Le clausole di rivalsa dell’assicurazione Rc-Auto sull’assicurato
L’articolo 172 del Codice della Strada statuisce l’obbligo di usare le cinture di sicurezza in qualsiasi situazione di marcia. Gli obblighi relativi ai sistemi di ritenuta per bambini sono stati introdotti per la prima volta in Italia da una legge del 1988 e poi inclusi nel Cds del 1993. Il legislatore è intervenuto ulteriormente con il Decreto Legislativo 13 marzo 2006, n. 150 (G.U. n. 87 del 13/04/2006), artt. 169 e 172; la legge 1 ottobre 2018, n. 117 ha modificato l’art. 172, introducendo l’obbligo, per chi trasporta bambini di meno di quattro anni, di utilizzare appositi dispositivi antiabbandono su tutti i seggiolini installati su autoveicoli e autocarri di qualsiasi massa, secondo le caratteristiche determinate dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
In sintesi, i bambini di statura inferiore a metri 1,50 vanno assicurati al sedile utilizzando un sistema, debitamente omologato secondo il peso, che permetta loro di essere trattenuti dalle stesse cinture previste per gli adulti. È inoltre proibita l’installazione di seggiolini rivolti contromarcia sui posti protetti da airbag, a meno che non sia stato disattivato.
Le conseguenze anche sul piano risarcitorio dell’omesso uso dei seggiolini per assicurare i bambini in auto
Premesso ciò, occorre porre l’attenzione sulle conseguenze derivanti dall’omesso utilizzo, o errato uso, di tali dispositivi, su come tali omissioni ed errori possano incidere sulle dinamiche risarcitorie in caso di sinistro, e inoltre sui rapporti con la compagnia d’assicurazione che garantisce il veicolo per la responsabilità civile obbligatoria in termini di rivalsa. In questo contesto il genitore che non rispetta le norme sulla sicurezza stradale, e non assicura correttamente il figlio minore al sistema di ritenzione, può vedersi anche parzialmente negato il diritto al risarcimento dall’assicurazione. Infatti, la mancata adozione delle misure previste dalla legge costituisce comportamento illecito, che può determinare una diminuzione dell’entità del risarcimento, secondo un orientamento più risalente della Corte di Cassazione, poi rivisto e modificato dalla stessa.
Il minore terzo trasportato ha sempre diritto ad essere risarcito in caso di incidente, anche se non allacciato
Costituisce fatto notorio, purtroppo, la circostanza per cui in Italia circa il 20 per cento dei bambini non viaggia in auto con le misure di sicurezza adeguate, come seggiolino o cinture di sicurezza, aumentando il rischio di lesioni in caso di incidente, con punte che arrivano al 50 per cento. Tuttavia, in caso di sinistro, l’assicurazione è tenuta a risarcire i danni subiti dal minore, anche se non era adeguatamente protetto. Ciò perché il bambino è considerato un “terzo trasportato” rispetto al titolare della polizza e la compagnia è responsabile per tutte le conseguenze dannose derivanti dalle azioni dell’assicurato. Dunque, se un conducente causa un incidente mentre il proprio bambino si trova in braccio alla madre anziché sul seggiolino, l’assicurazione deve comunque risarcire il danno al minore.
L’origine normativa è costituita dalla legge n. 990/1969, art. 18, che rappresenta il capostipite di quanto è stato successivamente rielaborato negli artt. 140 e 141 del Codice delle Assicurazioni Private, dove si è prevista a favore del danneggiato l’esercizio di una “azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore”, entro il massimale assicurato, così progredendo nella tutela della vittima rispetto al codice civile, che avrebbe necessariamente interposto il rapporto processuale con il danneggiante per l’estraneità del danneggiato dal contratto assicurativo, nonché la regolazione del “diritto di rivalsa verso l’assicurato” dell’assicuratore.
A regolamentare tale fattispecie, dunque, è l’articolo 141 del Cap, che recita: “il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall’impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di legge”. Sul punto, un’ampia parte della dottrina ha inteso svincolare, giusta una lettura sistematica dell’art. 141, il diritto risarcitorio verso l’assicuratore del danneggiato nella species di trasportato da ogni aspetto di responsabilità dell’assicurato vettore, ravvisando in effetti nel sistema una vera e propria no fault rule in cui il “caso fortuito”, posto come limite all’incipit del comma 1, è stato confinato agli “eventi naturali imprevedibili” (secondo la terminologia anglosassone dei c.d. Acts of God). Lo scopo della norma è fornire al passeggero uno strumento aggiuntivo di tutela per agevolare il conseguimento del risarcimento nei confronti dell’impresa assicuratrice, risparmiandogli l’onere di dimostrare l’effettiva distribuzione della responsabilità tra i conducenti dei veicoli coinvolti.
Ma la compagnia può rivalersi sull’assicurato chiedendo il rimborso dei danni risarciti
La rivalsa dell’assicurazione è, invece, una clausola contenuta nella polizza, attraverso cui la compagnia può rifarsi sull’assicurato e chiedere, in alcune circostanze, ivi determinate, il rimborso dei danni risarciti. Ove l’incidente sia stato causato dalla cattiva condotta dell’assicurato, la compagnia, dopo aver liquidato i danni causati a terzi, ha il diritto di rivalersi sull’assicurato medesimo. Il termine “rivalsa” ha come origine etimologica la parola latina (ri)valere, vale a dire, dimostrare in un’altra e diversa occasione le proprie capacità o “fare prevalere il proprio valore”. È utilizzato, nel linguaggio comune, esclusivamente in relazione a un danno, presunto o reale, come sinonimo blando del termine “vendetta”. Nel linguaggio tecnico giuridico il diritto di rivalsa è limitato a pochi istituti minori e molto specifici, nei contratti di assicurazione e nel diritto tributario.
Il contratto di assicurazione
A questo punto è necessario introdurre la definizione di contratto di assicurazione, contenuta nell’art. 1882 c.c.: esso è “il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro (assicurazione contro i danni), ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (assicurazione sulla vita)”. Ciò che emerge dalle disposizioni del Codice civile è l’immagine di un contratto tipico, cioè previsto e normato dal Legislatore; consensuale, che si perfeziona con il consenso delle parti; ad effetti obbligatori, quindi fonte di sole obbligazioni in cui ognuna delle parti assume un’obbligazione verso l’altra; sinallagmatico, con prestazioni corrispettive (al pagamento del premio corrisponde la copertura assicurativa); aleatorio, l’evento da cui deriverà l’obbligazione del contraente-assicurazione è meramente possibile, ma non certa.
L’assicurato, nella stragrande maggioranza dei casi, aderisce a un modulo contrattuale predisposto in via unilaterale da un’impresa che esercita l’attività assicurativa (c.d. tipologia di contratto di adesione), esponendosi al rischio di trovarsi dinanzi a condizioni di polizza squilibrate e/o comunque non ben vagliate alla sottoscrizione. Se da un lato si tratta di una scelta “tecnica”, dettata dalle generali esigenze di omogeneità, e quindi di efficienza dell’attività di impresa, dall’altra, conseguentemente, riduce la possibilità di negoziare il contenuto del contratto: infatti, stante la mancata contrattazione fra le parti, talvolta possono sussistere i presupposti per individuare profili di vessatorietà delle clausole insite in questo tipo di contratto.
Le clausole vessatorie
La disciplina delle clausole vessatorie è statuita sia nel codice civile sia del consumo (d.lgs. 206/05). Presupposto comune è la sussistenza di un effettivo squilibrio dei diritti e obblighi tra le parti derivanti dal contratto. Quanto previsto dagli artt. 1469-bis e ss. del codice civile, oggi artt. 33 e ss. del Codice del consumo, si applica al ricorrere di due presupposti: che le clausole abusive siano contenute in contratti stipulati tra un professionista e un consumatore e che le stesse non abbiano formato oggetto di negoziato individuale. Per eliminare eventuali squilibri, gravanti sul consumatore, quale parte economicamente più debole, le clausole considerate vessatorie sono sanzionate con la nullità, mentre il contratto rimane valido per il resto.
Ma come si fa a capire se una clausola sia effettivamente vessatoria o non sia puramente una clausola che definisce il contenuto del contratto? Non è semplice, tanto che sul punto vi sono stati più interventi della giurisprudenza di legittimità, che ha dato definizioni univoche a fattispecie che, a prima vista, potevano sembrare diverse. A tale scopo è materia spesso ricorrente quella delle “clausole di rivalsa”. Infatti, quasi tutti i contratti assicurativi per la Rc-Auto prevedono le ipotesi di rivalsa dell’Assicuratore verso l’assicurato in determinate circostanze, salvo non siano state espressamente escluse in sede di stipula contrattuale con un pagamento del premio maggiorato.
Le clausole di rivalsa, non vessatorie per la Cassazione, e i casi tipici come la guida in stato d’ebbrezza
L’art. 144 comma 2 del Codice delle assicurazioni statuisce che “per l’intero massimale di polizza l’impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al risarcimento del danno. L’impresa di assicurazione ha tuttavia diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”. Il che significa che, pur sussistendo l’obbligo di copertura assicurativa nei confronti del terzo danneggiato, l’impresa, in determinate ipotesi, potrà agire nei confronti del suo assicurato per ottenere il rimborso di quanto versato al danneggiato come risarcimento.
Ma quali sono le ipotesi di rivalsa? Le più frequenti, inserite nei contratti assicurativi per delimitare l’oggetto della copertura e consentire all’assicurazione, che abbia dovuto risarcire il terzo danneggiato, di rivalersi nei confronti del proprio assicurato, sono: mancata revisione; patente scaduta; guida in stato di ebbrezza e sotto effetto di stupefacenti. Queste sono solo alcune delle ipotesi, le più frequenti, ma tutte configuranti violazioni di norme di legge. Le rivalse sono sempre previste laddove l’assicurazione sia stata obbligata a corrispondere un risarcimento a un terzo danneggiato coinvolto in un sinistro stradale nel quale l’assicurato versava in una delle condizioni configuranti le ipotesi di rivalsa, indipendentemente che la specifica condizione sia stata causa del sinistro.
La Cassazione, con orientamento ormai consolidato, ha escluso che possa ritenersi vessatoria la clausola di una polizza che preveda l’esercizio del diritto di rivalsa dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato che abbia tenuto una condotta di guida censurabile al momento del sinistro. Tale orientamento distingue le clausole limitative della responsabilità, da quelle che, invece, delimitano il rischio garantito, precisando che mentre appartengono al primo tipo le clausole che limitano le conseguenze della colpa e dell’inadempimento o escludono il rischio garantito, sono da considerare appartenenti al secondo quelle che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa, specificando il rischio garantito. In virtù di tale distinguo è stata esclusa la vessatorietà delle clausole di rivalsa, dal momento che “le stesse delimitano l’oggetto del contratto di assicurazione e non possono considerarsi limitative di responsabilità”.
Si potrebbe obiettare che, spesso, viene richiesta all’assicurato la doppia sottoscrizione di dette clausole contenute nelle Condizioni Generali di Assicurazione – CGA, ma, come di recente rimarcato dalla Suprema Corte, è circostanza ormai pacifica che la sussistenza di una doppia sottoscrizione dell’assicurato non implica di per sé che una determinata clausola sia vessatoria. La sottoscrizione non è altro che “un elemento esterno all’atto (…), non può certo valere, da solo, a far ritenere il carattere vessatorio della clausola [di rivalsa]”.
Come può tutelarsi l’assicurato
Quindi nessuna possibilità per l’assicurato? No, in realtà ve n’è più di una per chi non intenda incorrere nel rischio di vedersi chiedere dalla propria compagnia la somma versata in favore del terzo danneggiato con cui egli abbia avuto un incidente, magari mentre guidava in stato di ebbrezza o aveva dimenticato di effettuare la revisione.
In primis, bisogna sempre leggere attentamente le Condizioni Generali di Assicurazione e tenere una condotta di guida rispettosa della legge, sia il conducente, sia per l’auto posta in circolazione: di norma, il proprietario del veicolo è coobbligato in solido con il conducente. In secondo luogo, si può optare per la “esclusione delle clausole di rivalsa”. Non tutte le compagnie prevedono tale possibilità; tuttavia, eseguendo un efficace scouting, è possibile ricercare la polizza più confacente alle proprie necessità e stipularla con la previsione di tale clausola di esclusione; ovviamente a fronte di un premio molto più elevato della media, visto che l’assicurazione si impegnerà a non rivalersi sull’assicurato in caso di guida “fuori legge”.
Può accadere che, pur stipulando un contratto assicurativo RcA con esclusione delle clausole di rivalsa, queste permangano solo per alcune ipotesi specifiche; quindi, non vi sarebbe una vera e propria esclusione ma una sorta di “riduzione” delle ipotesi. Per cui, da un lato l’assicurato ritiene di non correre nessun rischio di rivalsa, nonostante possa assumere una guida “non corretta”, mentre, al contrario, permane, seppur in modo limitato, il diritto di rivalsa della compagnia assicuratrice. Su tale punto, in una nota pronuncia della Cassazione, è stato respinto il ricorso promosso da una nota compagnia confermando la decisione della Corte d’appello, che aveva già rigettato la richiesta di rivalsa per oltre 320mila euro verso l’assicurato, in seguito al risarcimento erogato al terzo danneggiato in conseguenza di sinistro. Il giudice di secondo grado aveva negativamente scrutinato la domanda dato che l’assicurato aveva precedentemente sottoscritto un modulo predisposto dalla compagnia con la previsione di una copertura massima, in cui rientrava la rinuncia della stessa all’azione di rivalsa; pertanto il contraente non poteva poi vedersi eccepire “una clausola predisposta unilateralmente dalla compagnia escludente il diritto di rivalsa dell’assicurato”. La Cassazione, pur non ignorando la giurisprudenza che esclude la natura vessatoria delle clausole delimitative dell’oggetto del contratto, ne ha fatto buon governo, ritenendo preminente la non contraddittorietà, la conoscenza e conoscibilità del contratto di assicurazione mediante la sua redazione chiara e comprensibile, in virtù dell’uberrima bona fides, che caratterizza il rapporto assicurativo. Dunque, la trasparenza delle condizioni contrattuali è uno strumento fondamentale per addivenire a relazioni contrattuali più corrette; solo attraverso di essa è possibile il riequilibrio delle posizioni contrattuali. Essa costituisce il mezzo per attenuare le asimmetrie conoscitive tra i protagonisti del contratto e dà al consumatore la giusta consapevolezza in ordine all’operazione economica da concludere.
Fermo restando che le regole vanno sempre rispettate, quelle a tutela dei bambini in primis
Per tornare sulle conseguenze dell’omesso e/o improprio uso dei sistemi di ritenzione per i minori, al netto di ogni altra considerazione sulle ragioni di sicurezza sottese alla loro obbligatorietà, si deve convenire che nella nostra esperienza quotidiana, e nel corso di quella storica dell’umanità, in ogni forma di vita umana associata, sono presenti le norme che regolano il nostro modo di parlare, vestire, alimentarci, comportarci, etc. E tuttavia non tutte le norme che conosciamo e osserviamo (o trasgrediamo) costituiscono il diritto. La nozione di validità giuridica, svolta rigorosamente in tutte le sue implicazioni, rimanda a una società che espliciti e istituzionalizzi la propria attitudine a produrre comportamenti autoregolati.
È solo attraverso l’istituzione di procedure determinate che affidano il compito della produzione di norme giuridiche ad assemblee legislative, legittimate dal consenso popolare, che la società moderna finisce col rappresentarsi come artefice della propria autodeterminazione. Ciò significa anzitutto, per riprendere un ossimoro reso famoso da Norberto Bobbio, che “i diritti naturali sono diritti storici”, in quanto effetto di un processo storico che li ha resi possibili. Ma non è tutto. Nel loro essere istituzioni non c’è solo il risultato di un atto che li precede e di cui sono il prodotto: c’è anche e soprattutto la loro appartenenza al campo socio-storico, e quindi la permanente possibilità di riattivare la forza istituente del loro principio generale.
Il corretto uso dei sistemi di ritenzione dei minori nella circolazione dei veicoli risponde non solo ad esigenze di carattere economico (per il pagamento del premio assicurativo) o di deterrenza dal punto di vista sanzionatorio (per le multe conseguenti alla violazione delle norme del CdS), ma anche e soprattutto per il rispetto delle regole sul buon vivere sociale e per la salvaguardia di quel sistema di valori proprio di una società civile ed evoluta.
Avv. Daniele D’Elia
Foro di Taranto