Patologia “piromane” del figlio sottaciuta all’assicurazione, i genitori devono risarcire di tasca propria i danni dell’incendio
Dei danni causati dal figlio minore devono rispondere i genitori, e questo è pacifico, ma che lo debbano fare di tasca propria pur essendo assicurati, decisamente meno.
Decisivo, per l’esclusione della copertura, il fatto di aver sottaciuto all’assicurazione la particolarissima patologia del ragazzo, determinante per il danno in questione, un incendio.
Un ragazzo “piromane patologico” causa l’incendio di un fienile
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8895/20 depositata il 13 maggio 2020, si è occupata di una vicenda alquanto singolare. Un giovanissimo, che all’epoca dei fatti aveva 17 anni, aveva provocato l’incendio di un fienile di proprietà di un agricoltore. Quest’ultimo era coperto da assicurazione, per i danni alla sua proprietà, con la società Reale Mutua, la quale, dopo aver risarcito il suo assicurato dei danni subiti, aveva agito in surrogatoria verso gli autori del danno, ed in particolare verso i genitori del ragazzo, in proprio e quali rappresentati del figlio all’epoca minorenne.
Questi ultimi si erano costituiti in giudizio negando innanzitutto la responsabilità del figlio e, in secondo luogo, chiedendo e ottenendo la chiamata in causa della Groupama Assicurazioni, con la quale avevano un contratto per la copertura dei danni causati dai membri della famiglia, e dalla quale dunque pretendevano di essere garantiti in caso di condanna al risarcimento.
Groupama si era costituita eccependo la decadenza dalla garanzia assicurativa e sostenendo – facendone altresì oggetto di una domanda riconvenzionale – che gli assicurati avessero taciuto una circostanza determinante, ossia la malattia del figlio, il morbo di Klinefelter, che induce ad una certa piromania.
Padre e madre del minore condannati a pagare di tasca propria benché assicurati
Il Giudice di primo grado aveva ritenuto fondata quest’eccezione, e la relativa domanda riconvenzionale, dichiarando dunque la decadenza dei convenuti dalla garanzia assicurativa, ma aveva omesso di pronunciare sulla domanda principale di Reale Mutua di risarcimento del danno in surroga del danneggiato.
I genitori del ragazzo e anche quest’ultimo, divenuto nel frattempo maggiorenne, avevano quindi proposto appello, ma aveva presentato appello incidentale anche la Reale Mutua quanto, appunto, alla domanda di risarcimento su cui il giudice di primo grado aveva omesso di pronunciare. E la Corte d’Appello ha accolto quest’ultima istanza, condannando il giovane, in solido con i genitori, al risarcimento verso la Reale Mutua, che come detto aveva agito in surroga del danneggiato, per l’incendio appiccato, ritenendo che l’autore all’epoca dei fatti fosse, sì, affetto da quel particolare disturbo, ma capace d’intendere e volere.
Garanzia assicurativa esclusa perché i genitori avevano sottaciuto la patologia del figlio
Inoltre, la sentenza di secondo grado aveva confermato la decisione del primo quanto alla decadenza dalla garanzia. I giudici avevano ritenuto che, sebbene il disturbo psichico di piromania fosse stato diagnosticato nel 2006, tuttavia già all’epoca della sottoscrizione della polizza, nel 1998, la condizione del minore fosse nota, e note fossero anche le sue tendenze a comportamenti anomali, ed in alcuni casi rivolti al danneggiamento, cosi che l’attenzione dei genitori avrebbe dovuto essere maggiore del normale controllo che si esercita sui figli. Inoltre, l’omissione, scendo la Corte di merito, era da ritenersi rilevante ai fini della copertura assicurativa.
Il ricorso per Cassazione teso a confutare la reticenza contestata
Di qui il ricorso per Cassazione del giovane e dei suoi genitori contro quest’ultima sentenza con sette motivi. I ricorrenti, in particolare, hanno ritenuto errata la pronuncia della corte di appello nella parte in cui aveva ritenuto reticenti le dichiarazioni degli assicurati in ordine alla malattia del ragazzo, senza considerare che tale patologia era stata diagnosticata nel 2006, mentre il contratto era stato concluso nel 1998, e che dunque al momento della stipula essi non potevano conoscere ciò che solo molti anni dopo sarebbe stato accertato.
A loro dire, la decisione impugnata non era corretta anche per via del fatto che, accertato il rinnovo annuale della polizza, la Corte aveva considerato che gli assicurati ben potevano, al momento, per l’appunto, di tale rinnovo, dichiarare la malattia del figlio, una volta venutine a conoscenza: secondo i ricorrenti, la polizza non si rinnovava automaticamente, ma piuttosto il frazionamento annuale era riferito al premio assicurativo, e non già al rinnovo.
Diagnosi della malattia successiva alla stipula del contratto
Dunque, il ricorso si è incentrato sui presupposti della reticenza contestata, asserendo che la corte di merito aveva ritenuto in modo immotivato, e senza che vi fossero prove, la colpa o il dolo dei genitori nel fatto di aver taciuto la malattia del figlio, elemento soggettivo che invece sarebbe stato da escludersi in ragione dell’insorgenza o della diagnosi successiva alla stipula.
Ancora, secondo i ricorrenti la Corte d’Appello non aveva considerato tra i fatti probatori rilevanti la circostanza che la compagnia di assicurazione aveva omesso di fare il questionario, o meglio, nel questionario presentato agli assicurati, aveva omesso di chiedere informazioni specifiche sulle circostanze rilevanti, come quella della malattia del figlio. La corte di merito, a detta dei genitori, non avrebbe tenuto conto di tale omissione, pur essendo stata fatta valere con specifico motivo di appello.
Inoltre, il padre e la madre del ragazzo hanno ravvisato insufficiente motivazione ed errore percettivo sulla clausola del contratto, con la quale si pretendevano informazioni utili dagli assicurati, la quale, se attentamente considerata, avrebbe portato a ritenere che essa non conteneva informazioni sanitarie o sulla salute degli assicurati. I genitori del ragazzo piromane, poi, hanno riproposto la questione, posta già in appello, della rinuncia tacita da parte dell’assicurazione, la quale il 30 marzo del 2006 aveva receduto dal contratto di assicurazione, il successivo 30 ottobre 2006 aveva confermato la regolarità della denuncia del sinistro, e solo 21 ottobre 2008 aveva dichiarato di volersi avvalere dell’articolo 1892 c.c., facendo valere la decadenza dalla copertura assicurativa. Il lasso di tempo cosi trascorso sarebbe stato indice di rinuncia, mentre la corte si limitava a prendere in considerazione la questione della decadenza dall’azione di annullamento del contratto e non della rinuncia.
Infine, i ricorrenti, quanto all’appello incidentale di Reale Mutua, hanno contestato la decisione della Corte d’Appello laddove, considerate le perizie in atti, aveva reputato che il ragazzo, al momento del fatto, fosse capace di intendere e volere e dunque responsabile dei danni causati con l’incendio, unitamente ai genitori che comunque non lo avrebbero controllato: una decisione che, a loro dire, era stata emessa sulla base della sola conclusione peritale, per la quale la malattia incideva sulle facoltà intellettive del minore ma senza renderlo incapace del tutto, senza scendere a valutare l’effettivo sviluppo del minore e lo stato psicologico in cui si trovava.
La Suprema Corte respinge le doglianze
Ma per la Cassazione, l’articolato ricorso è infondato, e qui rileva soprattutto soffermarsi sui primi tre motivi riguardanti la reticenza e la sua rilevanza. “La Corte ha accertato – scrivono gli Ermellini – che sin dal 1998 il minore manifestava comportamenti che avrebbero dovuto indurre i genitori ad una maggiore attenzione, e per i quali era in cura psicologica, e questo è un accertamento in fatto, motivato dalla corte e qui non censurabile. Cosi deve dirsi anche per l’elemento soggettivo la cui sussistenza (dolo o colpa) è allo stesso modo oggetto di accertamento in fatto insindacabile se adeguatamente motivato, come ha fatto la corte di appello anche quanto alla rilevanza”. Secondo la Cassazione infatti, “non si può negare che la tendenza ad appiccare incendi è una circostanza la cui conoscenza è decisiva per un’assicurazione da responsabilità civile”.
Il questionario, seppur generico, doveva richiamare l’assicurato a dare risposte veritiere
Anche la questione del questionario, secondo i giudici del Palazzaccio, non è decisiva per la soluzione della controversia, “posto che l’onere di denuncia delle circostanze rilevanti (tra queste la malattia) sorge solo che l’assicurazione manifesti interesse a conoscere gli stati rilevanti che possano condizionare il suo impegno contrattuale, interesse che è validamente e sufficientemente manifestato attraverso un generico questionario, volto a stimolare la dichiarazione della controparte. Correttamente è stato osservato che la predisposizione di un questionario da parte dell’assicuratore, benché non abbia la funzione di “tipizzare” le possibili cause di annullamento del contratto di assicurazione per dichiarazioni inesatte o reticenti, evidenzia tuttavia l’intenzione dell’assicuratore di annettere particolare importanza a determinati requisiti e richiama l’attenzione del contraente a fornire risposte complete e veritiere sui quesiti medesimi e, quindi, dev’essere valutata dal giudice in sede di indagine sul carattere determinante, per la formazione del consenso, dell’inesattezza o della reticenza”.
E nello specifico, aggiungono i giudici di legittimità, risulta pacifico che un questionario era stato sottoposto “e che v’era richiesta di denunciare circostanze rilevanti ed incidenti sul rischio, e tale adempimento è sufficiente a manifestare interesse dell’assicuratore per situazioni rilevanti ai fini del concretizzarsi dell’evento”.
Quanto, poi, al motivo in cui si denunciava omessa pronuncia quanto all’avvenuta rinuncia dell’assicurazione al diritto di chiedere l’annullamento, la Cassazione chiarisce che “far valere tardivamente il diritto, o con ritardo (ma non v’è un termine in questo caso), non vuol dire rinunciarvi”.
Respinta, infine, anche la doglianza circa l’insufficienza della sola perizia a dimostrare che il minore era capace d’intendere ciò che faceva, censura che peraltro, osserva la Cassazione, è esposta “in termini generici, nel senso che i ricorrenti, premesso che la consulenza tecnica non era sufficiente, non dicono quali altre prove deponessero in senso contrario”. Ergo condanna dei genitori del ragazzo a pagare i danni di tasca propria confermata.