Quando occorre il consenso di tutti i condòmini per installare un’antenna per la telefonia mobile sulle parti comuni di un condominio
La questione è stata ed è tuttora al centro di accese controversie che riguardano ragioni sanitarie in primis, ma anche economiche ed estetiche.
Di qui l’estrema rilevanza delle sentenze “gemelle”, le numero 8435/20 e 8434/20, depositate il 30 aprile 2020, con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno tracciato le regole da seguire per l’installazione delle antenne per la telefonia mobile sulle parti comuni nei fabbricati condominiali.
Come spiega anche il Sole 24 Ore, che ha dedicato al pronunciamento un ampio approfondimento, il tema affrontato nello specifico ha riguardato la questione se sia necessario il consenso di tutti i condòmini al contratto con cui venga concesso in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare o altra idonea superficie comune, allo scopo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come alla fine dello stesso.
La distinzione tra effetti reali ed effetti obbligatori del contratto
Le Sezioni Unire in premessa hanno descritto le varie differenze che possono svilupparsi in questi scenari, partendo da una prima distinzione binaria del contratto tra effetti reali ed effetti obbligatori. I primi si distinguono come quelli dove, con il trasferimento o la costituzione della “res“, si realizza lo scopo e la causa del contratto stesso; i secondi fanno sorgere solo obblighi e diritti in capo alle parti senza involgere necessariamente la “res” (va rilevato, per di più, che contratti ad effetti reali possono avere anche effetti obbligatori).
La Corte delinea quindi alcuni indicatori per scovare la natura “reale” od “obbligatoria” del contratto e spiega: “al fine di attribuire al contratto di cui si discute effetti reali o effetti obbligatori, bisogna innanzi tutto valutare l’effettiva volontà delle parti, desumibile, oltre che dal nomen juris (di per sè stesso non determinante, ma nemmeno del tutto trascurabile nel processo interpretativo), anche da altri elementi testuali, quali la previsione relativa alla durata, la disciplina negoziale della sorte del manufatto al momento della cessazione del rapporto, la determinazione del corrispettivo come unitario o come canone periodico, la regolazione degli obblighi del cessionario in ordine alla manutenzione della base dell’installazione, l’eventuale richiamo a specifici aspetti della disciplina delle locazioni non abitative; nonché da elementi extra-testuali, quali la forma dell’atto e il comportamento delle parti.
A quest’ultimo riguardo può, ad esempio, evidenziarsi come la stipula del contratto per atto pubblico può essere valorizzata a favore della qualificazione dell’atto come contratto a effetti reali ed altrettanto può dirsi, ai sensi dell’articolo 1326, secondo comma, c.c., in relazione al comportamento delle parti, successivo alla conclusione del contratto, consistente nella decisione di trascrivere l’atto nei registri immobiliari pur quando il diritto di utilizzazione del lastrico solare sia stato concesso per una durata inferiore a nove anni”.
Un ripetitore costituisce “innovazione”
Chiarita ulteriormente la dicotomia tra contratti ad effetti reali o obbligatori, secondo i giudici la collocazione di un ripetitore sul tetto di un fabbricato va considerata “innovazione” come “ogni modificazione della cosa comune che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione della opere” (quindi determina una parziale trasformazione della destinazione del lastrico).
Non si tratta però di vera e propria innovazione ex art. 1120 c.c., poiché l’installazione di un impianto tecnologico destinato all’uso comune non avviene ad opera del condomìnio, di cui lo stesso abbia deciso di dotarsi, ma ad opera ed a spese di un terzo, destinato all’utilizzo esclusivo di quest’ultimo.
La vicenda viene quindi attratta ad un atto di amministrazione (il contratto con il terzo) ai sensi dell’art. 1108, terzo comma, c.c. In quest’ottica, si tratta dunque, in sostanza, di verificare se il contratto abbisogni: della maggioranza assembleare; ovvero, del consenso unanime.
Di norma, è sufficiente solo il consenso della maggioranza in seno all’assemblea laddove non sia possibile l’uso diretto della cosa comune per tutti i partecipanti al condominio, in proporzione delle rispettive quote millesimali; e, cioè, quando il contratto non abbia ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali (quindi ad effetti obbligatori) e non attribuisca un diritto personale di godimento di durata superiore a nove anni.
Viceversa, nell’ipotesi in cui l’accordo di installare il ripetitore possa qualificarsi come contratto a effetti reali, ai sensi dell’art. 1108, comma III, c.c., è necessario il consenso di tutti i condomini. Inoltre, è utile stabilire – secondo il ragionamento della Corte – se i ripetitori di segnale debbano considerarsi: beni immobili (e, più specificamente, costruzioni); oppure, beni mobili (in tal caso non si porrebbe neppure il tema del consenso, poiché sul bene mobile non può essere costituito un “diritto di superficie”).
Gli impianti per la telefonia mobile sono beni immobili
La Corte, in effetti, fornisce due orientamenti: il primo che descrive il contratto di superficie ad effetti reali; il secondo che identifica il contratto nello schema atipico di concessione dello jus ad aedificandum ad effetti obbligatori.
Ad ogni modo, le Sezioni Unite esordiscono ritenendo che i menzionati ripetitori debbano essere considerati beni immobili, rientrando essi tra le “altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio” secondo il disposto dell’articolo 812, comma 2, c.c..
La Corte, a suffragio dell’opinione che si tratti di beni immobili, sul punto osserva: “costituisce bene immobile qualsiasi costruzione, di qualunque materiale formata, che sia incorporata o materialmente congiunta al suolo, anche se a scopo transitorio (Cass. n. 679/1968; Cass. n. 22127/2009); si deve considerare costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, e ciò indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno, dall’uniformità o continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione e dalla sua funzione o destinazione (Cass. n. 20574/2007); ai fini delle norme codicistiche sulla proprietà, la nozione di costruzione non è limitata a realizzazioni di tipo strettamente edile, ma si estende ad un qualsiasi manufatto, avente caratteristiche di consistenza e stabilità, per le quali non rileva la qualità del materiale adoperato (Cass. n. 4679/2009, pag. 6).
Insomma, la distinzione tra immobili e mobili risiede nell’idoneità del bene incorporato al suolo a formare oggetto di diritti non in sé isolatamente considerato, ma in quanto rapportato alla sua dimensione spaziale.
Un bene è immobile, in senso giuridico, in quanto gli interessi che esso soddisfa sono determinati proprio dalla sua staticità, nel senso che esso assolve a determinate esigenze in quanto insiste su un certo luogo (quindi il ripetitore ha necessità di essere localizzato in un preciso punto).
Lo stesso testo unico dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001), all’articolo 3, comma 1, lett. e), punto 4, ricomprende espressamente, fra gli interventi di “nuova costruzione” la “istallazione … di ripetitori per i servizi di telecomunicazione»; il codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259/2003), all’articolo 86, comma 3, espressamente assimila alle opere di urbanizzazione primaria le “infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88”. Infine, anche la giurisprudenza penale di legittimità (Cass. Pen. 41598/2005) quella costituzionale (C. cost. n. 129/2006) e amministrativa (Cons. Stato nn. 100/2005, 4159/2005, 2436/2010) sono orientate nel riconoscere al ripetitore tale carattere.
Perciò, evidenzia la Corte, se il ripetitore di segnale può essere considerato un bene immobile (e, più specificamente, una costruzione), si deve concludere che l’accordo che ne disciplina l’installazione, la manutenzione e la rimozione a titolo oneroso per un certo periodo di tempo può “astrattamente” essere considerato un contratto ad effetti reali e, precisamente, attraverso un contratto costitutivo del diritto reale di superficie (l’installazione di un ripetitore non può essere paragonata ad una servitù volontaria perché mancherebbe la relazione su un fondo dominante; va esclusa l’identificazione con l’uso ex art. 1021 c.c. in quanto, tra le altre cose, l’uso non ha limiti come invece ne ha l’installazione del ripetitore, laddove si osservi che la differenza tra il diritto reale d’uso e il diritto personale di godimento è costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto).
Il contratto atipico di concessione del diritto di costruzione ad effetti obbligatori
Lo schema contrattuale del diritto reale di superficie risulta essere il più appropriato: conferisce all’acquirente la facoltà – a titolo oneroso e a tempo determinato- di realizzare, mantenere e infine rimuovere, sul suolo altrui, una costruzione destinata, una volta realizzata, ad entrare nella sua proprietà superficiaria.
Tuttavia, per inquadrare l’accordo sul ripetitore come involgente un diritto reale di superficie sarà peraltro necessario riscontrare che le parti abbiano inteso attribuire al suddetto diritto le caratteristiche tipiche della realità: l’efficacia erga omnes (ossia la possibilità di farlo valere nei confronti di tutti e non solo del concedente); la trasferibilità a terzi; l’assoggettabilità al gravame ipotecario.
Dall’altro lato nell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta dall’art. 1322 c.c., lo stesso scopo può essere perseguito mediante un contratto atipico di concessione dello jus ad aedificandum ad effetti obbligatori: la possibilità di attribuire ad altri, mediante un contratto ad effetti obbligatori, il diritto personale di installarvi un ripetitore, o altro impianto tecnologico, con facoltà per il beneficiario di mantenere la disponibilità ed il godimento dell’impianto e di asportare il medesimo alla fine del rapporto (cfr. Cass. Civ. n. 2851/1967).
Si tratta, di un negozio ad effetti obbligatori, qualificabile come tipo anomalo di locazione, in cui al locatario si concede il godimento di uno spazio, con facoltà di farvi delle costruzioni di cui godrà precariamente come conduttore e che, alla fine del rapporto, dovranno essere rimosse a sua cura: tale cornice giuridica si può sussumere al contratto con cui il proprietario di un lastrico solare intenda concedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, con il diritto per il cessionario di mantenere la disponibilità ed il godimento del ripetitore, ed asportare il medesimo alla fine del rapporto.
Qui, in effetti, lo scopo del contratto è quello di permettere il godimento di una specifica area: infatti, “l’utilità che un ripetitore fornisce non discende dalla sua natura di costruzione, ma dalla sua posizione topografica; esso viene fissato al lastrico per ovvie ragioni di stabilità e sicurezza, ma potrebbe svolgere la propria funzione anche se fosse semplicemente poggiato sull’impianto“.
Necessario il consenso di tutti i condomini se il contratto supera i nove anni
Le Sezioni Unite tirano quindi le fila del discorso. Usualmente, il rapporto che disciplina l’installazione di un ripetitore va ricondotto – in mancanza di indicazioni di segno contrario suggerite dall’interpretazione del singolo contratto – allo schema del contratto atipico di concessione ad aedificandum ad effetti obbligatori.
Tale accordo, che abbia ad oggetto la disponibilità di una specifica area, deve essere letto alla luce delle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile, ad esempio l’art. 1323 c.c.; nonché, per quanto non previsto dal titolo, in forza delle norme sul contratto tipico di locazione per ciò che è descritto all’art. 1953 c.c. e della pattuizione ammessa in deroga al principio dell’accessione che attribuisca lo jus tollendi alla compagnia di telecomunicazioni concessionaria del godimento del lastrico (salvo l’obbligo di ripristino del lastrico medesimo in caso di eventuali danneggiamenti derivanti dalle operazioni di rimozione); ancora, alla luce dell’art.1599 c.c., sul tema dell’opponibilità del contratto al terzo acquirente, oppure quanto all’art. 2643 n. 8 c.c., in tema di trascrizione dei contratti di locazione immobiliare di durata superiore ai nove anni; infatti, laddove la durata del medesimo contratto non superi i nove anni è sufficiente la maggioranza prevista per gli atti di ordinaria amministrazione (art. 1108, commi I e II, c.c.).
Nel caso in cui il contratto di concessione superi la durata canonica di nove anni come descritto dall’art. 2643 cit., la previsione di natura eccezionale non copre soltanto la pattuizione relativa alla concessione dell’occupazione del lastrico e quindi al suo godimento, ma implica una propagazione del contratto, con la continuazione dell’originario rapporto e l’assunzione, da parte dell’acquirente, della stessa posizione del locatore e come tale è necessario il consenso unanime di tutti i condòmini.
Infine, se il contratto intende trasferire un diritto reale di superficie e laddove la causa “in concreto” si rinviene nella possibilità del superficiario di realizzare e tenere opere edilizie sul fondo altrui, anche ricostruendole in un preciso contesto spaziale (desumibile ad esempio dalla volontà di inscrivere un’ipoteca destinata a garantire il finanziamento dell’iniziativa o, comunque, a disporre del diritto in futuro, quand’anche di durata inferiore a nove anni) è necessario, per l’effetto dell’art. 1108, comma III, c.c., il consenso di tutti i condòmini.
La riconduzione del contratto all’una o all’altra delle suddette categorie rappresenta una questione di interpretazione contrattuale, che rientra dapprima nel potere delle parti nel corso della regolazione delle pattuizioni specifiche e, successivamente, nei poteri del giudice di merito in caso di contenzioso.