguarderanno invece li terzo elemento dello schema concettuale, ossia i pregiudizi risarcibili” chiarisce la Cassazione venendo al cuore della questione – Quanto al fatto lesivo, invero, se, di regola, occorre allegare e provare, oltre alla violazione dell’obbligo informativo, anche che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento, è di converso ipotizzabile che, pur nel caso in cui possa presumersi che questi avrebbe prestato il consenso (o in cui comunque non v’è prova del contrario, come nella specie), egli non sia stato messo nelle condizioni di autonomamente determinarsi ed affrontarlo consapevolmente. Anche in tale ipotesi, dunque, la violazione dell’obbligo informativo determina comunque la lesione del diritto all’autodeterminazione. Con ciò, però, si rimane pur sempre sul piano dell’evento lesivo (o danno-evento), li quale non costituisce ex se, come detto, danno risarcibile”.

Ed è appunto qui, secondo gli Ermellini, che emerge la peculiarità del caso in esame, rappresentata dal rilievo che, “mentre nel caso di deficit informativo eziologicamente rilevante nella determinazione del danno da lesione del diritto alla salute danno risarcibile è per l’appunto rappresentato dalle conseguenze di tale lesione, secondo i noti criteri che le definiscono sul piano relazionale e morale, nel caso in cui – quale quello di specie – non è questo il danno che viene in considerazione, è indispensabile allegare e provare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito. Va dunque ribadito che un danno risarcibile da lesione del diritto all’autodeterminazione è predicabile se e solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni”.

 

Tutte le possibili casistiche

In relazione all’intrecciarsi, con riferimento alla medesima fattispecie, di allegazioni riguardanti l’esecuzione – inadempiente (ex art. 1218 cod. civ.) o colposa (ex art. 2043 cod. civ.) – della prestazione sanitaria e la violazione dell’obbligo informativo, quest’ultima in relazione sia alla lesione del diritto all’autodeterminazione sia alla lesione del diritto alla salute, come sintetizza infine la Cassazione, possono verificarsi queste ipotesi.

La prima, ricorrono: il consenso presunto (“ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso”); il danno iatrogeno (“l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti”); ciò a causa della condotta inadempiente o colposa del medico, “in tal caso sarà risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria.

La seconda ipotesi, ricorrono: il dissenso presunto (ossia, “può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all’atto terapeutico); il danno iatrogeno; la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria, “in tal caso sarà risarcibile sia, per intero, il danno, biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, ossia le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, che siano allegate e provate, sia pure per presunzioni”.

Nelle terza opzione, ricorrono sia il dissenso presunto che il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria, l’intervento è stato correttamente eseguito: “in tal caso il risarcimento sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto all’autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra li maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto”.

Quarta fattispecie, ricorre il consenso presunto e non vi è alcun danno derivante dall’intervento, “in tal caso nessun risarcimento sarà dovuto

Quinta e ultima ipotesi, ricorrono li consenso presunto e il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria (l’intervento è stato correttamente eseguito): “in tal caso, il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all’autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi e provi che, dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione, gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente.

L’inatteso aggravamento dopo l’intervento è pregiudizio rilevante sul piano risarcitorio

Nella specie, secondo l’indicazione desunta dalla sentenza impugnata, ricorre per l’appunto l’ultima di queste ipotesi, ossia deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione. Ebbene la Corte di merito, “nel vagliare la fondatezza della domanda risarcitoria sotto il detto limitato profilo (come si evince dalla particolare esiguità della somma liquidata), ha valutato la fattispecie nel pieno rispetto dell’esposto schema concettuale, in particolare evidenziando l’apprezzabilità di conseguenze dannose risarcibili diverse dal danno alla salute” vanno a sancire infine gli Ermellini. Riportando le conclusioni delle sentenza impugnata, si legge testualmente: “Considerata la gravità delle condizioni di salute del paziente successivamente all’intervento medico si può ragionevolmente presumere che, anche se avesse acconsentito comunque all’esecuzione dell’intervento (perché non ha provato che se correttamente informato lo avrebbe rifiutato), non è stato però messo nelle condizioni di valutare se affrontarne le conseguenze”.

Si trae da tali considerazioni il corretto apprezzamento, quale pregiudizio rilevante sul piano risarcitorio, delle sofferenze del tutto presumibilmente derivate dall’inatteso aggravamento, nei mesi successivi alle dimissioni, della sintomatologia dolorosa che aveva spinto il paziente ad effettuare l’intervento, in termini come detto di sorpresa, impreparazione, maggiore afflizione – chiude dunque la Suprema Corte –, conseguenze pregiudizievoli tanto più presumibili e tanto più rilevanti quale danno risarcibile, quanto meno prevedibile poteva considerarsi la complicanza, nella specie, come detto, statisticamente ricorrente solo nel 5% dei casi”.

 

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