A chi vanno chiesti i danni dell’auto difettosa?
Se si è acquistata una vettura e successivamente è emerso un difetto, a chi ci si deve rivolgere per ottenerne la riparazione o il risarcimento del danno? Bisogna rapportarsi con il produttore, a meno che il fornitore, chi cioè ha venduto o importato il mezzo, non collabori nell’individuazione di chi lo ha prodotto, nel qual caso anche questo può essere chiamato in causa.
E’ estremamente utile per chiarire i rapporti di responsabilità spesso complessi nel campo della compravendita delle automobili tra le varie figure coinvolte – produttore, filiale italiana in caso di marca straniera, concessionario, eccetera – l’ordinanza n. 26135/23 depositata dalla Cassazione il 7 settembre 2023 su un contenzioso tipico.
Automobilista chiama in causa il fornitore per un grave difetto dell’auto appena acquistata
Nel 2013 un automobilista aveva citato presso il Tribunale di Napoli Nord la Volkswagen Group Italia (Vgi) S.p.A. chiedendo un accertamento tecnico preventivo circa le cause e le conseguenze per lui dannose del cattivo funzionamento manifestatosi a partire dagli inizi del 2011 e della successiva rottura del cambio automatico montato su un’auto Audi che aveva acquistato presso la stessa il 13 gennaio 2009. La Vgi si era costituita in tale procedimento eccependo, tra l’altro, la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto esclusivamente soggetto importatore e distributore di veicoli a marchio Audi, senza tuttavia indicare chi fosse il produttore legittimato passivo.
La consulenza tecnica comprova il vizio costruttivo
Il procedimento era stato istruito mediante consulenza tecnica d’ufficio, dalla quale era risultato che i danni lamentati dal proprietario del mezzo erano da correlarsi a difetti costruttivi e che gli interventi per eliminarli avrebbero avuto un costo complessivo di oltre diecimila euro. L’automobilista a questo punto, ritenendo di essere creditore di tale somma nei confronti della Vgi in forza delle risultanze della perizia, aveva presentato ricorso monitorio. Il Tribunale di Napoli Nord, con decreto del 2015, aveva ingiunto il pagamento di detta somma all’azienda, che però si era opposta al decreto ingiuntivo, ribadendo tra l’altro di non essere in alcun modo responsabile degli eventuali difetti della autovettura, non essendone né la venditrice né la produttrice, ma solo l’importatrice e distributrice.
I giudici rigettano l’istanza risarcitoria: l’azienda citata era solo l’importatrice del veicolo
Il giudice di primo grado, in accoglimento dell’opposizione di Vgi, aveva revocato il decreto ingiuntivo condannando l’automobilista a rifondere all’opponente le spese processuali. Secondo il tribunale, l’azienda non era responsabile dei danni lamentati dal proprietario della vettura, né a titolo contrattuale, essendo comprovato che non era la diretta venditrice dell’auto, né a titolo extracontrattuale, mancando la prova che ne fosse la produttrice e non essendo stati allegati ulteriori e diversi profili di una sua responsabilità a tale titolo.
L’automobilista aveva appellato la decisione, asserendo che il giudice di prime cure avrebbe errato nel non considerare notorio, e comunque nel ritenere non provato, che la Vgi fosse la produttrice dell’autovettura, nel non ritenere di poter individuare ulteriori profili di responsabilità in capo all’azienda, nel ritenere i danni in questione non compresi nel novero di quelli risarcibili in forza dell’articolo123 del Codice del consumo e/o della direttiva comunitaria attuata mediante tale codice e nel non compensare tra le parti le spese del processo di primo grado. Ma la Corte territoriale, con sentenza del 2020, aveva rigettato l‘appello, confermando integralmente la sentenza del giudice di primo grado.
Il proprietario della macchina ricorre per Cassazione, che rigetta le doglianze e fa chiarezza
Il proprietario della macchina tuttavia non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione. Questa, però, gli ha dato torto, chiarendo come e nei confronti di chi si deve agire in tali casi.
La Suprema Corte ha ricostruito preliminarmente il quadro normativo nel quale si collocano le censure del ricorrente. Per mezzo del d.P.R. n. 224 del 1988 è stata data attuazione, nell’ordinamento italiano, alla Direttiva Cee 85/374, che disciplina la materia della responsabilità del produttore. Alcuni anni dopo, la disciplina è stata assorbita nel d. lgs. n. 206 del 2005, il cosiddetto “Codice del consumo”, Testo Unico che raccoglie gli atti legislativi e regolamentari, quasi tutti attuativi di Direttive comunitarie, aventi per oggetto la tutela dei consumatori.
Fornitore responsabile se non comunica entro tre mesi il produttore o questi non si individua
In particolare, l’art. 116, che disciplina la “Responsabilità del fornitore”, così dispone:
“1. Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se ha omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto.
2. La richiesta deve essere fatta per iscritto e deve indicare il prodotto che ha cagionato il danno, il luogo e, con ragionevole approssimazione, la data dell’acquisto; deve inoltre contenere l’offerta in visione del prodotto, se ancora esistente.
3. Se la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non è stata preceduta dalla richiesta prevista dal comma 2, il convenuto può effettuare la comunicazione entro i tre mesi successivi.
4. In ogni caso, su istanza del fornitore presentata alla prima udienza del giudizio di primo grado, il giudice, se le circostanze lo giustificano, può fissare un ulteriore termine non superiore a tre mesi per la comunicazione prevista dal comma 1.
5. Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’articolo 106 del codice di procedura civile e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione. Nell’ipotesi prevista dal comma 3, il convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionategli dalla chiamata in giudizio.
6. Le disposizioni del presente articolo si applicano al prodotto importato nella Unione europea, quando non sia individuato l’importatore, anche se sia noto il produttore .
Dunque, evidenziano gli Ermellini, quest’articolo prevede, nel primo comma, la sottoposizione del fornitore (cioè colui il quale distribuisce il prodotto nell’esercizio di una attività commerciale) a responsabilità quando il produttore non sia individuato, oppure quando il fornitore, trascorso un periodo di tre mesi dalla richiesta del danneggiato, non abbia comunicato all’interessato l’identità ed il domicilio del produttore.
“La responsabilità a cui è sottoposto il fornitore – spiegano dunque i giudici del Palazzaccio – sorge quando abbia omesso di ottemperare ad un preciso dovere, cioè comunicare al danneggiato, entro un ristretto lasso di tempo (tre mesi) dalla richiesta, l’identità ed il domicilio di chi abbia prodotto il bene difettoso. Dunque, l’art. 116 cod. consumo è norma che, al ricorrere di certi presupposti, equipara, ai fini della responsabilità, la posizione del fornitore a quella del produttore, allo scopo di consentire al danneggiato di individuare più facilmente il soggetto contro il quale proporre l’azione risarcitoria”.
La responsabilità del fornitore è indiretta
La responsabilità del fornitore, prosegue la Cassazione, è la stessa alla quale è sottoposto il produttore, “ma non è con essa solidale. Essa, infatti, si configura come responsabilità indiretta, in quanto, al ricorrere di determinati presupposti, è chiamato a rispondere un soggetto diverso dal produttore, cioè da colui che è il responsabile del danno. Invero, la responsabilità del fornitore viene affermata non sulla base di un’ipotetica partecipazione del fornitore al processo produttivo ed a quello causale che ha determinato l’evento dannoso, bensì allo scopo di indurre il fornitore a rivelare l’identità del produttore, in modo che questi risponda dei danni subiti dall’utilizzatore del bene. Il danneggiato, al fine di ottenere il risarcimento, viene così liberato dall’onere di compiere indagini (che potrebbero essere anche complesse) sull’identità del produttore.
Dunque, essendo il fornitore il soggetto che ha posto il danneggiato nella disponibilità del prodotto, quest’ultimo potrà rivolgersi direttamente al fornitore, che potrà sottrarsi ad ogni responsabilità permettendo l’individuazione del fabbricante o dell’importatore. E trattandosi di responsabilità indiretta, “il fornitore sarà chiamato a rispondere del danno nella misura in cui sarebbe stato chiamato a rispondere il produttore rimasto ignoto”.
Al contrario, però, il fornitore “non può essere chiamato a rispondere del danno in caso di insolvenza da parte del produttore (conosciuto)”. Infatti, ribadisce la Suprema Corte, “la ratio della previsione della responsabilità del fornitore non è quella di rafforzare le probabilità di risarcimento del danneggiato, ma è solo quella di fare pressione nei confronti del fornitore per risalire rapidamente al fabbricante del bene”.
Come va presentata la richiesta al fornitore da parte del danneggiato e la prescrizione
Per quanto riguarda la richiesta, va presentata per iscritto e deve contenere l’indicazione del prodotto che ha cagionato il danno, il luogo ed il tempo dell’acquisto. “Potendo il danneggiato proporre l’azione risarcitoria direttamente contro il fornitore – chiariscono ulteriormente gli Ermellini -, la richiesta circa l’identità del produttore non può essere considerata un presupposto processuale. Problemi particolari possono insorgere nei casi in cui il fornitore sia solo l’ultimo anello di una catena distributiva. Per far fronte a simili situazioni, il decreto attuativo prevede che, entro i tre mesi stabiliti, il (sub)fornitore debba indicare il soggetto che a sua volta gli abbia fornito il prodotto, il quale godrà dello stesso periodo di tempo per indicare il proprio fornitore e così via fino a giungere al produttore”.
D’altronde, fa poi notare la Cassazione, a fronte della previsione del decorso di tre mesi per conoscere ogni elemento della catena distributiva, “è previsto che il termine di prescrizione, quantificato in tre anni dall’art. 125 del Dlgs 206/2005, inizi a decorrere dal momento in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile (cioè del produttore, fabbricante del prodotto)”.
Dunque, in caso di azione di risarcimento diretta nei confronti del fornitore, con l’ammissione della richiesta di identificazione del produttore, quando il fornitore abbia provveduto all’indicazione richiesta nel corso del giudizio, “l’attore, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., potrà provvedere a chiamare in giudizio il soggetto indicato come produttore. Il fornitore-convenuto potrà considerarsi estromesso dal processo se il terzo indicato compaia e non contesti l’indicazione. In caso di contestazione, nel corso del giudizio si assisterà al contemporaneo svolgersi di una fase diretta all’accertamento dell’identità del terzo identificato come produttore, con la conseguenza che il fornitore resterà nella condizione di convenuto, in caso di accoglimento della contestazione”.
Pertanto, “non è necessaria l’effettiva chiamata in causa del produttore, sia perché si tratta di una facoltà e non di un obbligo (secondo l’art. 116 comma 5, il terzo produttore “può” essere chiamato in giudizio),sia perché l’esercizio di tale facoltà comporta quale conseguenza solo l’eventuale estromissione del fornitore: nessuna disposizione della disciplina vigente prevede che, se non vi sia la chiamata in causa, sussista la responsabilità del fornitore”.
In definitiva, a fronte al danno subito per difetto del prodotto, tira le fila del discorso la Cassazione, “il danneggiato, nei confronti del fornitore, ha facoltà di: a) richiedere l’identità del produttore; b) agire con l’azione contrattuale; c) agire con l’azione aquiliana”.
La domanda nei confronti del fornitore era (ed è) ammissibile
Venendo quindi al caso di specie, la Suprema Corte evidenzia come la Corte d’appello di Napoli, confermando la sentenza di primo grado, avesse rigettato la domanda proposta dal ricorrente, argomentando che dalle emergenze processuali risultava che la società Vgi fosse la distributrice/importatrice in Italia della vettura in questione, ma non risultava che ne fosse stata la produttrice, che la qualifica di “produttrice” di detta società era l’unica dedotta dall’attore a fondamento della domanda risarcitoria proposta, con inammissibilità ex art. 345 c.p.c. di nuove causae petendi dedotte in secondo grado.
La Cassazione in effetti osserva che il rigetto della domanda, “pur conforme a diritto, avrebbe dovuto essere diversamente motivato. (Omissis) infatti aveva proposto nei confronti della fornitrice Vgi domanda di responsabilità qualificando la società come produttrice. La sua domanda, diversamente da quanto opinato dalla Corte territoriale, era ammissibile, in quanto ammissibile è la domanda rivolta contro il mero fornitore qualificato come produttore: infatti, non vi è un mutamento di domanda se il soggetto convenuto quale produttore risponda, ai sensi dell’art. 116 cod. consumo, in guisa di produttore, in quanto fornitore non collaborante nell’identificazione del produttore”.
Ma nello specifico questi aveva comunicato il produttore che è stato individuato
Tuttavia, prosegue la Cassazione, la domanda del proprietario dell’auto difettosa è comunque infondata “in quanto, come risulta dal contenuto del controricorso della società fornitrice Vgi, quest’ultima, depositando il certificato cronologico, ha collaborato all’identificazione del produttore, che è rimasto individuato. Per questa ragione, la società fornitrice, non produttore, non avrebbe potuto essere ritenuta responsabile del danno denunciato al posto del produttore ai sensi dell’art. 116 cod. consumo”.
I giudici del Palazzaccio aggiungono infine che, ai sensi dell’art. 3 lettera d) del Codice del Consumo, “ove non diversamente previsto, si intende per produttore: il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonché l’importatore del bene o del servizio nel territorio dell’Unione Europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo”.
Nel caso di specie era stato accertato che Vgi distribuiva un prodotto fabbricato da Audi, marca che faceva parte del più ampio gruppo Volkswagen. E “la diversità di marchio e di nome rende irrilevante la questione della responsabilità del soggetto che, pur non essendo produttore, si presenti come tale apponendo sul prodotto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo” conclude la Cassazione.