Danno da trasfusione di sangue infetto, prescrizione e risarcimento
Il termine per richiedere il risarcimento per il danno da emotrasfusione decorre dal momento in cui la vittima sia consapevole del nesso causale tra la malattia e l’intervento subito. A riaffermare il principio la Cassazione, con l’ordinanza n. 16468/23 depositata il 9 giugno 2023, nella quale la Suprema Corte ricorda come il termine quinquennale di prescrizione decorra non dal giorno dell’evento dannoso o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui la stessa viene (o può essere) percepita dalla vittima come danno ingiusto, conseguente al comportamento del terzo.
Momento che si può far ragionevolmente coincidere con quello in cui il danneggiato propone la domanda di indennizzo prevista dalla Legge n. 210 del 1992. Se invece questa non è stata proposta, il giudice dovrà accertare l’esordio della prescrizione valutando la corretta distribuzione degli oneri probatori: spetta infatti alla parte che eccepisce la prescrizione l’onere di provare la prolungata inerzia del danneggiato nell’esercizio del diritto al risarcimento, pur essendo consapevole dell’eziopatogenesi. Il termine prescrizionale può quindi non iniziare mai a decorrere, o può non essersi consumato alla morte della vittima: in tal caso il diritto al risarcimento del danno si trasferisce agli eredi che possono farlo valere iure hereditatis.
La Corte ricorda infine come la liquidazione del danno non patrimoniale avviene di regola sulla base di criteri tabellari, dunque obiettivi, in quanto i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto, consentendo la verifica “ex post” del ragionamento seguito dal giudice. Il ricorso ad una liquidazione equitativa pura è invece ammesso solo in presenza di circostanze peculiari, delle quali il giudice deve fornire congrua e logica motivazione.
I familiari di un uomo deceduto per epatite C contratta per emotrasfusione citano il Ministero
La vicenda. In occasione di un intervento chirurgico, un uomo veniva sottoposto ad emotrasfusione, in seguito alla quale contraeva l’epatite C e, successivamente, periva. Alcuni anni dopo, la moglie e i figli, in proprio e quali eredi del defunto, avevano citato in giudizio il Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni loro derivanti dall’emotrasfusione subita dal proprio congiunto, sia iure hereditatis che iure proprio.
Il Tribunale rigetta la domanda ritenendo prescritto il diritto al risarcimento iure hereditatis
Il Tribunale però aveva dichiarato prescritto il diritto al risarcimento del danno iure hereditatis e, pur respingendo l’eccezione di prescrizione rispetto alla domanda proposta iure proprio, l’aveva rigettata nel merito, difettando a suo parere la prova di convivenza della moglie e dei figli con il defunto. In sede di gravame, la Corte d’Appello di Lecce aveva parzialmente riformato la pronuncia di primo grado, riconoscendo agli eredi il diritto al risarcimento del danno iure proprio e facendo decorrere la prescrizione dal giorno della morte del loro congiunto, ma anche i giudici di seconde cure avevano ritenuto prescritto il diritto al risarcimento del danno sofferto dalla vittima e trasmesso agli eredi iure successionis.
I congiunti ricorrono per Cassazione contestando il ritenuto momento della “consapevolezza”
I congiunti dell’uomo hanno allora proposto ricorso anche per Cassazione censurando innanzitutto la valutazione della Corte d’Appello, che aveva ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione del danno subito dall’uomo in proprio. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute era stata infatti erroneamente fatta decorrere da una certificazione che attestava neoformazioni epatiche a carico del defunto: i giudici avevano quindi legato a quel momento la consapevolezza, da parte della vittima, sia della patologia contratta, sia della riconducibilità causale della malattia alle emotrasfusioni subite in precedenza.
Sotto accusa anche la mancata applicazione delle tabelle di Milano
Ma i familiari del danneggiato hanno anche criticato i criteri di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale in favore degli eredi, non essendo state applicate le tabelle di Milano, come da questi richiesto, senza tuttavia indicare il criterio di indennizzo alternativo concretamente impiegato. Ciò aveva portato ad una liquidazione del danno nettamente inferiore rispetto a quanto ipotizzato in base alle tabelle milanesi, ma anche ad una incongrua differenziazione della misura del risarcimento tra i figli, considerando il dato della convivenza o meno col defunto padre, di fatto non determinante per graduare la sofferenza personale e la gravità della perdita subita.
La Suprema Corte accoglie le doglianze, in primis sul termine quinquennale di prescrizione
La Suprema Corte ha dato pienamente ragione ai ricorrenti, ritenendo fondati entrambi i motivi di ricorso. Sull’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno iure proprio, i giudici osservano che l’affermazione della Corte d’Appello, secondo cui la vittima avrebbe potuto e dovuto maturare la consapevolezza circa la derivazione causale della patologia da una trasfusione subita molti anni prima è errata in diritto, oltre che priva di un’adeguata motivazione.
La prescrizione decorre da quando si percepisce la malattia come frutto di trasfusione di sangue infetto
La decisione impugnata, osservano infatti gli Ermellini, contrasta con il principio di diritto costantemente affermato dalla Corte in relazione al danno da emotrasfusioni: il termine quinquennale di prescrizione per l’esercizio del diritto al risarcimento dei danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV, contratte da soggetti emotrasfusi, decorre infatti, a norma degli artt. 2935 e 2947 comma 1 del codice civile, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene (o può essere) percepita come danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, mediante l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.
La consapevolezza dell’eziopatogenesi non si può quindi dedurre dalla sola documentazione medica che attesta la malattia, ma occorre anche accertare che siano state fornite al paziente adeguate informazioni in merito alla riconducibilità causale della stessa. E nella maggior parte dei casi, precisano altresì i giudici del Palazzaccio, in caso di emotrasfusioni, il momento ultimo di maturazione di tale consapevolezza può ragionevolmente essere ancorato alla proposizione, da parte dell’interessato, della domanda per la corresponsione dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, e non invece alla data, successiva, della comunicazione del responso da parte della Commissione medica.
L’onere probatorio spetta a chi eccepisce la prescrizione
Se invece, come nel caso di specie, il danneggiato non ha mai presentato domanda di indennizzo, il giudice dovrà accertare l’esordio della prescrizione valutando la corretta distribuzione degli oneri probatori: spetta infatti alla parte che eccepisce l’onere di allegare e provare il fatto temporale costitutivo dell’eccezione di prescrizione, cioè la prolungata inerzia nell’esercizio del diritto al risarcimento del danno, in quanto riconducibile al termine iniziale di oggettiva conoscibilità della eziopatogenesi.
In mancanza di ogni espressa informazione medica che espliciti la anche solo possibile riconducibilità causale di una patologia ad un fatto della storia clinica passata del paziente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno può non iniziare a decorrere fino alla sua morte. E se, per tali ragioni, il termine di prescrizione non ha mai iniziato a decorrere, o non si è consumato alla morte della vittima, il diritto al risarcimento del danno, per l’illecito lungolatente patito da quest’ultima, si trasferisce agli eredi che possono farlo valere iure hereditatis.
Ha dunque errato la Corte d’Appello, sottolineano gli Ermellini, ritenendo che la vittima avesse potuto maturare la richiesta consapevolezza circa la correlazione causale tra la patologia e le trasfusioni subite molti anni addietro, peraltro a partire da una semplice certificazione medica, in cui nulla si riferiva circa la causa della sua attuale situazione.
I criteri di liquidazione del danno non patrimoniale
Anche in tema di risarcimento del danno iure proprio, da perdita del rapporto parentale, riconosciuto ai congiunti, la Corte censura la mancata applicazione delle tabelle di Milano, come richieste, senza che sia stato peraltro indicato alcun criterio tabellare di riferimento.
La valutazione della Corte d’Appello, evidenzia la Cassazione, si pone infatti in contrasto con il principio di diritto, più volte affermato, secondo cui nella liquidazione del danno non patrimoniale, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, non è di regola consentito il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, in quanto questi ultimi sono i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto, consentendo la verifica “ex post” del ragionamento seguito dal giudice in ordine all’apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo.
La cosiddetta liquidazione equitativa “pura”, che si discosti, cioè, dai valori astrattamente predisposti dalle tabelle in uso, è ammissibile solo se ricorrono circostanze peculiari, delle quali i giudici devono comunque fornire congrua e logica motivazione.
In conclusione, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, affinché provveda ad una nuova liquidazione del danno non patrimoniale subito dai congiunti del defunto, in applicazione di un criterio tabellare.