Il presunto “stato di necessità” non evita la condanna al pirata
Si era giustificato sostenendo di aver agito in buona fede e di non essersi reso contro di aver causato un incidente, e che si era allontanato per soccorrere la madre, caduta in casa, ma tali improbabili scuse non sono valse all’ennesimo “pirata” della strada ad evitare la “sacrosanta” condanna per fuga, definitivamente confermata dalla Cassazione, quarta sezione Penale, con la sentenza n. 7411/24 depositata il 20 febbraio 2024.
Automobilista condannato per fuga e omissione di soccorso
A ricorrere alla Suprema Corte un automobilista condannato anche in secondo grado dalla Corte d’appello di Firenze che, con decisione del marzo 2023, aveva confermato il giudizio di penale responsabilità nei suoi confronti in relazione ai reati di cui all’art. 81 cpv. cod. pen. e all’art. 189 co. 1 e 6 e 189 co. 1 e 7 del Codice della Strada, per aver causato un incidente stradale a seguito del quale una donna aveva riportato lesioni personali, violando i conseguenti obblighi di fermarsi e di prestare assistenza.
L’imputato invoca a sua discolpa, tra l’altro, lo stato di necessità
Con l’atto di appello, l’imputato aveva chiesto l’assoluzione per assenza di dolo in quanto riteneva di aver agito in buona fede, inconsapevole di aver causato un sinistro stradale; in subordine, invocava la scriminante dello stato di necessità perché la sua condotta sarebbe stata dettata dalla volontà di prestare assistenza alla madre, avendo egli appreso da una telefonata di una sua caduta; infine, chiedeva l’assoluzione per mancanza dell’elemento psicologico.
La Corte d’appello rigetta tulle le giustificazioni
La Corte d’Appello, nel respingere la doglianza circa l’assenza di dolo, aveva sottolineato come ciò si scontrasse con le dichiarazioni rese dall’imputato stesso in relazione alla dinamica dei fatti e alla sua scelta di non fermarsi. In particolare, risultava inverosimile che egli fosse ritornato dopo qualche ora sul luogo dell’incidente senza notare la presenza degli agenti di polizia municipale ancora impegnati nei rilievi, i quali, d’altronde, si sarebbero avveduti del passaggio del veicolo che era sprovvisto di specchietto retrovisore esterno.
Altro elemento considerato dai giudici di merito nella loro sentenza era stata poi la totale mancanza di collaborazione da parte dell’imputato, il quale non aveva mai messo a disposizione la sua auto per accertamenti, ragion per cui il suo comportamento complessivo, e l’impossibilità di attribuire a terzi la responsabilità, escludevano l’assenza di dolo.
Non vi erano gli estremi, poi, secondo la Corte territoriale, per integrare lo stato di necessità poiché l’imputato non era l’unico soggetto che avrebbe potuto prestare soccorso alla madre: la telefonata durante la quale la donna avvisava il figlio di essere caduta non era sufficiente, secondo i giudici, per violare l’obbligo di cui all’art. 189 C.d.S.
In Cassazione il pirata censura l’interpretazione della norma sull’elemento psicologico
L’imputato, tuttavia, come detto, è voluto andare fino in fondo proponendo ricorso anche per Cassazione lamentando in primis violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico di entrambi i reati ascritti.
La Corte d’appello, a suo dire, avrebbe erroneamente interpretato la normativa relativa all’elemento psicologico ritenendo sussistente il dolo, nella forma del dolo eventuale, senza effettuare una distinzione tra i due reati contestati, in quanto, secondo la tesi difensiva, affinché sia integrato il reato di mancata prestazione di assistenza in caso di incidente, occorre che il pericolo di danno alle persone si sia concretizzato in effettive lesioni all’integrità fisica delle stesse.
Il dolo, insisteva l’imputato, dovrebbe ritenersi escluso qualora l’omissione di soccorso sia conseguenza di un errore di valutazione in cui è occorso l’imputato; è necessario considerare le circostanze da egli concretamente percepite al momento del fatto al fine di evitare l’attribuzione di colpevolezza a titolo di responsabilità oggettiva. È, quindi, da escludere che l’imputato potesse immaginare di aver arrecato delle lesioni alla persona offesa, stante i minimi danni visibili sul veicolo.
E insiste sullo stato di necessità, avrebbe dovuto soccorrere la madre caduta
Il ricorrente è poi tornato a dedurre violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in relazione alla mancata sussistenza della scriminante dello stato di necessità, almeno in forma putativa.
L’incidente accaduto alla madre dell’imputato sarebbe stato, a suo dire, un fatto concreto, non una sensazione soggettiva, provato grazie alle dichiarazioni dei testi e altresì considerato dai giudici ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La valutazione circa la sussistenza dello stato di necessità andava compiuta ex ante, secondo il “pirata”, per cui non sarebbe stata possibile la sua esclusione sulla base del fatto che ex post la signora non avesse riportato danni gravi. L’imputato avrebbe cioè agito nella convinzione di trovarsi in una situazione emergenziale.
Infine, il ricorrente ha dedotto violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in relazione alla violazione della “presunzione di innocenza” e dei principi in tema di onere della prova. La Corte territoriale gli avrebbe attribuito la responsabilità del comportamento negligente degli inquirenti, avendo riconosciuto essa stessa la non accuratezza degli accertamenti svolti, fatto di cui non si sarebbe potuta attribuire responsabilità all’imputato. E ha lamentato anche il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen.
Ma la Suprema Corte rigetta tutte le doglianze a partire dallo stato di necessità
La Cassazione tuttavia ha rigettato tutte le doglianze, a cominciare dalla invocata sussistenza della scriminante dello stato di necessità. “E’ principio consolidato che l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato” obiettano gli Ermellini, rilevando come nel caso di specie la Corte territoriale avesse correttamente applicato il principio esposto.
L’imputato, infatti, non aveva mai documentato nulla in ordine alla circostanza della riferita caduta della anziana madre: “anzi, come rilevato anche dal primo giudice, non risultava neppure che fosse stata chiamata l’ambulanza, elemento, questo, tale da escludere in radice una situazione di pericolo di gravità tale da integrare i presupposti della scriminante invocata” sottolineano i giudici del Palazzaccio.
L’elemento soggettivo del reato e il dolo eventuale
Esclusa la sussistenza dello stato di necessità, la Suprema Corte esamina anche gli altri motivi di ricorso, ribadendo che “il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell’assistenza occorrente, previsti rispettivamente dal sesto e dal settimo comma dell’art. 189 C.d.S., hanno diversa oggettività giuridica, essendo la prima previsione finalizzata a garantire l’identificazione dei soggetti coinvolti nell’investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda è finalizzata a garantire che le persone ferite non rimangano prive della necessaria assistenza”.
La Suprema Corte rammenta anche che “l’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6, è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente, sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi. Dunque, per le modalità di verificazione del sinistro e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente deve rappresentarsi la semplice possibilità che dall’incidente sia derivato un danno alle persone”
Premesso questo, prosegue la Cassazione, “mentre nel reato di “fuga” previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6, è sufficiente che si verifichi un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, per il reato di omissione di soccorso il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso. Si è costantemente ritenuto che l’elemento soggettivo del reato di mancata prestazione dell’assistenza occorrente in caso di incidente (art. 189, c:omma 7, cod. strada), può essere integrato anche dal dolo eventuale, ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti”
Dunque, il dolo eventuale, “pur configurandosi normalmente in relazione all’elemento volitivo, può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio”.
L’imputato non poteva non essersi reso conto di aver causato un incidente
Ebbene, nello specifico, va a concludere la Cassazione, era stato chiaramente accertato che non era credibile la versione fornita dal ricorrente che, pur ammettendo di aver causato il sinistro così come verificatosi, “era altresì certo di non aver provocato alcuna conseguenza stante l’assenza di danni sulla propria auto. Le modalità del sinistro portano a ritenere invece pienamente integrati i reati contestati al ricorrente. Tenuto infatti conto della improvvisa invasione della corsia opposta da parte dell’imputato, delle repentine manovre di emergenza adottate, che avevano costretto la persona offesa ad uscire fuori dalla carreggiata arrestandosi sulla banchina laterale, della perdita della calotta dello specchietto a seguito dell’urto, l’imputato ben poteva rappresentarsi le conseguenze dell’incidente provocato, rifiutando invece di procedere ad ogni doveroso accertamento ed accettando pienamente il rischio della relative conseguenze”. Dunque, ricorso rigettato e condanna pienamente confermata.