Anche il coordinatore per l’esecuzione dei lavori in cantiere risponde in caso di infortunio mortale

Con la sentenza n. 17213/19, depositata il 19 aprile 2019, a pochi giorni dal Primo Maggio, Festa del Lavoro, la Cassazione ricorda che anche il coordinatore per l’esecuzione dei lavori nei cantieri ha una autonoma e fondamentale funzione di alta vigilanza e che, in caso di incidenti, è tenuto a risponderne alla stregua del datore di lavoro laddove la sua attività sia stata lacunosa.

L’ennesima morte bianca

La Suprema Corte si è occupata dell’ennesima tragedia sul lavoro, quella di un lavoratore caduto da un tetto in ristrutturazione e deceduto a causa dei gravi traumi riportati.

Per questo incidente la Corte d’Appello di Brescia, confermando il giudizio di primo grado, aveva condannato per omicidio colposo anche il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori nel cantiere in questione, a cui era stato imputato di non aver adeguato le prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento all’effettiva realtà del cantiere, in relazione al rischio di caduta dall’alto; di aver indicato prescrizioni generiche, senza ben individuare le fasi di lavoro e le zone in cui vi era tale rischio, né adeguate misure di prevenzione e protezione, come la predisposizione di reti anti-caduta; di non aver rilevato le mancanze relative alle scelte adottate dall’impresa esecutrice in relazione al rischio di caduta dall’alto; di non aver richiesto il ripristino immediato delle condizioni di sicurezza né le necessarie modifiche o integrazioni al piano operativo di sicurezza, palesemente inadeguato, con conseguente caduta dall’alto del lavoratore, che aveva appoggiato il piede su una lastra che aveva ceduto sotto il suo peso.

 

Il coordinatore condannato in primo e secondo grado ricorre per Cassazione

L’imputato però ha presentato ricorso per Cassazione deducendo una serie di presunte violazioni di legge e vizi di motivazione.

Ad esempio, asseriva che la Corte d’Appello avrebbe esteso in maniera indebita il concetto di lavorazioni plurime a quello di pluralità di imprese: la posizione di garanzia del coordinatore, sia in fase di progettazione che di esecuzione dei lavori, sarebbe infatti limitata al caso di rischio interferenziale, laddove vi sia compresenza di più imprese.

Sosteneva poi che il piano di sicurezza e coordinamento conteneva una puntuale individuazione dei rischi sussistenti, compreso quello di caduta dall’alto, con le relative misure di prevenzione; assicurava di aver prescritto l’accertamento sulla effettiva resistenza dei lucernari per verificare che fossero in grado di sopportare il peso degli operai.

Insomma, a suo dire le misure di prevenzione erano idonee e l’infortunio sarebbe avvenuto esclusivamente per imprudenza del lavoratore, a cui si sarebbe aggiunta una negligenza di controllo da parte del datore di lavoro e, al più, del preposto di cantiere: l’operaio non indossava i dispositivi di protezione individuali prescritti, si sarebbe spostato sul cantiere, in zona pericolosa, senza autorizzazione e non avrebbe seguito le prescrizioni impartite.

 

La Cassazione chiarisce le funzioni del coordinatore

Per la Cassazione, tuttavia, si tratta di motivi di doglianza infondati.

E gli Ermellini con l’occasione chiariscono il ruolo di questa figura rilevante, che svolge funzioni importanti tra cui la redazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), con l’individuazione e la valutazione dei rischi nonché la previsione delle conseguenti procedure per tutta la durata dei lavori e l’indicazione delle prescrizioni correlate alla complessità e alle fasi critiche dell’opera.

Nello specifico, la Suprema Corte conviene con il giudice di secondo grado circa la pluralità di contemporanee lavorazioni sul tetto del capannone, per la rimozione di lastre di cemento-amianto, la raccolta della lana di roccia, la sostituzione dei lucernari e la posa di una nuova copertura, da parte di un’impresa, nonché per l’installazione dei pannelli fotovoltaici da parte di un’altra impresa.

E conviene anche sul fatto che le prescrizioni del piano di sicurezza e di coordinamento, in particolare con riferimento al rischio di caduta dall’alto, fossero vaghe e lacunose.

In particolare, per quanto riguarda l’intervento di sostituzione dei lucernari, non era stato appunto considerato il profilo dell’interferenza con i lavoratori addetti ad altro. In questi casi, il coordinatore dovrebbe prevedere una idonea “segregazione” delle zone interessate, cosa che non era stata fatta. In conclusione, gli obblighi gravanti sull’indagato in qualità di coordinatore per la progettazione non sono stati correttamente adempiuti.

Non solo. I giudici del Palazzaccio, oltre che sugli obblighi incombenti sul coordinatore per la progettazione, “e la cui violazione sarebbe già sufficiente a fondare la declaratoria di responsabilità”, entrano anche nel merito dei doveri inerenti alla sua qualità di coordinatore in fase di esecuzione, pure questi mancati.

Infatti, il coordinatore per l’esecuzione deve fungere da collegamento fra impresa appaltatrice e committente, deve adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, e vigilare sul rispetto del piano stesso, sospendendo, in caso di pericolo grave, le singole lavorazioni. In tal senso, è titolare di una autonoma posizione di garanzia, che comprende non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e il compito di adottare tutte le opportune misure di sicurezza ma anche la loro effettiva predisposizione nonché la verifica costante sulla concreta osservanza delle misure adottate, al fine di evitare che esse siano trascurate e disapplicate, e, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione.

E “a nulla rileva – puntualizza la sentenza – la compresenza di un coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed, eventualmente, di un “coadiutore della sicurezza in fase di esecuzione”, a loro volta titolari di autonome e concorrenti posizioni di garanzia.

Il coordinatore per l’esecuzione non è il controllore del datore di lavoro ma è in particolare il gestore del rischio interferenziale ed ha una autonoma funzione di “alta vigilanza” che, come detto, viene in rilievo laddove, come nel caso in esame, si sia in presenza di un rischio interferenziale, sia cioè in atto una lavorazione che vede contemporaneamente al lavoro più imprese, con un incremento del rischio infortunistico.

 

Il concetto di “alta vigilanza”

La Cassazione, infine, spiega anche il concetto di “alta vigilanza”: mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento immediato, “il coordinatore opera soprattutto attraverso procedure”, fermo restando il potere-dovere di intervento diretto nei casi di grave pericolo.

Non è richiesta la sua continua presenza nel cantiere, ma nei momenti di lavorazione topici rispetto alla funzione di controllo, motivo per cui, per verificare eventuali responsabilità in un incidente, va appurato se si tratti di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, e come tale riconducibile alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto, o se invece l’evento sia connesso alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione.

 

Responsabilità anche nell’esecuzione del piano di sicurezza

Nel caso in esame il giudice di secondo grado ha evidenziato che i lavoratori che non agivano sui lucernari operavano sul tetto del capannone liberi, senza alcun sistema di trattenuta del corpo da cadute accidentali e comunque dal pericolo di sfondamento della copertura. La zona in cui venivano eseguite le operazioni finalizzate alla rimozione del lucernario non era transennata, cosicché tutti gli operai che lavoravano sul tetto potevano liberamente accedervi.

L’indagato effettuava certamente le prescritte visite periodiche ma durante queste ultime “non colse minimamente il rischio costituito dalla rimozione dei lucernari anche per i lavoratori che, pur aggirandosi sul tetto, non erano direttamente interessati a questo tipo di operazione, come era appunto il (omissis) nonostante un tale rischio fosse, sia pure in modo largamente insufficiente, segnalato dal piano di sicurezza e di coordinamento, con la dicitura “segnalazione lavori” – tira le fila del discorso la Suprema Corte – Tant’è che ancora nel verbale del 3 maggio 2012, redatto il giorno prima dell’infortunio mortale, in cui si dà atto della presenza sul tetto di otto lavoratori della (omissis) per la posa della nuova copertura, e di sei lavoratori addetti all’installazione dei pannelli fotovoltaici, il rischio in questione non venne verificato né prospettato, nonostante il giorno dell’infortunio dovessero contemporaneamente essere asportati ben due lucernari, con la conseguente creazione di una vasta area di elevatissima insicurezza”.

In conclusione, a fronte di tali operazioni in corso, che creavano un elevato pericolo non solo per coloro che vi erano direttamente addetti ma anche per le restanti maestranze, “il coordinatore avrebbe pertanto dovuto dare attuazione alla predetta indicazione del Piano di sicurezza e coordinamento, anche se laconica, prescrivendo un’idonea segregazione fisica dei luoghi interessati dalla lavorazione, tale da impedire l’accesso da parte dei lavoratori non addetti.

La mancanza della segregazione, con idonee recinzioni, dell’area in questione fece sì che qualcuno vi appoggiasse i bancali che il lavoratore deceduto avrebbe dovuto rimuovere in pericolosa prossimità (mezzo metro) alla zona del tetto non portante.

Ciò comportò ulteriormente che la vittima accedesse a tale zona, avvicinandosi, priva di sistemi di ritenuta agganciati alle “linee vita”, al bancale, e appoggiasse il piede sulla lastra in policarbonato non portante del lucernario in fase di rimozione, che non resse il peso, determinando la caduta del soggetto passivo”. Di qui la conferma della condanna.

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