L’assicurazione deve rimborsare anche le spese di lite
L’assicuratore della responsabilità civile verso terzi è tenuto a pagare le spese di resistenza anche se la presenza in giudizio del suo assicurato non sia dipesa dalla posizione difensiva dell’assicurazione, ma dalle richieste del danneggiato. E questo perché l’obbligo di rimborso sorge oggettivamente per la sola circostanza che lo stesso assicurato sia stato costretto ad agire o a difendersi in una controversia che abbia causa in situazioni rientranti nella garanzia assicurativa, in quanto le spese effettuate per resistere in giudizio sono spese che l’assicuratore si impegna nel contratto o comunque è tenuto a manlevare solo che il suo assicurato abbia avuto la necessità di affrontare una lite, a prescindere dalla circostanza che l’assicuratore lo abbia o meno sostenuto, ossia abbia o meno aderito alle sue ragioni.
Con la sentenza n. 29926/22 depositata il 13 ottobre 2022, la Cassazione ha fornito importanti chiarimenti su un aspetto che può sembrare secondario in una causa, ma che in realtà non lo è affatto comportando un notevole esborso economico, quello delle spese di lite.
Odontoiatra condannato a risarcire una paziente per cure sbagliate
Con sentenza del 17 giugno 2019 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale accoglimento del gravame in interposto da un dentista, e in conseguente parziale riforma della pronuncia di primo gradi del Tribunale di Treviso del 2014, aveva ha condannato la società Milano Assicurazioni s.p.a. (successivamente incorporata nella società UnipolSai) a tenere indenne il professionista, sulla scorta del contratto assicurativo per la responsabilità civile verso terzi stipulato tra le parti, di quanto egli doveva versare a una sua paziente a titolo di risarcimento dei danni patiti in conseguenza di erronee cure odontoiatriche, nonché a rifondere all’assicurato il 50 per cento delle spese di lite liquidate dal Tribunale in favore della cliente, oltre al 50 per cento delle spese della consulenza tecnica d’ufficio istruita durante la causa e della consulenza tecnica di parte.
Il giudice addebita le spese di lite all’assicurazione al 50%, il dentista ricorre per Cassazione
L’odontoiatra tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione censurando il fatto che la Corte territoriale avesse escluso le spese di soccombenza dall’indennizzo assicurativo previsto all’art. 14 delle condizioni generali di polizza, operando a suo dire erroneamente una loro ripartizione “in proporzione ai diversi interessi in gioco tra assicurato ed assicuratore, spettando al primo l’intero rimborso di esse” per citare la sentenza impugnata. I giudici d’appello avrebbero sbagliato nel riconoscere il diritto dell’assicurato alla manleva con una decurtazione al 50 per cento dei costi da lui sostenuti nel processo per retribuire la parte vittoriosa delle sue spese processuali, e qui il ricorrente ha addotto l’art. 1917 comma 1 c.c. che non consentirebbe affatto una tal ripartizione, in quanto, ha scritto nel suo ricorso, “il fatto che alcune somme richieste dal danneggiato (la paziente, ndr) non fossero fisiologicamente in copertura (come quelle di franchigia o quelle di restituirsi alla ex paziente a titolo di ripetizione dopo la risoluzione del contratto d’opera e corrispondenti a quanto percepito dal medico per la prestazione sanitaria) non autorizzava in alcuna maniera il giudice a ritenere possibile una ripartizione delle spese di soccombenza (quelle cioè di cui all’art. 91 c.p.c.) in proporzione ai diversi interessi in gioco tra assicurato ed assicuratore”. Il dentista sosteneva cioè la tesi che all’assicurato spettava l’intero rimborso di esse, a prescindere da qualsiasi valutazione di tali interessi, e pertanto un indennizzo assicurativo esteso anche all’intero carico delle spese pagate alla parte vittoriosa non più limitato al 50 per cento e comprensivo così anche dei costi sostenuti per Ctu e Ctp, nonché per le obbligazioni di tipo tributario (come quelle di contributo unificato e di registrazione della sentenza, nei limiti ovviamente del massimale e di quanto erogato alla cliente vittoriosa.
Per la Suprema corte il motivo va accolto. Gli Ermellini, ripercorrendo le tappe della vicenda, spiegano come, all’esito della risoluzione del contratto d’opera professionale intercorso tra il ricorrente, nella sua qualità di medico chirurgo odontoiatra, e la paziente per inadempimento del primo, con condanna al risarcimento dei danni subiti dalla cliente per le errate cure odontoiatriche effettuatele, la società assicuratrice della responsabilità professionale del medico, Milano Assicurazioni s.p.a.., era stata condannata dal giudice di prime cure a manlevarlo limitatamente alle spese di ripristino quantificate in euro 10.733,55 euro, oltre al risarcimento di ulteriori mille euro, nonché a rifondere all’appellante il 50 per cento delle spese di lite liquidate dal Tribunale in favore della danneggiata oltre al 50 per cento delle spese di Ctu e di Ctp.
Questo perché la Corte di merito aveva ritenuto “parzialmente operante” l’art. 1917 comma 3 c.c. – con conseguentemente disposta condanna dell’assicurazione alla rifusione solo del 50 per cento delle spese di lite da corrispondere alla cliente, oltre che al 50 per cento delle spese di Ctu e Ctp già liquidata dal primo giudice – in ragione della ravvisata violazione da parte dell’odontoiatra dell’obbligo di buona fede o correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c., avendo egli scelto di avvalersi di altro avvocato, declinando l’assistenza legale indicata dalla compagnia assicurativa secondo lo stipulato patto di gestione della lite.
La Corte d’appello ha dimezzato il dovuto perché l’assicurato si era rivolto al suo avvocato
Accertata la validità della clausola n. 12 del contratto assicurativo, in base al quale risultavano poste a carico dell’assicuratore due diverse obbligazioni, la prima di tenere indenne l’assicurato dalle richieste risarcitorie del terzo danneggiato, la seconda di assumere la gestione delle vertenze tanto in sede giudiziale, civile e penale che stragiudiziale, la corte di merito aveva osservato che nella specie anche le spese di resistenza costituivano oggetto di copertura assicurativa.
E dopo aver posto in rilievo che l’appellato, ricevuto l’atto di citazione in giudizio da parte della sua cliente, aveva richiesto alla compagnia di essere difeso, ricevendone un rifiuto stante il presunto conflitto di interessi, e che solo successivamente la compagnia intervenne volontariamente in giudizio, confermando l’operatività della polizza in oggetto, e offrendo al proprio assicurato la difesa della lite con un proprio legale, la Corte di merito aveva ritenuto che questa offerta di tutela legale non fosse stata in realtà tardiva in quanto, pur se dopo un’iniziale eccezione di inoperatività del patto di gestione della lite ex art. 12 delle condizioni generali di contratto, la stessa era stata formulata dalla compagnia assicuratrice quando l’odontoiatra non era ancora costituito in giudizio: la sua costituzione infatti era avvenuta solo successivamente, a mezzo di un legale diverso da quello designato dalla compagnia, “e ciò senza addurre alcuna valida giustificazione” hanno scritto i giudici nella sentenza impugnata.
Il ricorso ad altro legale da quello della compagnia avrebbe violato l’obbligo di buona fede
La Corte d’Appello ha pertanto ravvisato che questa scelta dell’assicurato di avvalersi di altro avvocato integrasse la violazione dell’obbligo di buona fede o correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c., per avere egli in tal modo “inutilmente e senza una specifica necessità”, sempre per citare la sentenza d’appello, “aggravato la posizione del debitore”: di qui la conclusione che, poiché gli importi da liquidare per il danno e quelli di restituzione si compensavano, la manleva nel caso di specie andava limitata al 50 per cento delle spese a cui il dentista era stato condannato a pagare alla paziente, oltre che, per lo stesso ragionamento, al 50 per cento delle spese della Ctu e di Ctp, così come già liquidato dal tribunale
L’assicuratore deve rimborsare l’assicurato, per il solo fatto che egli abbia dovuto difendersi
Questo assunto, però, secondo i giudici del Palazzaccio è “erroneo”. “L’assicuratore della responsabilità civile – chiarisce la Cassazione – è tenuto, secondo l’impegno contrattualmente assunto o comunque nei limiti di cui all’art. 1917, 3 0 co., c.c., a rimborsare le spese di lite sostenute dall’assicurato anche allorquando non abbia aderito alle ragioni di quest’ultimo e la presenza in giudizio in proprio del medesimo assicurato non sia dipesa dalla posizione difensiva dell’assicurazione, ma dalle richieste del danneggiato, giacché l’obbligo di rimborso sorge oggettivamente per la sola circostanza che il detto assicurato sia stato costretto ad agire o a difendersi in una controversia che abbia causa in situazioni rientranti nella garanzia assicurativa, in quanto le spese effettuate per resistere in giudizio sono spese che l’assicuratore si impegna (nel contratto) o comunque è tenuto (nei limiti di cui all’articolo 1917 c.c.) a manlevare solo che il suo assicurato abbia avuto la necessità di affrontare una lite, a prescindere dalla circostanza che l’assicuratore lo abbia o meno sostenuto, ossia abbia o meno aderito alle ragioni dell’assicurato”.
Le spese di resistenza, infatti, prosegue la Suprema Corte, presuppongono “che l’assicurato sia stato costretto a iniziare o a difendersi in una lite determinata da situazioni rientranti nella garanzia assicurativa, non assumendo al riguardo rilievo che la presenza in giudizio dell’assicurato non dipenda da una posizione difensiva dell’assicurazione quanto piuttosto da una richiesta del danneggiato, giacché le spese legali per affrontare il processo prescindono da siffatta circostanza, essendo oggettivamente dovute quale rimborso per il fatto stesso di aver dovuto affrontare un processo scaturito dal fatto assicurato”.
Nell’impugnata sentenza, come si è visto, si era escluso che l’assicurato potesse pretendere la restituzione, oltre che di quelle di soccombenza, anche delle somme versate a titolo di compenso per le prestazioni professionali (trattandosi di voce estranea alla copertura assicurativa), avendo la corte di merito operato una compensazione tra queste ultime e quanto riconosciuto viceversa rientrare nella copertura assicurativa, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, che aveva condannato il ricorrente anche a restituire la somma di euro 9.066,45, oltre interessi legali dal dì del pagamento.
Ebbene, la Cassazione spiega che l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui “l’art. 1917 comma 3 c.c. è da considerarsi “solo parzialmente operante” è erronea, “tale norma trovando invero nella specie non già limitata bensì piena applicazione”, dal momento che “la ravvisata violazione dell’obbligo di buona fede o correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c. rileva propriamente sotto il diverso profilo del danno evitabile ex art. 1227, 2° co., c.c”. Ne consegue, concludono gli Ermellini, che “la correlazione dell’ammontare delle spese di soccombenza (nell’impugnata sentenza indicate come “spese di lite”), nonché di Ctu e Ctp alla (stessa) misura delle spese di resistenza nel caso liquidabile quale oggetto di manleva si appalesa invero del pari erronea, l’unico limite per le spese di soccombenza essendo costituito (diversamente che per quelle di resistenza ex art. 1917, 30 co., c.c. ) dal massimale di polizza, il cui superamento non risulta essere stato nella specie dai giudici di merito invero accertato né in discussione tra le parti”.
La sentenza è stata pertanto cassata, con assorbimento di ogni altra questione sollevata dal dentista, e la causa è stata già decisa nel merito, senza bisogno di ulteriori rinvii, ex art. 384, 2° co., c.p.c., con la condanna dI Unipolsai al pagamento in favore del ricorrente delle spese di soccombenza, nonché di Ctu e Ctp, nella misura corrispondente alla proporzione tra l’ammontare liquidato a titolo di risarcimento del danno e l’ammontare liquidato a titolo di restituzioni.