IL CANE E’ ANCHE UNA “BELLA” RESPONSABILITA’

Sempre più di frequente la cronaca riferisce di casi di persone, purtroppo spesso bambini, aggredite o che, comunque, hanno subito danni a causa di comportamenti riconducibili ad animali, più frequentemente cani e, per la maggior parte, esemplari di affezzione di proprietà del vicino, parente o amico.

Si tratta quindi di analizzare quale sia la tutela fornita a chi si trova, suo malgrado, coinvolto quale soggetto passivo – danneggiato – in una di queste fattispecie, chi debba rispondere della condotta dell’animale e quali siano i limiti della sua responsabilità.

La norma di riferimento è l’art. 2052 del Codice Civile, che così recita: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito“.

La responsabilità individuata dalla norma precedente trae fondamento non necessariamente da un comportamento o un’attività – sia essa commissiva od omissiva – posta in essere dal soggetto, ma dalla semplice relazione che intercorre tra il proprietario, o chi in quel momento ne ha la custodia o la sorveglianza, e l’animale. E’ dunque sufficiente la sussistenza della relazione per far sorgere l’obbligo di custodia e, conseguentemente, la responsabilità nel caso del verificarsi di un sinistro.

Come dovrà dunque comportarsi chi subisce un danno a causa dell’animale altrui? Innanzitutto, dal punto di vista pratico, il danneggiato, per poter chiedere e ottenere il risarcimento, dovrà provare che vi è un danno ed il nesso di causa tra questo e la condotta tenuta dall’animale, ossia dimostrare che il nocumento patito è causalmente riconducibile al comportamento dell’animale.

Preme precisare, a tale proposito, che la Giurisprudenza prevalente ritiene di poter includere nella nozione di “comportamento” dell’animale, idoneo a determinare il danno, ogni atto o moto dello stesso, sia esso secundum o contra naturam. Ad esempio, la responsabilità ex art. 2052 Codice  Civile è stata riscontrata nel caso in cui il danno sia stato causato non da un morso del cane, ma dal moto dello stesso: ad esprimersi in tal senso, recentemente, è stato il Tribunale di Arezzo, che, con sentenza del 10.10.2017, ha condannato il proprietario a risarcire il danno subito da un passante che perdeva l’equilibrio, rovinando al suolo, a causa della corsa libera del cane.

Interessante è anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 10190 del 28.04.2010, la quale, nel censurare la sentenza di merito che negava il risarcimento, afferma la sussistenza della responsabilità del proprietario del cane (in questo caso il Comune, trattandosi di randagio) “anche nell’ipotesi in cui, il danneggiato – particolarmente anziano – si sia spaventato e sia caduto per il timore di essere morso dall’animale che abbaiando contro manifestava intenzioni aggressive“.

Provato il nesso di causa, sarà poi necessario individuare il soggetto che in concreto è chiamato a rispondere, ossia il legittimato passivo e, a tal fine, ciò che andrà provato sarà il rapporto di proprietà o utilizzo dell’animale.

Un caso particolare riguarda l’ipotesi in cui non sia possibile rinvenire il proprietario/utilizzatore dell’animale: quindi, con riferimento specifico al cane, nel caso di danno cagionato da un animale randagio. In tali ipotesi, il soggetto cui è astrattamente imputabile la responsabilità è l’Ente al quale le leggi nazionali e regionali affidano il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo: in base alla specificità di ciascuna fattispecie, la responsabilità potrà dunque incombere in capo allo Stato, alla Regione, al Comune od altro Ente a ciò specificamente preposto sulla base della normativa vigente.

Individuato in astratto il soggetto passivo, sarà poi necessario che il danneggiato alleghi e provi la sussistenza di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, sia essa attiva od omissiva. Secondo il consolidato orientamento della Giurisprudenza, infatti, la peculiarità della fattispecie, che si caratterizza per non esservi un rapporto immediato e diretto tra il “proprietario” e l’animale, impone di ritenere che i danni causati da animali selvatici a persone o a cose siano risarcibili non in ragione della norma generale di cui all’art. 2052 Codice Civile, sopra citata, bensì in base ai principi generali dell’illecito civile di cui all’art. 2043 Codice Civile, che così recita: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Conseguentemente, per provare la sussistenza della responsabilità sarà necessario dimostrare che vi era in concreto la possibilità di agire dell’Ente che, con colpa, ha omesso di attivarsi: ad esempio, il danneggiato potrà dimostrare che vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e ciò nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura.

Esiste pure un risalente e isolato orientamento contrario nella giurisprudenza di merito, oggi quasi del tutto esauritosi, per il quale lo Stato, in qualità di proprietario, o le Regioni, in quanto titolari della potestà di legiferare in materia, risponderebbero dei danni cagionati dagli animali selvatici ai sensi a norma dell’art. 2052 Codice Civile. Tra le pronunce più recenti si segnala la sentenza del Tribunale di Venezia del 25.05.2008, ove si legge: “In caso di sinistro stradale cagionato da fauna selvatica, può ritenersi la responsabilità oggettiva della Regione ai sensi dell’art. 2052 c.c., tenuto conto delle competenze stabilite dalla legge n. 157/1992 in materia di governo della fauna selvatica, e della Provincia proprietaria della strada ove è avvenuto il sinistro, per aver omesso di apporre l’obbligatoria segnaletica di pericolo“. Ma si tratta di un caso isolato.

Con riferimento, invece, all’indirizzo maggioritario, sopra indicato, si riporta una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, n. 17060 del 28.06.2018, proprio in tema di randagismo, che afferma: “La responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 Codice Civile, e non dalle regole di cui all’art. 2015 Codice Civile, che non sono applicabili in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo”.

In ordine al soggetto pubblico concretamente tenuto a rispondere, poi, la sentenza appena richiamata specifica ulteriormente: “L’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo rileva non sul piano della colpa, ma dell’imputazione della responsabilità omissiva sul piano causale“.

Tornando alla norma generale di cui all’art. 2052 Codice Civile, dimostrato il danno subito, il nesso di causalità tra lo stesso ed il comportamento tenuto dall’animale ed individuato il proprietario e/o utilizzatore del medesimo, questi sarà dunque tenuto al risarcimento.

La norma sopra citata, tuttavia, fa salva la possibilità per il proprietario o l’utilizzatore dell’animale di dimostrare che il danno concretamente verificatosi è riconducibile ad un elemento esterno, anziché all’animale che pur ne è la fonte immediata, andando così esente da responsabilità. Il proprietario/utilizzatore, quindi, dovrà provare non già di aver usato la comune diligenza e prudenza nella custodia dell’animale, ma l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale, ossia il cosiddetto “caso fortuito”.

Sarà dunque irrilevante, per liberarsi dalla responsabilità, la dimostrazione dell’assenza di colpa del danneggiante, addirittura la responsabilità non verrà meno neppure se il danno sia avvenuto quando l’animale è fuggito o è stato smarrito dal proprietario; parimenti, non rileva nemmeno la condotta impulsiva ed inusuale dell’animale: infatti, con Giurisprudenza unanime, la Corte di Cassazione ha stabilito che il caso fortuito per avere effetto liberatorio dovrà sostanziarsi in un fattore, atipico e non prevedibile, idoneo ad interrompere il nesso causale tra il fatto dell’animale e l’evento dannoso.

La premessa su cui si basa tale convinzione è quella secondo cui l’animale, nella specie il cane, viene considerato quale essere con istinti primordiali, e quindi pur sempre potenzialmente pericoloso per chiunque si avvicini, tant’è che pure la prova della consueta mansuetudine e docilità dell’animale non sarà idonea a garantire  alcun effetto liberatorio delle responsabilità.

Al contrario, invece, circostanza idonea ad integrare il caso fortuito è il fatto del terzo – per tale intendendosi anche il danneggiato –, fatto che tuttavia deve a sua volta presentare caratteristiche specifiche, ossia avere i caratteri dell’imprevedibilità ed eccezionalità e che, in linea di principio,  può configurarsi sia quale caso fortuito “incidente” – ovvero di per sè solo idoneo a cagionare l’evento dannoso – sia quale caso fortuito “concorrente” – ossia idoneo a determinare una parziale esenzione della responsabilità in capo al proprietario/utilizzatore.

Ad esempio, la Cassazione, con sentenza 10402 del 20.05.2016, nel confermare la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, non riteneva idoneo ad integrare il caso fortuito – e dunque ad escludere la responsabilità – il fatto che l’attrice si fosse introdotta nella stanza ove si trovava l’animale e avesse fatto il gesto di accarezzarlo, nonostante l’espresso invito ad astenersi rivoltole dalla moglie del proprietario, ivi presente.

Al contrario, invece, si è ritenuto sussistere la responsabilità esclusiva del danneggiato che, introdottosi nel magazzino di vendita nell’ora di chiusura al pubblico, era assalito dal cane del proprietario (Cassazione Civile 4160/1981).

Alla responsabilità di natura civilistica si accompagna ed aggiunge quella di cui al Codice Penale, integrando l’ipotesi del danno cagionato dal cane, il reato di lesioni personali colpose, previsto e punito dall’art. 590 del Codice Penale, che così recita (per quanto qui interessa): “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239 … Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale”, che si ricollega alla contravvenzione di cui all’art. 672 del Codice Penale, rubricato  “Omessa custodia e mal governo di animali”, oggi depenalizzata e soggetta a sanzione amministrativa, ai sensi dell’art. 33 della Legge 24 novembre 1981 n. 689. Il quale così recita: “Chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti, o ne affida la custodia a persona inesperta, è punito con la sanzione amministrativa da euro 25 a euro 258. Alla stessa sanzione soggiace: 1. chi, in luoghi aperti, abbandona a se stessi animali da tiro, da soma o da corsa, o li lascia comunque senza custodia, anche se non siano disciolti, o li attacca o conduce in modo da esporre a pericolo l’incolumità pubblica, ovvero li affida a persona inesperta; 2. chi aizza o spaventa animali, in modo da mettere in pericolo l’incolumità delle persone“.

Dal punto di vista della responsabilità penale, la Giurisprudenza maggioritaria della Corte di Cassazione afferma che l’obbligo di custodia dell’animale sorge ogni qualvolta sussista una relazione di semplice detenzione, anche solo materiale e di fatto tra l’animale e una data persona, non essendo necessario un rapporto di proprietà in senso civilistico (in tal senso Cassazione Civile 17.10.2017 n. 51448 conforme Cassazione Civile 02.07.2010 n. 34813).

Recentemente, la Corte di Cassazione penale si è espressa con riferimento al caso di un portalettere che, indossando il casco e la divisa, era giunto con la moto davanti al cancello aperto dell’abitazione e, sebbene invitato a non entrare e a fermarsi, aveva percorso il viale che conduceva alla villa con il braccio proteso in avanti per porgere una busta, ed era stato aggredito dal cane, sfuggito alla presa della padrona.

Nel caso citato, la Corte di Cassazione, annullando con rinvio la sentenza assolutoria di primo grado, rilevava che la pericolosità degli animali non può essere ritenuta solo in relazione agli animali feroci, ma può sussistere anche per gli animali domestici che, in date circostanze, possono divenire pericolosi, ivi compreso il cane, animale normalmente mansueto, la cui pericolosità deve essere accertata in concreto, considerando la razza di appartenenza ed ogni altro elemento rilevante.

Corollario di ciò è che al proprietario del cane fa capo una posizione di garanzia per la quale egli è tenuto a controllare e custodire l’animale, adottando ogni cautela per evitare e prevenire possibili aggressioni a terzi, pur se all’interno dell’abitazione.

Stante tale premessa, la Corte di Cassazione, sezione IV penale, con sentenza 17133 del 13.01.2017, nell’affermare la penale responsabilità del proprietario anche laddove la pericolosità dell’animale sia appositamente segnalata,  così si esprime: “Non è sufficiente l’apposizione di un cartello di pericolo per esentare il proprietario di un animale domestico dalla responsabilità delle lesioni provocate a soggetti terzi“.

Avv. Cinzia Milani

Foro di Padova

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