IL DANNO MORALE DEL CONGIUNTO DEL MACROLESO
Analisi giuridica sul diritto a essere risarciti anche per i familiari di chi ha subito lesioni gravi
La risarcibilità del danno morale subìto in prima persona da un danneggiato, a seguito del lungo cammino giuresprudenziale che dagli anni Novanta all’attualità è stato percorso, è ormai da ritenersi indiscussa.
Quanto sopra è ulteriormente suffragato dalle note sentenze gemelle di San Martino del 2008, con le quali la Suprema Corte si è addirittura pronunciata nel ritenerlo componente del valore del punto biologico, con conseguente adeguamento in forma di maggiorazione del valore stesso.
Maggiori dubbi e problemi interpretativi si sono posti con riferimento alla configurabilità di un danno morale in capo ai congiunti della persona offesa, e più nello specifico i prossimi famigliari della vittima.
In forza di un iniziale orientamento, gli Ermellini hanno negato che i prossimi congiunti della persona offesa dal reato di lesioni personali, anche se di minore età, avessero diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, riconoscendo loro tale diritto unicamente in caso di omicidio e, quindi, di decesso della vittima.
Il fondamento di tale diniego era da ricondursi all’assenza del nesso eziologico fra condotta dell’agente responsabile ed evento, come previsto dall’art. 1223 cc.
La Suprema Corte riteneva, infatti, che l’assenza di un rapporto di causalità diretta fra la condotta e l’evento dannoso non poteva configurare la risarcibilità di un danno non patrimoniale, perché i congiunti, «soffrendo per la sofferenza del proprio familiare, non sono colpiti in modo diretto ed immediato dalla condotta lesiva del terzo; nell’ipotesi di omicidio invece, essendo venuta meno la persona colpita, i prossimi congiunti sono i soggetti che in primis subiscono la sofferenza, mentre altro non può dirsi del caso di lesioni, ove vi è già un soggetto, cioè il leso, il quale, subendo la sofferenza in modo diretto ed immediato, beneficia del risarcimento del danno in esame».
Ulteriore motivo di non configurabilità di tale danno sotto il profilo della sua risarcibilità, veniva ricondotto alla circostanza che quest’ultima avrebbe rappresentato una ingiustificabile duplicazione risarcitoria in capo al responsabile, ossia al leso e ai congiunti, diversamente dal caso di omicidio, in cui era tenuto alla sola liquidazione del danno ai congiunti.
La fine degli anni Novanta ha successivamente determinato un cambiamento interpretativo da parte degli Ermellini che, a partire dalla pronuncia n. 4186 del 23/04/98, hanno affermato che non si ravvisano difficoltà al riconoscimento del danno morale ai congiunti della vittima gravemente lesa e che sia sopravvissuta all’evento, purché la sofferenza si presenti come effetto normale dell’illecito, secondo il criterio della regolarità causale.
Tale mutazione di orientamento ha determinato l’instaurarsi di un percorso giuresprudenziale che, negli anni successivi, ha cristallizzato detta sensibilità giuridica, che si è sempre maggiormente espressa verso il riconoscimento di questa voce di danno, quanto meno da parte della Suprema Corte.
Al riguardo, si riportano a seguire le considerazioni della Terza Sezione della Corte di Cassazione, che con la sentenza n 7844 del 2011, cassava la pronuncia della Corte d’Appello di Roma, per la parte in cui non riconosceva agli attori, congiunti conviventi di un danneggiato macroleso, il danno morale da essi sofferto: «Anziché rigettare la domanda, argomentando dalla ritenuta carenza di prova in proposito, la corte di merito avrebbe dovuto invero ritenere, in assenza di prova contraria, presuntivamente provato il domandato danno non patrimoniale in questione. A fortiori in considerazione della circostanza che l’odierna ricorrente G. ha non solo allegato ma, giusta quanto emerge dalla motivazione dell’impugnata sentenza, dato in realtà addirittura prova diretta dell’essere la propria sofferenza inferiore (o patema d’animo) nel caso degenerata in termini obiettivamente riscontrabili, e in particolare nella scelta, deponente per un radicale cambiamento di vita, di abbandonare il lavoro per potersi dedicare all’esclusiva cura e assistenza del figlio che ne abbisognava in ragione delle gravi lesioni riportate all’esito del sinistro stradale in argomento».
Il percorso logico con cui, sul finire degli anni Novanta, la Suprema Corte è pervenuta a tale interpretazione, e che successivamente è stato recepito dalla giurisprudenza, come sopra evidenziato, è da ricondursi al già avvenuto superamento nei recentissimi anni precedenti della dicotomia fra danno evento e danno conseguenza, che aveva determinato come risarcibile il danno riflesso in forma di danno biologico psichico ai congiunti del macroleso.
Sostanzialmente, si è ritenuto che l’art. 2059 che disciplina il danno morale, superata la dicotomia fra danno evento e danno conseguenza, non è ostativo alla previsione del riconoscimento anche del danno morale ai congiunti della vittima macrolesa, ritenendo che l’articolo 1223 cc va ricondotto in tale caso ad un profilo interpretativo di semplice regolarità causale, relegando la rigida interpretazione della causalità materiale all’ambito penalistico degli art. 40 e 41 cp.
Quanto sopra, inoltre, trova ulteriore, rilevante giustificazione nella circostanza che, se il danno morale da lutto viene riconosciuto ai congiunti del de cuius, non per la fantasiosa e semplicistica motivazione che, essendo morta la vittima, non vi sarebbe nessuno da risarcire, ma in quanto iure proprio e non iure ereditatis (a differenza di un eventuale danno biologico da sopravvivenza a cui segue la morte), non si comprenderebbe in forza di quale logica tale sofferenza non debba trovare riparo e tutela quando discende non dalla morte del congiunto, ma da lesioni gravissime.
Nonostante il percorso giuresprudenziale iniziato al riguardo nel 1998, le discussioni e i dubbi sono proseguiti, fino a che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9556 del 2002, si sono chiaramente espresse in questi termini: «Ai prossimi congiunti della persona che abbia subìto a causa del fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto di cui all’art. 1223 cc, in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire iure proprio contro il responsabile».
La Cassazione, pertanto, sul presupposto che un medesimo fato illecito possa essere lesivo di più posizioni soggettive, potendo i suoi effetti nefasti propagarsi a più soggetti, giunge ad affermare che il turbamento dell’animo sofferto dai congiunti del leso derivi in via diretta ed immediata dall’illecito, secondo il solo principio della regolarità causale.
Le conseguenze sul piano pratico di questa evoluzione giuresprudenziale sono state di notevole portata nell’ambito della liquidazione danni, soprattutto sotto il profilo dell’entità economica dei risarcimenti.
Naturalmente la configurabilità del risarcimento di tale danno è da ricondursi ai soli casi di gravi lesioni, ovvero in ogni caso tale da giustificare la sussistenza del presupposto della naturale e ragionevole discendenza della sofferenza del congiunto dalle lesioni della vittima: nella prassi e nelle, per quanto possibile, ragionevoli consuetudini liquidative, sia ante causam, come in forza di sentenza, l’orientamento diffuso è quello di riconoscere la risarcibilità del danno morale del congiunto del macroleso, nei casi in cui l’invalidità permanente della vittima è pari oppure superiore al 50%.
Al riguardo, si precisa a titolo esemplificativo, come in alcuni casi si è giunti a riconoscere ad una giovane moglie di un macroleso un risarcimento a titolo di danno morale per un importo monetario pari ai parametri minimi previsti per un coniuge dalla Tabelle del Tribunale di Milano in punto danno morale da lutto.
Tale orientamento di consuetudine, tuttavia, non esclude la possibilità di valorizzare, esaminando ogni singolo caso concreto, la risarcibilità di tale danno anche a fronte di lesioni inferiori, naturalmente presupponendosi un onere probatorio molto più stringente.
La quantificazione del danno morale infatti, come autonoma figura di danno, prescinde dalla entità del danno biologico, principio in relazione al quale la Cassazione Civile ha già in svariate pronunzie espresso la corretta interpretazione: «la valutazione del danno morale, inteso come entità autonoma, deve essere effettuata caso per caso, senza che il pregiudizio biologico funga da riferimento assoluto e necessario».
In ogni caso, tale interpretazione del danno morale come disciplinato e previsto dall’art.2059 cc, rileva sicuramente come un giusto traguardo di equilibrio e coerenza intellettuale della nostra giurisprudenza, auspicabile anche in altri ambiti della configurabilità della risarcibilità dei danni riflessi, che ancora all’attualità necessitano di maggiore forza di chiarezza da parte della Suprema Corte.
Il riferimento è a come spesso, nella consuetudine liquidativa, si ritenga ancora che il danno morale del congiunto del macroleso, qualora lo si pretenda riconosciuto, sia una duplicazione di risarcimento nei casi in cui il congiunto sia incorso in un danno biologico psichico, duplicazione risarcitoria che invece non viene ritenuta tale nel caso di sovrapponibilità con il danno morale da lutto.
Nell’ampio scenario del danno non patrimoniale, si tratta senza dubbio di un miope approccio intellettuale che non considera come i due danni in questione, quello morale e quello psichico del congiunto del macroleso, come nel caso del decesso della vittima, discendano da due presupposti sostanziali e perfettamente sovrapponibili, principio di agevole percezione, trattandosi di sofferenza interiore soggettiva per il primo, e di concretizzazione di una lesione di ordine psichico per il secondo.
La definizione più comunemente accettata del danno biologico psichico, lo vede infatti descritto come una compromissione durevole ed obiettiva che riguarda la personalità individuale nella sua efficienza, nel suo adattamento, nel suo equilibrio; come un danno, quindi, consistente, non effimero, né puramente soggettivo, che si crea per effetto di cause molteplici e che, anche in assenza di alterazioni documentabili dell’organismo fisico, riducono in qualche misura le capacità, le potenzialità della vita della persona.
Si comprende, pertanto, come il danno psichico possa sussistere anche in capo a chi non abbia subito una lesione fisica in via diretta, e come possa discendere da molteplici cause, fra cui, appunto, anche la circostanza che vede un proprio congiunto gravato da lesioni importanti che ne precludano le normali funzionalità, oltre ad evidenziarsi come tale danno non ha una valenza di ordine soggettivo, diversamente dal danno morale in capo agli stessi soggetti, non dovendosi accertare, quest’ultimo, attraverso valutazione medico legale.
Invero, il presupposto del danno morale del congiunto del macroleso – e da questo la sovrapponibilità fra i due danni, come peraltro avviene nel caso di morte della vittima diretta dell’evento lesivo – è proprio la soggettività dello stesso.
Al riguardo, si richiama una puntuale definizione del danno morale, in tale caso nella sua accezione più ampia e generica, come ribadito sempre dalla Cassazione con la sentenza del 10 marzo 2010 n. 5770, per la quale il danno morale conserva una sua logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene a un diritto inviolabile della persona ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 130.
Nella sua quantificazione, pertanto, si dovrà tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell’integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo comunque escludersi l’adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico.
Si comprende pertanto, riferendoci ad un ipotetico caso concreto, come per esempio un genitore convivente di un minore incorso in stato vegetativo a seguito di gravissime lesioni subite, possa essere gravato da un rilevante danno morale di ordine soggettivo afferente la sofferenza che scaturisce dalle condizioni del figlio, e contestualmente manifestare forme conclamate ed accertate di patologia psichica che determino una compromissione della sua integrità funzionale di persona.