L’infortunio in un supermercato è un danno extracontrattuale
Se ci si fa male in un negozio, in un supermercato o in un centro commerciale a causa di un’omissione nella custodia, manutenzione o mal funzionamento delle strutture imputabile alla proprietà, e si chiede il risarcimento, è bene sapere che il danno derivante da questo tipo di infortuni e di inadempienza è di natura extracontrattuale, e come tale si prescrive in cinque anni.
Lo sa bene una cliente emiliana a cui la Cassazione ha definitivamente respinto la richiesta danni proprio perché fuori temine, con la sentenza n. 16224/22 depositata il 19 maggio 2022, particolarmente interessante perché chiarisce una serie di questioni sulla non facile materia.
Una cliente ferita dalle porte automatiche del supermercato cita in causa la società gestrice
La donna aveva subito un incidente che capita non infrequentemente, soprattutto nelle medie e grandi strutture di vendita: mentre usciva dal supermercato di una grossa catena di distribuzione alimentare, dopo avervi fatto la spesa, era stata violentemente colpita dalle porte a scorrimento automatico, chiusesi all’improvviso, riportando lesioni personali, fatto accaduto nel lontano 1999.
La malcapitata aveva citato in giudizio chiedendo i danni il gestore dell’esercizio e la sua compagnia di assicurazione, ma sia il tribunale di Reggio Emilia, in primo grado, sia la Corte d’Appello di Bologna, in secondo, nel 2019, avevamo rigettato la domanda.
Anche secondo la Corte territoriale doveva essere accolta l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalla società proprietaria del market e doveva escludersi che la responsabilità di quest’ultima avesse natura contrattuale (il che avrebbe comportato il termine di prescrizione decennale, non ancora decorso), quale responsabilità che scaturiva dalla violazione di obblighi derivanti dal contratto di vendita stipulato tra la società gestrice del supermercato e la sua cliente, ulteriori rispetto a quelli tipicamente contemplati a carico del venditore dall’art. 1476 c.c. ed aventi ad oggetto la salvaguardia della integrità fisica della persona del creditore all’interno dei locali del debitore.
Secondo i giudici di appello, tali obbligazioni (cosiddetti “obblighi di protezione“), in quanto relative all’ambiente circostante al luogo dell’adempimento, potrebbero riscontrarsi, infatti, unicamente in quelle figure negoziali in cui “l’uso dello spazio era parte della prestazione contrattuale”, mentre non avrebbero potuto trovare la propria fonte nella vendita, quale contratto da cui scaturiscono a carico del venditore le sole obbligazioni tipiche, specificamente individuate dall’art.1476 c.c..
La danneggiata sostiene che la responsabilità era contrattuale
La danneggiata ha però proposto ricorso anche per Cassazione contestando il giudizio sulla natura della responsabilità in questione. La ricorrente ha cioè criticato la sentenza d’appello nella parte in cui aveva escluso il carattere anche contrattuale della responsabilità medesima (con conseguente necessità di applicazione dell’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art.2946 c.c., non ancora decorso), ribadendo che dal contratto di vendita stipulato dalla cliente all’interno del supermercato sarebbero discese a carico della venditrice obbligazioni ulteriori (i cosiddetti “obblighi di protezione” appunto) rispetto a quelle previste dall’art.1476 c.c., aventi ad oggetto la salvaguardia dell’incolumità personale del compratore: obbligazioni che avrebbero trovato titolo anche nel cosiddetto “contatto sociale” instauratosi tra la cliente e la società gestrice del supermercato.
Ma per la Cassazione, l’argomentazione secondo cui la responsabilità contrattuale della società gestrice del supermercato deriverebbe dall’inadempimento degli obblighi di protezione derivanti dal contratto di vendita, quali obbligazioni accessorie ed ulteriori rispetto a quelle principali, contemplate dall’art.1476 c.c., è infondata, con conseguente rigetto del ricorso. Anche se gli Ermellini tengono a “correggere” la sentenza di appello, di cui pure il dispositivo era conforme a diritto, “nella motivazione”.
La lesione fisica in un punto vendita è risarcibile a titolo di responsabilità extracontrattuale
“L’interesse del cliente di un supermercato a conservare la propria integrità fisica dinanzi al fatto dannoso che può verificarsi all’interno dei locali dello stesso, è un interesse che riceve tutela nella vita di relazione a prescindere dall’acquisto delle merci ivi poste in vendita, e la cui lesione costituisce danno ingiusto risarcibile a titolo di responsabilità extracontrattuale – ribadisce la Cassazione – Precisamente, allorché il danno sia cagionato dalle cose che si trovano all’interno dei locali del supermercato, si integra, nel concorso di tutti gli altri elementi costitutivi, l’ipotesi speciale di responsabilità extracontrattuale di cui all’art.2051 c.c., con conseguente obbligo risarcitorio in capo al custode delle cose medesime”. Nel caso di specie, dunque, l’interesse della cliente del supermercato a conservare il bene della propria integrità fisica dinanzi alla potenzialità dannosa delle cose che si trovavano all’interno dei locali (ivi comprese le porte automatiche di chiusura dell’esercizio) “trovava tutela nella norma volta a sanzionare la responsabilità extracontrattuale della società convenuta quale custode delle cose medesime, tanto nella fase antecedente quanto nella fase successiva alla stipulazione del contratto di compravendita delle merci acquistate”.
Ma i giudici fanno chiarezza sulle “obbligazioni”
I giudici del Palazzaccio, quanto poi alla dedotta violazione degli obblighi di protezione che sarebbero derivati dalla conclusione del predetto contratto, osservato che “tali obbligazioni (tendenzialmente identificate in obblighi contrattuali accessori rispetto all’obbligazione principale derivante da un contratto, il cui fondamento viene ravvisato talora nella buona fede, talaltra nella diligenza, e che hanno ad oggetto la protezione degli interessi della controparte non specificati nel rapporto contrattuale e la salvaguardia dei terzi, i cosiddetti “terzi protetti dal contratto” che, pur non essendo parte del rapporto negoziale, hanno una relazione qualificata – di convivenza, di servizio o di ospitalità – con il creditore e che la prestazione espone ad uno specifico rischio di danno) non devono essere concettualmente distinte (quali obbligazioni diverse ed ulteriori) rispetto all’obbligazione principale, giacché la loro osservanza, in realtà, è imposta proprio dall’esatta esecuzione della prestazione che forma oggetto dell’obbligazione assunta mediante la stipulazione del contratto (o mediante l’instaurazione del contatto sociale)”.
Dal punto di vista della disciplina generale dell’obbligazione, infatti, prosegue la Suprema Corte, poiché la prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio deve corrispondere all’interesse creditorio (art.1174 c.c.), “è a quest’ultimo che occorre guardare per determinarne l’esatto contenuto e per formulare il giudizio di esatto adempimento”.
Gli Ermellini fanno l’esempio del trasporto di persone o di cose, in cui l’interesse creditorio non viene soddisfatto con il mero trasferimento delle prime o delle seconde da un luogo all’altro (art.1678 c.c.) ma, nel primo, con la riconsegna delle cose integre al destinatario nel luogo, nel termine e con le modalità stabilite dal contratto o dagli usi e, nel secondo, con il trasferimento delle persone, incolumi, nel luogo di destinazione.
Allo stesso modo, nel contratto di albergo, l’obbligo di somministrare vitto e alloggio non esaurisce l’ambito della prestazione alberghiera, la quale necessariamente implica anche doveri accessori di salvaguardia dell’incolumità dei clienti in relazione alle caratteristiche proprie del contesto in cui il soggiorno ha luogo.
“Dunque, l’interesse creditorio, quale elemento costitutivo del rapporto obbligatorio, oltre che come condizione di esistenza dell’obbligazione (art. 1174 c.c.) e come parametro di accertamento della gravità dell’inadempimento (art. 1455 c.c.), rileva quale criterio di determinazione della prestazione da eseguire e quale criterio di valutazione della prestazione eseguita – puntualizza la Suprema Corte -: per un verso, la prestazione si determina secondo la sforzo diligente normalmente adeguato a soddisfare l’interesse del creditore; per altro verso, deve considerarsi liberatoria quando essa abbia comunque conseguito il soddisfacimento dell’interesse del creditore, pur non essendo esattamente conforme al previsto per la presenza di irrilevanti inesattezze qualitative o quantitative”.
L’osservanza del dovere di salvaguardia della persona e dei beni del creditore (quando l’esecuzione della prestazione o le modalità dell’adempimento li espone ad uno specifico rischio di danno) – e persino l’osservanza del dovere di salvaguardia di altre persone legate da rapporti peculiari con il creditore – non corrisponde, pertanto, all’adempimento di obbligazioni accessorie, concettualmente distinte ed ulteriori rispetto all’obbligazione dedotta nel contratto, “ma corrisponde all’esatto adempimento di questa obbligazione, avuto riguardo alla determinazione del contenuto della prestazione in relazione all’interesse creditorio”.
Così come sulla disciplina del contratto
Analoghe osservazioni si possono compiere se “dall’angolo visuale” della disciplina generale dell’obbligazione si passa alla più specifica prospettiva della disciplina del contratto: “la rilevanza dell’interesse creditorio, quale interesse specifico che assume connotati diversi da caso a caso, pur nell’ambito di una medesima tipologia di obbligazioni o di obbligazioni che hanno ad oggetto la medesima tipologia di prestazioni, è aumentata con l’emersione del concetto di causa concreta, che esprime la sintesi degli interessi concretamente perseguiti attraverso l’operazione contrattuale, e cioè il suo scopo pratico, dando rilevanza all’interesse individuale delle parti. Vi è, infatti, una relazione biunivoca tra la causa del contratto e l’interesse creditorio: quando l’obbligazione ha titolo in un rapporto contrattuale, da un lato la causa concreta del contratto consente di determinare l’interesse creditorio; dall’altro lato, l’interesse creditorio concorre ad integrare la predetta causa concreta del contratto e, quindi a determinarne gli effetti naturali”.
Perciò, tira le fila del discorso la Suprema Corte, la circostanza che l’interesse creditorio assuma connotati diversi da caso a caso, anche nella medesima tipologia di obbligazioni, “non consente di ritenere corretta in iure l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui gli obblighi di protezione possono riscontrarsi unicamente in quelle figure negoziali in cui “l’uso dello spazio è parte della prestazione contrattuale”, mentre essi restano estranei al contratto di vendita, da cui deriverebbero solo gli obblighi tipizzati nell’art.1476 c.c.. L’esatto adempimento dell’obbligazione richiede che il debitore impieghi la cautela, la prudenza, la cura e la perizia necessarie, in conformità ad oggettivi canoni sociali (art.1176, primo comma, c.c.) o professionali (art. 1176, secondo comma, c.c.) di comportamento, per salvaguardare la persona o i beni del creditore, a prescindere dalla natura del contratto, quando l’esecuzione della prestazione o le modalità di attuazione del rapporto obbligatorio li espongano ad un pericolo di pregiudizio”.
Dunque, anche l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di vendita (gli Ermellini citano l’esempio del caso in cui l’obbligo di consegnare la cosa potenzialmente dannosa debba essere eseguito nei locali dell’impresa o dell’abitazione del compratore, con rischio di pregiudizio dei suoi dipendenti o dei suoi familiari) può richiedere l’osservanza delle cautele finalizzate alla tutela della persona del creditore o dei terzi. Tali cautele, peraltro, rientrano nel contenuto della prestazione oggetto della obbligazione dedotta nel contratto (non in quello di eventuali obbligazioni accessorie, distinte ed ulteriori) quale si determina in relazione ai connotati specifici assunti dall’interesse creditorio nella concreta operazione contrattuale.
L’esecuzione dell’obbligo di consegna della cosa venduta si atteggia, invece, diversamente nella vendita conclusa all’interno del supermercato, “allorché l’eventuale pericolo di pregiudizio dell’incolumità fisica del compratore non sia occasionato dalle modalità di adempimento delle obbligazioni del venditore ma piuttosto dalla potenzialità dannosa delle cose che si trovano all’interno del locale, sicché il rischio di danno, non essendo legato all’attuazione dell’obbligo contrattuale, concerne allo stesso modo (e con le medesime probabilità di accadimento) tanto la persona che abbia provveduto all’acquisto (e sia parte di un contratto di vendita con l’eventuale responsabile) quanto la persona che non vi abbia provveduto ma che comunque si trovi all’interno dei locali. In tal caso, l’eventuale concretizzazione di questo rischio in un evento di danno, ascrivibile – come nella vicenda in esame – non alla mancata osservanza della dovuta diligenza adempitiva da parte del venditore ma all’esplicazione della predetta potenzialità dannosa delle cose che si trovano nel supermercato, può essere riguardato esclusivamente quale fatto generatore di responsabilità extracontrattuale a carico del custode delle cose medesime”.