Il danno dei congiunti di un macroleso può essere provato per presunzioni e va risarcito
Con la cristallina ordinanza n. 7748/20, depositata l’8 aprile 2020, la Cassazione ribadisce non solo un sacrosanto principio di recente affermazione, ossia il pieno diritto anche per i familiari di un danneggiato rimasto gravemente macroleso in seguito ad un incidente stradale di essere risarciti, ma anche che il cosiddetto danno riflesso può essere provato in via presuntiva: quello che va dimostrato è solo il vincolo di parentela perché rientra in un criterio di “normalità sociale”, ossia ciò che solitamente accade, che genitori e fratelli soffrano per le gravissime lesioni permanenti riportate da un proprio congiunto.
Riconosciuto il risarcimento anche ai parenti del macroleso
La vicenda riguarda un tragico sinistro tra un motociclo e una vettura. Il conducente del mezzo a due ruote perde la vita, mentre il trasportato si salva ma rimane gravemente macroleso. Quest’ultimo e i suoi familiari, che lo devono assistere, agiscono in giudizio sia verso gli eredi del conducente del motociclo e la loro assicurazione, sia nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo antagonista e la rispettiva compagnia di assicurazione.
Il Giudice di primo grado ritiene di ripartire la causa del danno attribuendo il 70 per cento all’automobilista e il 30 per cento al conducente del motociclo, mentre il trasportato viene ritenuto responsabile del danno a se stesso nella misura del 10 per cento, e gli viene liquidata una somma per il danno alla persona subito, e così anche ai suoi congiunti, per il danno riflesso (risarcimento ai familiari della vittima).
La prova del danno dei congiunti
La sentenza di primo grado viene impugnata dal macroleso e dai suoi congiunti e anche da Groupama, compagnia di assicurazione garante dell’auto. Il giudice di secondo grado rigetta l’appello dei primi e accoglie invece quello della compagnia relativamente alla prova del danno dei congiunti del trasportato sul motociclo. In buona sostanza i giudici negano il risarcimento ai familiari del giovane rimasto gravemente ferito nell’incidente, ritenendo non provato il danno invocato.
Secondo la corte di merito, un danno dei congiunti, come conseguenza delle lesioni inferte al parente, è ipotizzabile solo se consistente in “un totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare su cui si sono riverberate quali conseguenze gli effetti dell’evento traumatico subito dal familiare“. Ciò porta la corte a concludere che la prova di un tale sconvolgimento delle abitudini di vita non è stata fornita, e non può presumersi e desumersi neanche dal mero rapporto di parentela.
I giudici, per la cronaca, non riconoscono altresì il risarcimento del danno morale alla vittima primaria ritenendolo compreso in quello biologico, nonché quello alla capacità lavorativa, in quanto non provato, confermando infine il concorso di colpa del 10 per cento da parte del danneggiato quanto alle conseguenze dannose.
Di qui il ricorso di quest’ultimo e della sua famiglia per Cassazione con tre motivi di doglianza. Quello che qui preme è il primo con cui i ricorrenti si dolgono di un’erronea interpretazione dell’articolo 2697 c.c. da parte della corte di merito, quanto alla prova del danno iure proprio dei congiunti, lamentando un pregiudizio alla persona (danno non patrimoniale) come conseguenza del danno inferto al congiunto, ossia delle lesioni patite da quest’ultimo.
Per la Cassazione il motivo è fondato, con conseguente accoglimento e cassazione della sentenza sul punto. “Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta” ribadisce la Suprema Corte”.
Il danno dei congiunti in realtà non è riflesso ma diretto
Gli Ermellini aggiungono con forza che la decisione della corte di merito, in realtà, è errata nella premessa: “essa postula che il danno risarcibile ai congiunti per le lesioni patite dal parente, vittima primaria dell’illecito, sia solo quello consistente nel totale sconvolgimento delle abitudini di vita, limitazione che non ha in realtà alcuna ragion d’essere.
Dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale) che non produce necessariamente uno sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza rilevanza alcuna sulle abitudini di vita. Il danno dei congiunti è qui invocato iure proprio.
Si parla spesso impropriamente di danno riflesso, ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri. In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie.
Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita”.
Dimostrazione per presunzioni: basta il vincolo di parentela
Secondo la Cassazione, pertanto, non c’è alcun motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni. “E tra le presunzioni assume ovviamente rilievo il rapporto di stretta parentela (nella fattispecie, genitori e fratelli) tra la vittima in primis ed i suoi congiunti”.
Rapporto che “fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale (ossia ciò che solitamente accade) che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni riportate dal congiunto prossimo”.
Ragion per cui non v’è bisogno, come postula la sentenza impugnata, che queste sofferenze si traducano in uno “sconvolgimento delle abitudini di vita“, in quanto “si tratta di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il paterna, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita”.
Ma una domanda in caso di richiesta risarcimento a più persone, come la moglie, i figli, ed i suoceri, come si comporta l’assicurazione? Fa un bonifico ciascuno o uno unico da dividere?
I pregiudizi subiti dai congiunti di una vittima vengono definiti danni riflessi, perché il danno, pur traendo origine da un illecito che ha colpito la vittima principale, può produrre dei nocumenti anche a terzi, le cosiddette vittime secondarie, le quali acquisiscono un diritto al risarcimento iure proprio.
Il danno subito dai parenti del danneggiato può essere sia di natura non patrimoniale (biologico, morale ed esistenziale), sia di natura patrimoniale (danno emergente e lucro cessante).
Nel caso in cui più aventi diritto avanzino una richiesta risarcitoria la compagnia analizza la posizione di ciascuno e, se vi sono i presupposti per un risarcimento, emette, all’esito di una trattativa, una quietanza ovvero l’impegno ad erogare per ciascun singolo avente diritto gli importi concordati.
Normalmente la compagnia riporta in un unico atto tutti gli aventi diritto risarciti e gli importi concordati per ciascuno, ma può sempre essere chiesto che la quietanza sia emessa per singola persona.
Avv. Michela Carron
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