Bambina morsa dal cane, proprietario responsabile anche se il fatto è avvenuto in un area a sgambatoio

In tema di lesioni colpose, la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l’obbligo di controllare e custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi, anche all’interno delle cosiddette aree a sgambamento dedicate ai quattro zampe: pure qui il padrone deve portare con sé la museruola e non deve interrompere il “contatto visivo” con il cane, in modo da potere intervenire tempestivamente ove quest’ultimo assuma atteggiamenti aggressivi.

Con la sentenza n. 31874/19, depositata il 18 luglio 2019, la Corte di Cassazione è tornata su una questione annosa, quella della responsabilità dei proprietari o dei detentori di animali in caso di danni causati a terzi, affrontando una fattispecie particolare, quella di un’aggressione ai danni di una bambina avvenuta all’interno di un’area cani dove i quattro zampe possono essere tenuti liberi. Ma fino a un certo punto e con le dovute cautele.

 

Una bambina aggredita e morsa all’interno di un’area per cani

Nello specifico, un pastore tedesco femmina, nel 2014, aveva assalito e morso sulla coscia posteriore, causandole ferite giudicate guaribili in dieci giorni, una bambina di cinque anni entrata da pochi secondi all’interno dell’area a sgambatoio mentre la nonna, che la accompagnava, si stava girando per chiudere il cancello di ingresso al parco.

Mentre l’anziana gridava aiuto e cercava vanamente di fare studio con il proprio corpo alla piccola, la proprietaria, non accortasi immediatamente dell’aggressione in atto, era rimasta seduta su di una panchina con un altro cane, di piccole dimensioni, adagiato sulle gambe e solo in un secondo tempo, sentite le urla, era intervenuta, riuscendo dopo vari tentativi a sottrarre la bimba dalla furia dell’animale tirando a forza con il guinzaglio.

La padrona, tuttavia, si era giustificata affermando che, essendo l’area destinata al passeggio dei cani anche in libertà, nulla le poteva essere recriminato (la colpa, a suo dire, doveva essere attribuita esclusivamente alla nonna che vi aveva accompagnato imprudentemente la nipote) e aveva abbandonato rapidamente l’area, rifiutandosi di declinare le proprie generalità e senza preoccuparsi in alcun modo delle condizioni di salute della bambina rimasto ferita. Sarebbe stata rintracciata dalla polizia locale solo grazie a un testimone che aveva scattato una foto alla targa dell’auto con la quale si era allontanata.

Medicata dal personale del 118, la bambina era stata quindi trasportata al pronto soccorso del più vicino ospedale dove gli era stato diagnosticato un brutto morso alla coscia posteriore sinistra e gli erano stati applicati i necessari punti di sutura, con una prognosi di giorni dieci.

 

Proprietaria del pastore tedesco condannata in primo e secondo grado

Il Giudice di Pace di Ravenna, nel 2017, aveva condannato la proprietaria a pagare una multa di 500 euro, oltre alle spese processuali, e a risarcire i danni alla parte civile, avendola ritenuta responsabile del reato previsto dall’art. 590 del codice penale (lesioni personali colpose) in relazione all’art. 672 c. p. (omessa custodia e malgoverno di animali).

Sentenza confermata nel 2018 dal Tribunale di Monza, presso il quale la padrona del cane aveva appellato il pronunciamento di primo grado.

Alla proprietaria, nel dettaglio, venivano contestati profili di colpa generica (negligenza, imprudenza, imperizia), unitamente a un profilo di colpa specifica (la violazione della norma di cui all’art. 672 c.p.) perché, “in qualità di proprietaria e conduttrice di un cane di sesso femminile, razza pastore tedesco, identificato da microchip, omettendo di custodirlo con le debite cautele, non mantenendone il costante controllo e non munendolo di museruola, non impediva che lo stesso, circolando libero nell’area cani di (omissis) aggredisse (omissis), accompagnata da familiare maggiorenne, procurandogli le lesioni sopra descritte”.

 

Il ricorso per Cassazione della padrona

La padrona del pastore tedesco ha proposto ricorso anche contro tale provvedimento per Cassazione, deducendo una sedie di motivi di doglianza.

La ricorrente ha lamentato mancanza o illogicità della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui il giudice dell’appello aveva escluso, a priori, che la condotta della nonna della minore potesse essere stata imprevedibile e perciò idonea di per sé ad escludere il nesso eziologico tra l’evento e il comportamento dell’imputata ai sensi dell’art. 41 c.p., comma 2.

In buona sostanza, per il difensore della padrona del cane la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di prime cure era sì corretta, ma la lettura in diritto degli stessi, con riferimento al già menzionato nesso, sarebbe stata invece insostenibile, per come riportata in entrambi i gradi di giudizio di merito.

E questo perché un’area dei giardinetti riservata ai cani, e a tal fine appositamente recintata con impedimenti affinché gli animali non escano o le persone non entrino, sarebbe tale proprio per consentire agli animali di circolare liberi all’aperto, rimanendo custoditi più lievemente che secondo i normali canoni (cioè legati al guinzaglio o con la museruola), per quanto sempre sotto il controllo dei padroni, comunque necessario per evitare danni che possano avvenire per un caso fortuito ed imprevedibile, come, ad esempio il cane che salta il recinto e si avventa sulle persone al di fuori.

Secondo il legale della ricorrente, tuttavia, non poteva configurarsi come un caso fortuito o imprevedibile quello di un bambino introdotto volontariamente nel recinto dalla nonna che lo accompagna: la proprietaria, vedendo che all’esterno dall’area non vi erano bambini non accompagnati, non sarebbe stata tenuta ad usare una maggior attenzione rispetto a quella solitamente prestata. Diversamente, se il bambino fosse stato solo e senza adulti vicino, nei pressi di quell’area, allora sì sarebbe stato lecito pretendere quella maggior attenzione che avrebbe potuto scongiurare l’evento.

In altri termini, per la difesa, non sarebbe prevedibile ed esorbiterebbe dall’obbligo di attenzione del padrone del cane l’ipotesi di un adulto che introduce volontariamente in un’area dove i cani, anche di grossa taglia, circolano liberamente un bambino di cinque anni non in grado di relazionarsi con gli stessi: la responsabilità dell’accaduto sarebbe dunque in capo alla nonna.

 

La Suprema Corte respinge il ricorso

Per la Suprema Corte, tuttavia, i motivi sono inammissibili.

Con l’occasione la Cassazione dà una bella ripassata alle norme in materia, convenendo in pieno con i giudici di primo e secondo grado nel rimarcare come “la natura colposa della condotta della ricorrente sussista e vada ricondotta all’inosservanza di specifiche norme cautelari afferenti al governo e alla conduzione dei cani, volte a prevenire, neutralizzare o ridurre rischi per la pubblica incolumità”.

L’allusione è alla norma di cui all’art. 672 c.p., che sanziona a livello amministrativo l’incauta custodia di animali, ma anche alle regole locali di cui all’art. 7, e art. 8, comma 2, del “Decalogo Aree Cani” vigente all’epoca dei fatti, volte a garantire la sicurezza all’interno di aree dove i cani possono muoversi liberamente entrando in contatto con altri animali ed esseri umani, imponendo però ai padroni e conduttori “di mantenere sempre un costante controllo visivo sul quadrupede, in modo tale da poterlo richiamare in presenza di situazioni di rischio potenziale, avendo sempre a disposizione una museruola da usare nei casi di emergenza”: decalogo adottato di concerto dalla Regione Lombardia – Asl/Dipartimento Veterinario e dall’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Milano e che, tra le altre cose, imponeva di non lasciare mai incustodito all’interno dell’area cani il proprio animale.

 

L’aggressione avvenuta in un’area a sgambatoio non fa venir meno le responsabilità

Dunque – sottolineano gli Ermellini – il fatto che il pastore tedesco fosse all’interno di un’area “dedicata”, non esimeva comunque la padrona “dall’essere anche lei all’interno dell’area stessa, dal mantenersi attenta su cosa facesse e da essere pronta ad intervenire, dotata di una museruola (che invece non aveva), tenute presenti soprattutto le potenzialità lesive per l’altrui incolumità di un pastore tedesco.

Per i giudici del gravame del merito ben si comprende, quindi, come le norme richiamate, sia quelle di legge che quelle regolamentari, concretino e precisino il generale dovere di diligenza e prudenza che l’ordinamento pone in capo a chiunque abbia il dominio di un animale dotato di capacità lesiva, sancendo l’assunzione di una posizione di garanzia rispetto alla possibilità del verificarsi di eventi dannosi, corredata da una serie di obblighi, divieti e modelli comportamentali la cui violazione determina responsabilità giuridica a vari livelli (amministrativo, civile e penale)”.

Nel caso specifico, insomma, non sussiste dubbio alcuno in ordine alla violazione delle suddette norme prudenziali da parte dell’imputata, la quale “ha incautamente omesso di esercitare sul proprio pastore tedesco ogni forma di controllo, lasciandolo del tutto incustodito all’interno dell’area cani, perdendone il contatto visivo e non essendo, per l’effetto, in grado di avvedersi del rischio promanante dall’ingresso nel parco della piccola e della nonna,  nonché di richiamare l’animale e ricondurlo a sé, eventualmente applicando una museruola per scongiurare il pericolo di morsi”.

Ma la colpa della proprietaria, aggiunge la Suprema Corte, sussiste anche sotto il profilo della cosiddetta causalità della colpa, nel senso che “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare (generica o specifica) sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso”. Elementi che nel caso di specie ci sono tutti.

Va evidenziato – concludono i giudici del Palazzaccio – come questa Corte di legittimità abbia da tempo sgombrato il campo da ogni equivoco, ribadendo in più pronunce che, in tema di lesioni colpose, la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l’obbligo di controllare e custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi, finanche all’interno dell’abitazione. E, a fronte di un cane di una razza che, per mole ed indole si palesi più aggressivo, l’obbligo di custodia che grava sul detentore si attiva ancor più.

 

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