Il danno patrimoniale per le società sportive in caso di incidenti occorsi ai propri tesserati
Cosa succede quando uno sportivo dilettante subisce un danno alla salute per responsabilità di terzi e non può offrire il proprio contributo alle sorti sportive della propria squadra?
Sono situazioni che, settimanalmente, si verificano in tutta la Penisola: si pensi solo alle miriadi di società dilettantische che si spostano per lo svolgimento delle gare nelle più disparate discipline sportive.
Di seguito, quindi, esponiamo una sintetica fotografia delle ipotesi, con un focus particolare sulle società calcistiche, che in termini numerici rappresentano il maggior movimento sportivo sul territorio.
Professionisti
La disamina non prende in considerazione lo sportivo professionista, poiché egli è inquadrato, nella attuale vigenza della Legge 91/1981, in un rapporto di lavoro subordinato, dotato di notevoli tutele e garanzie e grazie al quale le ipotesi di danno alla salute per responsabilità di terzi sono disciplinate.
Normalmente, infatti, i club professionistici si tutelano con la stipula di polizze assicurative che garantiscono indennizzi cospicui in casi di forzata assenza del calciatore. Per non parlare dell’atleta stesso, che assicura il proprio capitale, il suo corpo o parti di esso, contro il verificarsi di episodi traumatici anche per responsabilità di terzi. Non è oggetto di quest’approfondimento la disamina degli aspetti penalistici di questo genere di situazioni.
Per statuto, ogni calciatore, professionista o dilettante, sottoscrive una cosiddetta “clausola compromissoria”, con la quale accetta le decisioni che provengono dagli organi regolanti la giustizia sportiva. Analogamente, incorre in squalifica il calciatore che violi la norma, rivolgendosi autonomamente alla disciplina ordinaria, senza preventivamente chiederne l’autorizzazione alla Federazione. Diversi i riflessi che un fatto illecito può generare sotto il profilo civilistico.
Ciò che non cambia, indipendentemente dallo status, è il diritto per la società di vedersi riconosciuti eventuali emolumenti erogati al calciatore infortunato che non è potuto scendere in campo.
La Lega Nazionale Dilettanti
Per i calciatori iscritti alla Lega Nazionale Dilettanti (Serie D e categorie inferiori) è esclusa ogni forma di lavoro autonomo e subordinato.
Il rapporto contrattuale instaurato tra le parti dovrebbe quindi considerarsi un rapporto di natura atipica, ai sensi degli articoli 1321 e 1322 c.c. I calciatori tesserati con società partecipanti ai campionati nazionali della L.N.D. devono obbligatoriamente sottoscrivere, su apposito modulo, accordi economici annuali relativi alle loro prestazioni sportive.
L’AIC, Associazione Italiana Calciatori, ha concordato con la L.N.D. di deferire tutte quelle società che, previa segnalazione del calciatore, si rifiutano di sottoscrivere l’accordo economico. Gli accordi possono prevedere forme di compenso a titolo di indennità di trasferta, premi e rimborsi forfettari di spese, ovvero, in via alternativa, l’erogazione di una somma lorda annuale (di importo non superiore a € 28.158,00) da corrispondere in dieci rate mensili di pari importo. Sono vietati e comunque nulli e privi di ogni efficacia gli accordi che prevedano l’erogazione di somme superiori a quelle fissate.
La loro sottoscrizione costituisce illecito disciplinare ai sensi dell’art. 8, comma 6, del Codice di Giustizia Sportiva, e comporta il deferimento delle parti innanzi ai competenti Organi della Giustizia Sportiva. Gli accordi devono essere obbligatoriamente depositati presso il Dipartimento o la Divisione di competenza, con determinate modalità. Quelli relativi alla Serie D vanno depositati entro e non oltre il 31 ottobre della stagione sportiva di riferimento; quelli relativi a tesseramenti successivi e quelli dei Campionati Nazionali Maschili e Femminili di Calcio a 5 entro 30 giorni dalla sottoscrizione, con contestuale comunicazione al calciatore se il deposito viene effettuato dalla società; entro 45 giorni dalla sottoscrizione, se il deposito avviene a cura del calciatore.
Enti sportivi dilettantistici: possono subire un danno che derivi dalle lesioni subite dai loro atleti?
La genesi di questo tipo di situazioni, va collocata nel lontano 1949, all’epoca di quella che le cronache sportive chiamarono “Tragedia del Grande Torino”. Infatti, la prima volta che la Suprema Corte fu chiamata a rispondere sulla richiesta di risarcimento di un ente sportivo per morte dei suoi atleti fu nel famoso caso dell’incidente aereo che portò alla tragica morte di dieci undicesimi della squadra titolare del Torino, che in quegli anni vinceva tutto: si era praticamente cucita sul petto il quinto scudetto consecutivo. La squadra infatti, di ritorno da una trasferta a Lisbona per la disputa di una partita amichevole, perì nello scontro dell’aereo (in foto) che la trasportava contro la collina della Basilica di Superga.
La Società Torino calcio S.p.A. ipotizzò la lesione da parte del vettore di un diritto consistente nella “composta entità consistente nella squadra e (…) costituente il nucleo essenziale del patrimonio aziendale”. La Cassazione, però, non accolse la pretesa in quanto ritenne che “non possono essere considerati di diritto reale i rapporti che intercorrono tra un ente sportivo e gli atleti ingaggiati per costituire una squadra di calcio (…) Il bene aziendale a servizio dell’impresa è rappresentato dal diritto alla prestazione, diritto che è esclusivamente di credito”.
La stessa società, 18 anni dopo, si trovò nuovamente davanti alla tragica scomparsa di un proprio atleta, per colpa di terzi. Si trattava del talentuoso Luigi Meroni, che fu vittima di un investimento da parte di un’automobile che si rivelò purtroppo letale. Il Torino così si rivolse nuovamente ai giudici per ottenere il risarcimento, per la morte del calciatore, del diritto assoluto all’avviamento della propria azienda di spettacoli sportivi.
La Cassazione affermò che il danno causato al creditore dalla morte del debitore fosse configurabile come conseguenza diretta e immediata dell’evento che ha causato la morte solamente se fosse riscontrabile una effettiva insostituibilità della persona del debitore ed escluse, nel caso di specie, la risarcibilità del danno ritenendo che la riserva del giocatore lo avesse degnamente sostituito. In sintesi, la Suprema Corte limitava il risarcimento del danno dei diritti di credito alle sole prestazioni infungibili (Cass., Sez. Unite, 26 gennaio 1971, n. 174).
Tale orientamento, però, risulta alquanto criticabile in quanto non consente l’integrale riparazione del danno. Qualora si riconosca che la lesione dei crediti realizza un danno ingiusto, non si può giustificare una differenza di trattamento fra rapporti di credito fondati su prestazioni infungibili e rapporti in cui le qualità del debitore siano meno rilevanti. Queste critiche giustificano il mutamento di orientamento della successiva giurisprudenza sino ad ammettere la tutela aquiliana del diritto di credito e di ogni altra situazione di fatto meritevole di tutela senza più far riferimento al criterio dell’infungibilità della prestazione lavorativa (vedi Cass., Sez. Unite, 12 Novembre 1988, n.6132).
Alla luce di ciò si potrebbe dunque ammettere la risarcibilità integrale dei danni anche nel settore dilettantistico, dove gli introiti provengono da compensi derivanti dai risultati ottenuti dalla squadra; da proventi legati alla preparazione o al rendimento degli atleti; da corrispettivi per il trasferimento degli atleti; da somme erogate a titolo di sponsorizzazione.
Le Noif, Norme Organizzative Interne della Figc, Federazione Italiana Giuoco Calcio, inoltre, prevedono, all’art. 96, un premio di preparazione per il giovane dilettante da corrispondere all’ente sportivo dilettantistico di provenienza; all’art. 99, un premio alla carriera a favore dell’ente dilettantistico presso cui si è formato; all’art. 101, comma 7, un eventuale premio di rendimento legato a trasferimento temporaneo del giovane dilettante.
Risulta evidente, dunque, che anche gli enti sportivi dilettantistici possono subire un danno che derivi dalle lesioni che subiscono i loro atleti ai sensi dell’art 2043 c.c., in termini di: compensi erogati senza che il calciatore abbia fornito le prestazioni sportive per malattie/infortuni indipendenti dall’attività sportiva; mancata attribuzione di corrispettivi di trasferimenti; mancata attribuzione di premi e sponsorizzazioni (che, diversamente dalle società professionistiche, per le società dilettantistiche risultano come introiti di notevole importanza).
I danni risarcibili
Il danno materiale viene a configurarsi in quanto l’atleta non potrà continuare ad assicurare alla squadra il suo apporto in termini di risultati; di futuri proventi derivanti dal corrispettivo per il trasferimento, dai premi e dalle sponsorizzazioni. Il danno morale, invece, deriverà dai turbamenti, causati dalla morte o dalle lesioni subite dall’atleta, agli altri componenti della squadra e dalle inevitabili ripercussioni della vita della società stessa.
Nel dilettantismo sportivo, inoltre, è presente una sorta di “vincolo di appartenenza”, dato che l’atleta non può trasferirsi (salvo ipotesi residuali) da una società all’altra senza il benestare/approvazione della società di tesseramento (ipotesi più frequente di svincolo, per accordo con l’ente sportivo di provenienza che di regola si accompagna alla corresponsione di somme di denaro). Il danno, in questo caso, si individuerebbe in una specifica persona fisica che, in quanto tale, presenta il carattere dell’infungibilità.
La giurisprudenza, dunque, ha modificato nel tempo il proprio orientamento, passando da un approccio sostanzialmente negativo e restrittivo, ad una posizione più aperta che, tuttavia, richiede l’accertamento di determinati presupposti: il vincolo di appartenenza dell’atleta alla società sportiva non costituisce per quest’ultima un diritto reale, ma configura un diritto relativo della società alla prestazione dell’atleta; non può essere oggetto di risarcimento la lesione del valore patrimoniale della società per effetto della mancata cessione dell’atleta o giocatore ad altra società (Cass. 1459/1978 lo ritiene un valore meramente eventuale); può essere risarcito il danno derivante dalla diminuzione di redditività della società stessa.
Se configurabile tra la società/ente e l’atleta una continuità e persistenza di rapporti, rispetto ai quali il fatto illecito commesso ai danni dell’atleta venga ad incidere negativamente, il venir meno delle prestazioni future dell’atleta può legittimare la pretesa di chi si avvale di tali prestazioni a vedere risarcito il lucro cessante e il danno patrimoniale indiretto. Il primo sarà costituito soprattutto, come detto, dagli emolumenti erogati anche in assenza delle prestazioni sportive; il secondo potrebbe essere rappresentato dal costo di tesseramento (o di accordo economico sottoscritto, vedi sopra) di un calciatore che sostituisca quello infortunato.
Accanto a queste poste di danno, la società potrà richiedere il rimborso anche del danno emergente, costituito dalle spese sanitarie sostenute magari in vece dell’atleta e da tutti gli esborsi direttamente dipendenti dalla necessità di riavere l’atleta infortunato nel minor tempo possibile. I rimedi, allo stato, non potranno che essere quelli giudiziali ordinari, anche se l’introduzione negli ultimi anni di strumenti atti a deflazionare il contenzioso giudiziario (mediazione strutturata; negoziazione assistita; camere di conciliazione), offrono la possibilità di esperire rimedi efficaci con minor dispendio economico e possibilità di rapida definizione.
Avv. Andrea Piccoli
Foro di Treviso