Anche il proprietario del terreno dato in affitto risponde per la discarica abusiva
Anche il proprietario che concede in locazione un terreno a terzi per svolgere un’attività di smaltimento di rifiuti è responsabile del reato di gestione non autorizzata, tanto più se emerge che non poteva “non sapere”: incombe su di lui, infatti, l’obbligo di verificare la sussistenza di apposita autorizzazione nonché il rispetto da parte del concessionario delle prescrizioni contenute nel titolo abilitativo.
A chiarire con forza questo concetto la Corte di Cassazione, III sezione penale, con la sentenza n. 27911/19 depositata il 25 luglio.
Condannato il proprietario di un terreno per gestione non autorizzata di rifiuti
Il caso. La Corte d’Appello di Milano, confermando peraltro la sentenza di primo grado del tribunale, aveva condannato il proprietario di un terreno alla pena di sette mesi di reclusione e a tremila euro di ammenda per il reato di cui all’articolo 256, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, perché a Milano, su di un’area a lui in uso, aveva effettuato un’attività di raccolta rifiuti pericolosi e non pericolosi in assenza della prescritta autorizzazione, in particolare carcasse di veicoli, batterie ed olii di motori esausti derivanti dalla sua attività di autoriparazioni/carrozzeria.
L’imputato ha proposto ricorso anche per Cassazione sostenendo, tra le varie doglianze, che la Corte d’appello sarebbe pervenuta alla conferma della sentenza di condanna di primo grado sulla base di un’erronea valutazione dei fatti e alla luce di una non corretta applicazione delle norme giuridiche penali in materia di rapporto di causalità per mancata attivazione nell’impedimento dell’evento del reato commesso da altri.
La Corte territoriale aveva ritenuto di configurare la sua responsabilità penale sulla scorta del fatto che egli, quanto all’area ove insistevano i rifiuti, avesse stipulato un contratto di locazione fittizio in quanto, nella qualità di proprietario del terreno, aveva conservato una copia delle chiavi di accesso all’immobile e sul rilievo che ciò costituisse, in ogni caso, prova sufficiente della conoscenza da parte sua dell’attività illecita di discarica di rifiuti esercitata nell’area, implicando il possesso delle chiavi anche il mantenimento di un potere di accesso e controllo sull’area stessa, incompatibile con il totale passaggio della detenzione al locatario.
Secondo il ricorrente, un tale approdo si porrebbe in aperto contrasto con l’evoluzione giurisprudenziale in materia, la quale negherebbe l’esistenza di una posizione di garanzia del proprietario per l‘impedimento di reati commessi da altri soggetti rispetto agli illeciti di abbandono e realizzazione o gestione di discarica senza autorizzazione, sottolineando che nella legislazione ambientale una siffatta posizione di garanzia è rinvenibile unicamente a carico del produttore e/o detentore dei rifiuti.
Inoltre, sarebbe stata violata anche la disposizione di cui all’articolo 110 del codice penale in tema di concorso di persone, poiché il ricorrente sarebbe stato inspiegabilmente l’unico soggetto chiamato a rispondere del reato contestato, sulla base di una condotta omissiva (che come tale prevede quindi l’attivazione di un soggetto nei confronti dell’inerzia altrui), senza che sia stato contestato alcun concorso di persone nel reato.
Per la Suprema Corte il proprietario era a conoscenza dell’attività illecita
Secondo la Suprema Corte, tuttavia, il ricorso è inammissibile.
Gli Ermellini, infatti, evidenziano che i giudici di merito, “con doppia e conforme motivazione”, avevano accertato come il ricorrente avesse concesso in locazione “un gabbiotto in lamiera senza permanenza di persone, con uso bagnetto, posto su una base di terreno cementato e recintato”.
Egli, quindi, aveva pienamente conservato la proprietà e la piena disponibilità dell’area, oggetto della condotta illecita che gli era stata contestata.
Inoltre, la conservazione delle chiavi di accesso al terreno costituiva, secondo il logico convincimento dei Giudici di merito, anche indice rilevante del carattere fittizio della locazione e comunque prova sufficiente della conoscenza da parte del locatore dell’attività illecita di discarica di rifiuti esercitata nell’area, implicando ciò il mantenimento di un potere di accesso e di controllo sull’area stessa da parte del proprietario, incompatibile con il totale passaggio della detenzione al locatario.
Di più, a confermare la circostanza che l’imputato fosse perfettamente consapevole dell’attività di gestione e produzione dei rifiuti, è stata anche addotta la presentazione da parte sua di una richiesta di sanatoria per regolarizzare la posizione di uno dei due conduttori del “gabbiotto” concesso in locazione, ossia di uno straniero privo del permesso di soggiorno: richiesta di regolarizzazione giustificata proprio sul rilievo che, in loco, fosse esercitata l’attività lavorativa dalla quale derivava la produzione dei rifiuti.
Violato anche l’obbligo di diligenza e controllo
“Pertanto, nell’esprimere il proprio convincimento, la Corte territoriale si è attenuta al principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale il proprietario di un’area su cui terzi depositino in modo incontrollato rifiuti, è penalmente responsabile dell’illecita condotta di questi ultimi in quanto tenuto a vigilare sull’osservanza da parte dei medesimi delle norme in materia ambientale – spiega la sentenza della Cassazione -, e ciò in quanto, in tema di rifiuti, la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione.
E’ stato infatti, affermato che risponde del reato di gestione non autorizzata di rifiuti il proprietario che conceda in locazione un terreno a terzi per svolgervi un’attività di smaltimento di rifiuti, in quanto incombe sul primo, anche al fine di assicurare la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), l’obbligo di verificare che il concessionario sia in possesso dell’autorizzazione per l’attività di gestione dei rifiuti e che questi rispetti le prescrizioni contenute nel titolo abilitativo”.
Si tratta di impostazioni, prosegue la Cassazione, ormai consolidate nella giurisprudenza della Corte e che hanno superato, nei termini in cui esse sono state espresse, la posizione che la giurisprudenza di legittimità aveva assunto in passato secondo la quale, in tema di gestione dei rifiuti, la responsabilità del soggetto avente la disponibilità di un’area sulla quale terzi abbiano abbandonato rifiuti è configurabile soltanto qualora venga accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del possessore del fondo con gli autori del fatto, ovvero per una condotta di compartecipazione agevolatrice, non sussistendo in questo caso una posizione di garanzia in capo allo stesso.
L’obbligo dell’autorizzazione per la gestione rifiuti
Infatti, nel caso in cui, come nella specie, il proprietario conceda, in tutto o in parte, a terzi beni immobili per l’esercizio di un’attività dalla quale scaturisca una produzione di rifiuti, “essa – concludono gli Ermellini – deve ritenersi soggetta ad autorizzazione cosicché incombe sul proprietario l’obbligo, anche al fine di assicurare la funzione sociale riconosciuta dall’articolo 42 Costituzione al diritto di proprietà, di verificare che l’utilizzazione dell’immobile avvenga nel rispetto dei parametri legali, e, quindi, che il terzo, cui venga concesso in uso il bene, sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per l’attività di gestione di rifiuti che su detto terreno venga esercitata e rispetti le prescrizioni in essa contenute.
Nello specifico, il proprietario era a conoscenza dell’attività svolta ed aveva anche contribuito attivamente alla realizzazione dell’illecito presidiato dalla sanzione penale, concedendo l’uso di un “gabiotto” a tale scopo e persino consentendo che i rifiuti prodotti dall’attività fossero accumulati sul terreno circostante.
In conclusione, la Cassazione conviene con i giudici di merito sul fatto che l’imputato sia stato chiamato a risponderne anche a titolo di colpa, “cosicché, anche volendo escludere il suo concorso con gli esercenti l’attività di riparazione di veicoli e dalla cui attività derivava la produzione dei rifiuti, correttamente ne è stata egualmente affermata la responsabilità, per quanto rilevato in ordine all’obbligo da parte del locatore di impedire l’uso illecito della cosa locata, allorché egli ne sia consapevole o possa esserne consapevole mediante l’ordinaria diligenza, in applicazione del disposto di cui all’articolo 40, comma 2, del codice penale”.
Dunque, ricorso rigettato e condanna confermata.