Per far valere la garanzia per vizi in tema di compravendita è sufficiente l’atto stragiudiziale
Quante volte capita che un acquirente contesti i beni acquistati. E che ne nasca un contenzioso con il venditore. Ma in questi casi quali sono le modalità e soprattutto i tempi entro i quali il compratore può denunciare il vizio?
Quali sono i termini di prescrizione e come possono essere interrotti? Si tratta di una questione tutt’altro che di lana caprina, anche perché interessa milioni di consumatori, al punto da essere stata rimessa al giudizio delle Sezioni unite della Cassazione, che, con la sentenza n. 18.672 dell’11 luglio 2019, hanno stabilito che per interrompere la prescrizione è sufficiente anche un atto stragiudiziale.
Un contenzioso tra due aziende per delle piante con virosi
La pronuncia trae origine dalla citazione in causa presentata da un’azienda agricola nei confronti di un vivaio per ottenere la riduzione sul prezzo di una partita di piante acquistate il 29 febbraio 2004, salvo il risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio.
L’azienda spiegava di aver aver provveduto alla restituzione di una parte delle piante l’8 marzo 2004, in quanto palesemente affette da virosi, e di aver reiterato la denuncia per vizi con quattro raccomandate, a cui però la ditta venditrice non aveva dato alcun riscontro, procedendo esecutivamente per il recupero del credito residuo.
Costituitasi in giudizio, il vivaio aveva eccepito la tardività della denuncia dei vizi e la conseguente decadenza dalla garanzia, nonché la prescrizione dell’azione.
Il giudice di pace aveva accolto domanda di riduzione del prezzo, pronuncia poi confermata, nel 2013, dal tribunale di Taranto, che aveva respinto le eccezioni di decadenza e prescrizione riproposte in appello dall’impresa venditrice, ritenendo, quanto alla decadenza, che l’acquirente aveva avuto piena contezza dei vizi nel corso del tempo, e che, per effetto delle note inviate nel 2004 e 2005, poteva ritenersi osservato il termine decadenziale; quanto alla prescrizione, il tribunale rilevò che l’azione di garanzia poteva ritenersi utilmente interrotta dalle diverse comunicazioni, con le quali l’acquirente aveva manifestato per iscritto alla venditrice l’inidoneità delle piante all’innesto, prospettando in tali missive anche il ricorso alla tutela giudiziaria, poi concretamente attuato.
La ditta fornitrice ricorre per Cassazione
Avverso quest’ultima sentenza di merito, tuttavia, la parte venditrice ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di tre motivi. Con il primo, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 c.c. nonché, sotto diverso profilo, degli artt. 2697 e 1491 c.c., congiuntamente all’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto della controversia, avuto riguardo all’esclusione – nell’impugnata sentenza – della fondatezza della formulata eccezione di decadenza dal diritto alla garanzia. Con il secondo, ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495, comma 3, c.c. in uno alla prospettazione del vizio di omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto della controversia, con riferimento alla statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Taranto con la quale era stata ritenuta l’idoneità di preventivi atti di costituzione in mora quali atti utili ad interrompere la prescrizione annuale di cui alla norma ritenuta violata, non rilevandosi l’indispensabilità – a tal fine – di dover ricorrere all’esercizio dell’azione giudiziale in senso proprio. Con il terzo motivo, infine, ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. sotto diverso profilo, ancora congiuntamente all’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto della controversia, in ordine all’asserita confusione dei vizi originari delle piante oggetto della compravendita con il pregiudizio subito dal compratore ritenuto riconducibile a tali vizi, con la mancata valutazione di circostanze che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione.
La Cassazione rimette la questione alle Sezioni Unite
Con ordinanza interlocutoria n. 23857/2018, depositata il 31 gennaio 2018, la Seconda Sezione civile ha rilevato l’emergenza di una questione di massima di particolare importanza riferita all’istituto della garanzia per vizi nel contratto di compravendita e, specificamente, sull’aspetto se fossero configurabili come idonei degli atti interruttivi della prescrizione (prevista dall’art. 1495, comma 3, c.c., ai sensi degli artt. 2943 e segg. c.c.) diversi dalla proposizione dell’azione giudiziale, e se, ed in quale misura, detti atti interruttivi inibissero il decorso della prescrizione in relazione alle azioni edilizie, e il primo Primo Presidente ha così disposto – ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c. – la decisione sul ricorso da parte delle Sezioni unite.
Prima di esaminare la questione di massima di particolare importanza, posta con l’ordinanza interlocutoria in riferimento al secondo motivo di ricorso, le Sezioni Unite valutano il primo motivo formulato dalla ricorrente “siccome attinente al profilo preliminare della prospettata erroneità dell’impugnata sentenza circa la ritenuta tempestività della denuncia dei vizi operata dalla società Azienda Agricola”. Secondo i giudici, la censura è inammissibile perché essa si risolve nella sollecitazione a sindacare le valutazioni di merito compiute dal Tribunale di Taranto in ordine alla denuncia tempestiva dei vizi della partita di piante oggetto di compravendita, su cui, invece, il Tribunale “ha motivato adeguatamente ed in conformità al dettato di cui all’art. 1495, comma 1, c.c., avuto in particolare riguardo all’individuazione della decorrenza del previsto termine di otto giorni per procedere alla relativa denuncia con riferimento all’accertata condizione della effettiva “scoperta” dei vizi. A tal proposito le Sezioni Unite ricordano che il giudice di appello – conformemente a quello di primo grado – ha ritenuto, “con adeguato apprezzamento di fatto immune da vizi logici o giuridici (e, perciò, non sindacabile in sede di legittimità)”, che tale tempestività avrebbe dovuto farsi decorrere “dal momento in cui la società acquirente aveva acquisito la certezza oggettiva dell’esistenza del vizio per gradi ed in tempi diversi e che, solo all’esito degli accertamenti eseguiti dal proprio perito, era stato possibile avere piena contezza del vizio medesimo”. In particolare, il Tribunale tarantino sul punto aveva attestato che la società acquirente, anche per effetto dei contrasti valutativi che avevano riguardato l’eziologia delle caratteristiche negative che afferivano alle piante, aveva avuto una completa ed effettiva cognizione dei vizi in concreto incidenti sulla qualità e sull’idoneità del prodotto alla specifica funzione cui era preposto nel corso del tempo, in ragione dei tempi colturali e degli accertamenti compiuti dal proprio tecnico. “In tal modo – concludono le Sezioni Unite – il Tribunale si è uniformato alla pacifica giurisprudenza di questa Corte, alla stregua della quale, in tema di compravendita, il termine di decadenza dalla garanzia per vizi occulti decorre solo dal momento in cui il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva dell’esistenza e della consistenza del vizio lamentato, non essendo sufficiente il semplice sospetto (…) Ed è importante puntualizzare come sia anche stato condivisibilrnente affermato il principio secondo cui il termine di decadenza per la denunzia dei vizi della cosa venduta ai sensi dell’art. 1495 c.c., pur dovendo essere riferito alla semplice manifestazione del vizio e non già alla sua individuazione causale, decorre tuttavia solo dal momento in cui il compratore abbia acquisito la piena cognizione sul piano oggettivo dell’esistenza del vizio, con la conseguenza che ove la scoperta avvenga in via graduale ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sull’entità del vizio stesso, occorre fare riferimento al momento in cui sia effettivamente e compiutamente emersa la relativa scoperta”.
I due orientamenti della giurisprudenza
Fatta questa premessa, le Sezioni unite passano dunque all’esame del secondo motivo che involge propriamente la questione di massima di particolare importanza sottoposta al suo vaglio. La Seconda sezione della Cassazione, – nell’affrontare la questione implicata dal secondo motivo di ricorso, con il quale si contestava che le comunicazioni con cui l’acquirente aveva manifestato alla venditrice l’esistenza di vizi dei beni venduti, prospettando, mediante tali atti, il ricorso alla tutela giudiziaria, poi effettivamente esperito, costituissero atti idonei ad interrompere, la prescrizione della garanzia del venditore e delle azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo che da essa derivano ex art. 1492 c.c. – aveva osservato come su tale questione si siano essenzialmente formati due orientamenti contrastanti nella giurisprudenza della Corte. Secondo un primo indirizzo, la prescrizione della garanzia, stabilita dall’art. 1495, comma 3, c.c. in un anno, è interrotta dalla manifestazione stragiudiziale al venditore della volontà – del compratore – di volerla esercitare, anche se il medesimo riservi ad un momento successivo la scelta tra la tutela alternativa di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto. Ai fini interruttivi, peraltro, non sarebbe necessaria la precisazione del tipo di tutela giudiziaria che il compratore intende richiedere né risulterebbe rilevante che egli riservi ad un momento successivo tale scelta. L’interpretazione accolta da tali pronunce postula la distinzione tra la garanzia, intesa quale situazione giuridica autonoma suscettibile di distinti atti interruttivi della prescrizione, e le azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c. che da essa derivano. Tale distinzione sarebbe alla base della sentenza delle stesse Sezioni unite n. 13294 del 2005, la quale ha affermato che l’impegno del venditore di eliminare i vizi della cosa venduta non costituisce una nuova obbligazione estintivo-satisfattiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di essere svincolato dai termini di decadenza e dalle condizioni di cui all’art.1495 c.c. ai fini dell’esercizio delle azioni di cui al citato art. 1492 c.c., costituendo riconoscimento del debito interruttivo della prescrizione.
Secondo un diverso orientamento, invece, la facoltà riconosciuta al compratore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo ha natura di diritto potestativo a fronte del quale la posizione del venditore è di mera soggezione. Conseguentemente, si è ritenuto che il termine di prescrizione per l’esercizio di tali azioni possa essere interrotto unicamente attraverso la domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora ex art. 1219, comma 1, c.c. i quali si attagliano ai diritti di credito ma non ai diritti potestativi. Tale ricostruzione non distingue tra prescrizione della garanzia e prescrizione delle azioni edilizie e condurrebbe a ritenere inidoneo ai fini interruttivi l’impegno del venditore di eliminare i vizi, “e ciò senza indagare se detto atto, in quanto idoneo a interrompere la prescrizione della garanzia, impedisca pure la prescrizione delle azioni edilizie a valle”.
La garanzia
Il nocciolo della questione, dunque, è stabilire quali atti siano idonei ad interrompere il breve termine prescrizionale previsto dall’art. 1495 c.c. e cioè se, a tal fine, valga solo l’azione giudiziale ovvero se siano idonei anche altri atti e quale debba essere il loro contenuto, nonché il rapporto tra la garanzia, intesa quale autonoma posizione sostanziale e processuale, e quali i diritti e le azioni che da essa hanno origine. Una questione che, spiegano le Sezioni Unite, postula a monte la risoluzione di altra controversa problematica relativa alla natura giuridica della garanzia per vizi e del rapporto tra le categorie generali della “garanzia” da una parte e delle situazioni giuridiche passive dall’altra.
Com’è noto, una parte rilevante delle disposizioni codicistiche in tema di vendita concerne le garanzie cui il venditore è tenuto nei confronti del compratore e, in particolare, la garanzia per evizione, la garanzia per vizi (artt. 1490-1496 c.c.), la mancanza di qualità (art. 1497 c.c.) e la garanzia di buon funzionamento (art. 1512 c.c.). La riconducibilità di tutte tali ipotesi ad un medesimo fondamento è tuttora discussa in dottrina e giurisprudenza, così come non è del tutto pacifica la natura giuridica delle stesse, anche in ragione della disciplina articolata e non univoca predisposta dal legislatore. Le questioni prospettate attengono alla garanzia per il c.d. vizio redibitorio, cioè il vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore (art. 1490 c.c.). Tale garanzia è espressamente contemplata dall’art. 1476, n. 3, c.c. che la include tra le obbligazioni principali del venditore. Gli effetti della garanzia sono delineati dal comma 1 dell’art. 1492 c.c. il quale prevede che, nei casi di cui all’art. 1490 c.c., il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (azione redibitoria), ovvero la riduzione del prezzo (azione estimatoria, o quanti minoris), salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. La scelta tra le due forme di tutela può avvenire fino al momento della proposizione della domanda giudiziale e da tale momento è irrevocabile. Alla risoluzione del contratto conseguono effetti restitutori in quanto il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare al compratore le spese e i pagamenti sostenuti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa, a meno che questa non sia perita a causa dei vizi (art. 1493 c.c.). L’art. 1494 c.c. riconosce, inoltre, al compratore il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore non dimostri di aver ignorato senza sua colpa l’esistenza dei vizi. Il venditore è, altresì, tenuto a risarcire i danni derivanti dai vizi (art. 1494, comma 2 c.c.). Mentre la responsabilità risarcitoria del venditore presuppone che egli versi in una situazione di colpa, i rimedi di cui all’art. 1492 c.c., invece, prescindono da questa e sono azionabili per il fatto oggettivo della esistenza dei vizi. La garanzia resta esclusa se, al momento della conclusione del contratto, il compratore era a conoscenza dei vizi o questi erano facilmente riconoscibili secondo l’ordinaria diligenza, a meno che il venditore abbia dichiarato che la cosa ne era esente (art. 1491 c.c.). La garanzia può anche essere esclusa o limitata pattiziamente ma tale patto non vale se il venditore abbia in malafede taciuto al compratore i vizi da cui era affetta la cosa (art. 1490, comma 2 c.c.). L’esercizio delle azioni previste dall’art. 1492 c.c. (cc.dd. azioni edilizie) è circoscritto temporalmente attraverso la previsione di un duplice termine, di decadenza e di prescrizione. Infatti, ai sensi dell’art. 1495, comma 1, c.c., il compratore decade dal diritto di garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, ma le parti possono stabilire convenzionalmente un termine diverso. Nel caso in cui il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o lo abbia occultato, la denuncia non è necessaria. L’art. 1495, comma 3, c.c. – che rappresenta la norma intorno alla quale ruota la questione rimessa alle Sezioni unite – prevede, inoltre, un breve termine di prescrizione disponendo che l’azione si prescrive in ogni caso in un anno dalla consegna. Tuttavia, convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, il compratore può sempre far valere la garanzia, purché il vizio sia stato denunciato entro il termine di decadenza e prima che sia decorso un anno dalla consegna. Agli stessi termini si ritiene soggetta anche l’azione di risarcimento del danno. L’art. 1497 c.c. contempla, altresì, in favore del compratore un rimedio per la mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso cui la cosa è destinata, soggetto anch’esso ai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495. Proprio al fine di svincolare l’acquirente dai limiti imposti dall’art. 1495 c.c. ed assicurargli una tutela più ampia, la giurisprudenza ha elaborato la figura dell’aliud pro alio datum, la quale ricorre quando vi è diversità qualitativa tra la cosa consegnata e quella pattuita, ovvero anche in ipotesi di vizi di particolare gravità. In tal caso, la tutela del compratore è assicurata attraverso i rimedi ordinari dell’azione di risoluzione e di esatto adempimento secondo il termine di prescrizione ordinario, oltre che con il risarcimento del danno. Parte della dottrina (seguita pure da un circoscritto filone giurisprudenziale), sempre al fine di garantire una tutela più ampia al compratore e ispirandosi alla normativa comunitaria relativa ai beni di consumo, si era anche orientata a riconoscere al compratore l’azione di esatto adempimento, cioè la possibilità di agire in giudizio per ottenere la riparazione o sostituzione del bene. Tale possibilità è stata, tuttavia, espressamente esclusa dalle stesse Sezioni unite con la sentenza n. 19702 del 2012, secondo cui il compratore, per l’appunto, non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.
La natura giuridica della responsabilità della garanzia per vizi
Nella sentenza si dà conto anche del presente intervento delle Sezioni unite con il pronunciamento n. 11748/2019. Si ammette come la configurazione dogmatica della garanzia per vizi non sia del tutto pacifica. Essa infatti ha costituito oggetto di ampie e diversificate tesi, che hanno spaziato tra quella che individua nella garanzia una vera e propria assicurazione contrattuale a quella che la colloca nell’ambito della teoria dell’errore, quale vizio del consenso, ovvero da quella che ha posto riferimento all’istituto della presupposizione a quella che ha ravvisato un caso particolare di applicazione delle regole sulla responsabilità precontrattuale. All’interno della dottrina, considerata prevalente, che riconduce le garanzie edilizie ad una ipotesi di responsabilità per inadempimento (intesa nel senso di inesecuzione od inesatta esecuzione del contratto), risultano, poi, diversificate le opinioni in ordine all’identificazione dell’obbligazione da ritenere inadempiuta i nel caso di vizi della cosa oggetto di compravendita. E’ indubbio che il fondamento della responsabilità per vizi e difetti rinviene la sua causa nel fatto che il bene consegnato non corrisponde all’oggetto dovuto alla luce di quanto previsto nell’atto di autonomia privata. Con riferimento alla problematica che concerne specificamente l’individuazione della natura giuridica di tale forma di responsabilità, con la recente sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019 le stesse Sezioni Unite si è arrivati a un risolutivo inquadramento della questione. Con questo pronunciamento – pur dovendosi risolvere la diversa questione sul riparto dell’onere probatorio tra venditore e comprate con riferimento all’esercizio di questa tutela della garanzia per vizi – essa è stata ricondotta ad un tipo di responsabilità (contrattuale ma non corrispondente del tutto a quella ordinaria, atteggiandosi come peculiare in virtù della specifica disciplina della vendita) per inadempimento che deriva dall’inesatta esecuzione del contratto sul piano dell’efficacia traslativa per effetto delle anomalie che inficiano il bene oggetto dell’alienazione, ovvero che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, e sempre che i vizi – ovviamente – siano preesistenti alla conclusione del contratto, tenuto anche conto – ai sensi dell’art. 1477, comma 1, c.c. – che il bene deve essere consegnato dal venditore nello stato in cui si trovava al momento della vendita. In altri termini, è solo l’inesistenza di tali tipi di vizi che consente di realizzare oltre che il sinallagma genetico anche quello funzionale, puntualizzandosi, però, che la responsabilità relativa alla loro garanzia prescinde da ogni giudizio di colpevolezza basandosi sul dato oggettivo dell’esistenza dei vizi stessi e traducendosi nella conseguente assunzione del rischio – di origine contrattuale – da parte del venditore di esporsi all’esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi, a sua scelta, il compratore, al quale è riconosciuto anche il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi.
I rimedi a tutela del consumatore
Le sezioni unite ripercorrono anche di come la dottrina si sia occupata anche – sia pure in modo non del tutto approfondito – della problematica relativa agli strumenti rimediali in favore dell’acquirente discendenti dalle richiamate ricostruzioni. La ratio della previsione di un ristretto termine di prescrizione viene prevalentemente rinvenuta nella esigenza di evitare che il decorso del tempo renda eccessivamente gravoso l’accertamento delle cause dei difetti e di salvaguardare la certezza delle sorti del contratto. Tuttavia, proprio la brevità di un tale termine ha posto la questione della individuazione degli atti idonei ad interrompere la prescrizione. In dottrina il dibattito è stato particolarmente intenso allorquando si è messa in evidenza la circostanza che l’art. 1495, comma 3, c.c. riferisce i termini di prescrizione all’azione, a differenza dell’art. 2934 c.c., il quale invece rivolge la prescrizione ai diritti. Da ciò si è ritenuto, per un verso, che ad evitare la perdita della garanzia varrebbe soltanto l’esercizio dei mezzi processuali e, per altro verso ed in senso contrario, altri orientamenti hanno obiettato che il dato letterale del riferimento della prescrizione all’azione anziché al diritto sarebbe irrilevante, posto che la terminologia legislativa non può ritenersi decisiva in quanto anche altre volte esprime la pretesa sostanzialmente in termine di azione. Ma, soprattutto, si rileva come i rimedi edilizi siano rimedi sostanziali in quanto, attraverso di essi, il compratore fa valere un diritto contrattuale. Conseguentemente, benché i rimedi previsti a vantaggio dell’acquirente siano indicati come azioni (di risoluzione ed estimatoria), in realtà essi non coinvolgerebbero tematiche processuali ma avrebbero contenuto sostanziale di tutela del diritto. Per tale ragione sarebbero idonei a interrompere la prescrizione non solo il riconoscimento, da parte del venditore, (non del vizio ma) del diritto del compratore alla garanzia, ma anche, in virtù dell’art. 2943 c.c., gli atti di costituzione in mora del venditore e pure l’impegno assunto da quest’ultimo di eliminare i vizi. Nella sentenza si cita anche un ulteriore peculiare indirizzo il quale ritiene, invece, che il compratore possa valersi soltanto della interruzione della prescrizione derivante o dalla proposizione della domanda giudiziale, cui si equipara l’esperimento del procedimento preventivo ex art. 1513 c.c., o dal riconoscimento da parte del venditore del suo diritto alla garanzia.
Le posizioni della giurisprudenza sulla questione oggetto dell’ordinanza interlocutoria
Nel suo ampio excursus, le Sezioni Unite approfondisce anche i due distinti orientamenti circa la qualificazione giuridica della garanzia per vizi e, conseguentemente, sulla individuazione degli atti interruttivi della prescrizione. Come detto, un primo orientamento configura la garanzia per vizi come un autonomo diritto in forza del quale il compratore può, a sua scelta, domandare la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo. Ne consegue che quando il compratore comunica al venditore che intende far valere il diritto alla garanzia, egli interrompe la prescrizione inerente a tale diritto. Al riguardo, non si reputa necessaria la precisazione del tipo di tutela che si andrà a chiedere in via giudiziaria ed è altresì irrilevante, ai fini della idoneità della interruzione, la riserva di scelta del tipo di tutela, in quanto non rappresenterebbe comunque riserva di far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione. Cass., Sez. 2, n. 22903 del 2015, richiamando il precedente del 1999, ha affermato che costituisce atto interruttivo della prescrizione della garanzia per vizi della cosa la manifestazione al venditore della volontà – del compratore – di volerla esercitare, benché lo stesso differisca ad un momento successivo l’opzione per il tipo di strumento rimediale da esercitare. A tal fine, la Corte ha valutato come idonea l’espressione “con più ampia riserva di azione“, contenuta nel telegramma inviato al venditore, con cui il compratore contestava i vizi dell’immobile acquistato, ritenendo sufficiente la comunicazione della volontà di avvalersi della garanzia suddetta e dovendosi escludere che la riserva di scelta del tipo di tutela sia diretta a far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione.
Un secondo orientamento ha affermato che, siccome l’esercizio delle azioni edilizie in favore del compratore di una cosa affetta da vizi implica la configurazione di una posizione del venditore di mera soggezione, dovrebbe conseguire che la prescrizione dell’azione, fissata in un anno dall’art. 1495, comma 3, c.c., può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora. Ciò sul presupposto che gli atti al quale l’art. 2943, comma 4, c.c. connette l’effetto di interrompere la prescrizione sono infatti quelli che valgono a costituire in mora “il debitore” e devono consistere, per il disposto dell’art. 1219 c.c., comma 1, c.c. in una “intimazione o richiesta” di adempimento di un’obbligazione (previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non a quelli potestativi). Un tentativo di ricostruzione unitaria dei due orientamenti manifestatisi nella giurisprudenza di legittimità è stato infine operato da una sentenza della Seconda sezione, la n. 8418 del 2016 (non mass.), la quale ha sostenuto che essi avrebbero riguardo a situazioni distinte. Si è in essa, infatti, sostenuto che la sentenza n. 9630 del 1999, nel considerare atto interruttivo della prescrizione dell’azione di garanzia la manifestazione della volontà del compratore di volerla esercitare, riguarderebbe l’ipotesi in cui questi abbia espresso la volontà di esercitare la garanzia e si sia riservato di effettuare successivamente la scelta tra i rimedi consentiti dall’art. 1492 c.c. . Diversa sarebbe, invece, l’ipotesi in cui il compratore dichiari di avvalersi direttamente dell’azione di risoluzione del contratto. In tal caso differente sarebbe la modalità di interruzione della prescrizione dal momento che la facoltà riconosciuta al compratore di chiedere la risoluzione gli conferirebbe un diritto potestativo a fronte del quale la posizione del venditore sarebbe di mera soggezione, non essendo egli tenuto a compiere alcunché ma solo a subire gli effetti della sentenza costitutiva. In tale ipotesi, per l’interruzione della prescrizione occorrerebbe dar luogo solo all’esperimento dell’azione giudiziale, non assumendo efficacia a tale scopo l’intimazione riconducibile a meri atti di costituzione in mora.
La soluzione della questione da parte delle Sezioni Unite
Il collegio ritiene che la questione debba essere risolta accedendo all’impostazione e al relativo percorso ermeneutico adottati, in prima battuta, con la sentenza n. 9630/1999 e poi ripresi dalla sentenza n. 22903/2015, con cui si è statuito il principio alla stregua del quale “la prescrizione della garanzia per vizi è interrotta dalla comunicazione al venditore della volontà del compratore di esercitarla benché questi riservi ad un momento successivo la scelta del tipo di tutela, dovendosi escludere che la riserva concerna un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione”. Come prevede l’art. 1495, comma 3, c.c. l’azione di garanzia per i vizi e la mancanza di qualità dovute si prescrive in un anno dalla consegna. “Questo termine breve, che si collega all’onere della preventiva denuncia il cui assolvimento è prescritto dal comma 1 dell’art. 1495 c.c., concerne la tutela contrattuale del compratore per far valere l’inesatto adempimento per difettosità del bene oggetto della vendita, a prescindere dal rimedio”.
Il presupposto di fondo, spiega la sentenza, consiste nella configurazione di tale responsabilità dell’acquirente “come obbligazione derivante “ex contractu”. E’ il momento della consegna che individua il “dies a quo” della decorrenza di tale termine di prescrizione”. Ed è altresì, pacifico che, “ove la consegna non sia accettata, il termine prescrizionale abbreviato in questione non decorre, poiché il rifiuto dell’acquirente non consente di considerare eseguita la prestazione”. Ai sensi dello stesso art. 1495, comma 3, c.c., il compratore può avvalersi della garanzia in esame anche oltre il suddetto termine prescrizionale allorquando sia il venditore ad agire per l’esecuzione del contratto, come è accaduto nel caso specifico. Al di là della descritta peculiarità della disciplina della prescrizione in questione, le Sezioni unite ritengono che – per quanto non espressamente previsto – trovi applicazione la disciplina generale in tema di prescrizione, con la conseguente operatività, tra l’altro, delle ordinarie cause di interruzione e di sospensione.
Secondo le Sezioni Unite, il diverso indirizzo che ritiene necessario ai fini dell’interruzione del termine prescrizionale annuale l’esercizio dell’azione in via giudiziale “non può essere condiviso”. In primo luogo, precisa la sentenza, l’attuale formulazione diverge da quella adottata nel codice civile del 1865 che, invece, lasciava propendere per la necessità dell’esperimento dell’azione giudiziale (l’art. 1505, comma 1, “l’azione redibitoria deve proporsi entro un anno dalla consegna”). La formula ora prevista nel comma 3 dell’art. 1495 del vigente codice civile si richiama infatti esplicitamente alla prescrizione e il ricorso a tale terminologia “non può ritenersi decisivo nel senso che debba ritenersi riferibile esclusivamente all’esercizio dell’azione giudiziale”. I giudici osservano che, anche in altre disposizioni normative, il legislatore ha posto riferimento alla pretesa sostanziale in termine di azione (dove si avverte il senso concreto della tutela della posizione soggettiva nell’ordinamento). Diversamente, sempre con riferimento alla vendita, l’art. 1497 c.c. – riferito alla risolubilità del contratto per “mancanza di qualità” – sancisce, al comma 2, che il diritto di ottenere la risoluzione (e non, quindi, l’esercizio della relativa azione) è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite proprio dal precedente art. 1495. Appare, quindi, incontestabile, secondo le Sezioni Unite, che, con riguardo al potere di agire, viene in rilievo la pretesa sostanziale del compratore, ovvero la pretesa contrattuale all’esatta esecuzione del contratto, “con la conseguenza che, alla tutela di questa pretesa ad essere garantito se insoddisfatta, soccorrono i rimedi sostanziali che non si sostituiscono al diritto primario ma ne perseguono una tutela diretta o indiretta”. In sostanza, nella prospettiva generale della questione in esame, non si verte propriamente nell’ipotesi di esercitare un singolo specifico potere ma di far valere il diritto alla garanzia derivante dal contratto, “rispetto al quale, perciò, non si frappongono ostacoli decisivi che impediscono l’applicabilità della disciplina generale della prescrizione, ivi compresa quella in materia di interruzione e sospensione”. Quando si avvale della “garanzia” il compratore fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore e conseguentemente, sul piano generale, “deve ammettersi che lo possa fare attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale e ciò si inferisce anche da quanto stabilisce l’art. 1492, comma 2, c.c., il quale, prevedendo che “la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale”, significativamente la prefigura, riconnettendo, invero, alla domanda in sede processuale la sola impossibilità di rimeditare l’opzione tra risoluzione e riduzione del prezzo.
Anche questo argomento di tipo logico-sistematico conforta, quindi, secondo i giudici, l’ammissibilità dell’interruzione della prescrizione con un atto stragiudiziale, fermo restando che l’interruzione si limita a far perdere ogni efficacia al tempo già trascorso prima del compimento dell’atto, senza interferire con il modo di essere del diritto. La soluzione per la quale le Sezioni Unite propendono si lascerebbe preferire anche per una ragione di ordine generale che impatta sul piano socio-economico posto che, per effetto dell’operatività dell’interruzione della prescrizione secondo la disciplina generale (e, quindi, anche mediante atti stragiudiziali), esiste una plausibile possibilità che il venditore intervenga eventualmente – a seguito della costituzione in mora – eliminando i vizi, così evitando che il compratore debba rivolgersi necessariamente al giudice esercitando la relativa azione in sede, per l’appunto, giudiziale. “Questa possibilità è idonea ad perseguire – in termini certamente più ristretti rispetto a quelli fisiologici di un giudizio – un’efficace tutela delle ragioni dell’acquirente, senza tuttavia penalizzare eccessivamente il venditore, poiché dal momento dell’interruzione della prescrizione ricomincia a decorrere il termine originario”: in tal modo è, altresì, assicurato alle parti un congruo spatium deliberandi e si evita la conseguenza di una inutile proliferazione di giudizi, così rimanendo realizzato un ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti.
Le conclusioni dell’annosa quaestio
In definitiva, il collegio ritiene che non sussistano ragioni “impeditive determinanti” per negare al compratore di avvalersi della disciplina generale in tema di prescrizione – con correlata applicabilità anche dell’art. 2943, comma 4, c.c. – e, quindi, per imporgli di agire necessariamente in via giudiziale al fine di far valere la garanzia per vizi in tema di compravendita. “Da ciò consegue che non solo le domande giudiziali ma anche gli atti di costituzione in mora da parte del compratore costituiscono cause idonee di interruzione della prescrizione”: l’effetto che ne deriva è che, una volta che si faccia ricorso a tali atti entro l’anno dalla consegna, inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione di un anno (ai sensi della norma generale di cui al primo comma dell’art. 2945 c.c.) e l’idoneità interruttiva di tali atti persegue anche lo scopo – in presenza, peraltro, di un termine così breve – di favorire una risoluzione (stragiudiziale) preventiva della possibile controversia rispetto all’opzione, a tutela delle ragioni del compratore, per la scelta di vedersi riconosciuto il diritto alla garanzia (e di ottenere uno degli effetti giuridici favorevoli previsti dalla legge) solo mediante l’esercizio dell’azione in via giudiziale.
“Nel contratto di compravendita, costituiscono – ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’;art. 1495, comma 3, c.c., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 12191 comma 1, c.c., con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945, comma 1, c.c.”
Anche il secondo motivo del ricorso da cui è stato originato originato questo pronunciamento è stato pertanto respinto, “risultando corretta l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la prescrizione dell’azione di garanzia per vizi in discorso poteva essere interrotta con atto stragiudiziale.