Coppia di fatto: spetta il risarcimento del danno parentale?
I legami affettivi more uxorio, in sostanza ciò che lega due persone in una comunione di vita, sia pure non sancita dal matrimonio o dall’unione civile, non possono essere minimizzati in fase di risarcimento. Sembra un concetto ovvio, eppure per rendere giustizia alla compagna di un uomo deceduto in un incidente stradale è dovuta intervenire per ben due volte la Cassazione “cassando” altrettante sentenze dei giudici di merito che invece non avevano accolto la sua legittima richiesta risarcitoria.
Con l’ordinanza 8801/23 pubblicata il 28 marzo 2023 la Suprema Corte ribadisce con forza come il forte rapporto tra due conviventi, seppur non uniti dalle nozze, sia a tutti gli effetti un parametro di assoluto rilievo nello stabilire un indennizzo per la perdita di una persona che, di fatto, rappresenta la famiglia e tutti i valori che ne conseguono, a maggior ragione se tra i due vige anche prova di un reciproco sostentamento economico. In altri termini, convivenza, impegno nella scelta, ma anche reciproca sussistenza e condivisione finanziaria devono essere necessariamente parte integrante del risarcimento per il lutto di una persona che, seppur non ufficialmente connessa da legami parentali o dal vincolo matrimoniale, è a tutti gli effetti un “caro”.
La causa civile di una donna per ottenere il risarcimento per la perdita del compagno con cui conviveva
Il caso specifico tratta, come detto, di una coppia brutalmente “spezzata” da un sinistro stradale mortale che ha strappato alla superstite il compagno, con il quale condivideva da oltre cinque anni una relazione sentimentale. Relazione che, come prodotto durante la causa, era caratterizzata soprattutto da intenti ed obiettivi comuni, come dimostravano sia la residenza che il conto corrente condivisi, a manifestazione proprio dell’impegno e della responsabilità nella decisione presa da entrambi, seppur non ancora ufficialmente vincolati con un’unione civile che – va ribadito – rimane una scelta personale, e non può in alcun modo essere l’unica discriminante a determinare l’effettiva bonarietà e il valore di una relazione fra due persone.
Inizialmente il Tribunale di Torino, come peraltro avrebbe poi fatto anche la Corte d’Appello cittadina, dopo un primo risarcimento ante causam, aveva tuttavia rigettato l’ulteriore domanda della superstite, che chiedeva giustizia circa le perdite non solo affettive, ma anche delle somme economiche che il compagno le avrebbe garantito dalla data del sinistro in poi. Secondo i giudici, dalle prove addotte non si sarebbe potuto dedurre l’esistenza tra i due conviventi di una “reciproca assistenza economica in quanto generica“, nonostante la ricorrente avesse addotto tra l’altro anche la co-intestazione del conto corrente, elemento pur probante nell’analisi della responsabilità assunta dalla coppia.
La donna tuttavia, non si è arresa, e ha riproposto un secondo ricorso in Cassazione dopo che la Suprema Corte aveva già cassato una prima sentenza avversa della Corte territoriale con rinvio. E gli Ermellini le hanno nuovamente dato piena ragione, evidenziando gli errori dei giudici di merito, ad esempio quello di aver acquisito “una pluralità di elementi che costituivano indici rilevanti“, in ordine alla configurabilità di una determinata situazione produttiva di “ricadute giuridicamente rilevanti“, salvo però poi prenderli in considerazione “atomisticamente“, e non nella loro unitarietà e interazione l’uno con l’altro. Ma, soprattutto, hanno rimarcato come la sentenza impugnata non avesse tenuto in debito conto quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento “al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale, che va riconosciuto, con riguardo sia al danno morale sia a quello patrimoniale, allorquando emerga la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato, anche al convivente more uxorio del defunto“.
Gli elementi che dimostravano una comunanza di vita forte e stabile erano molteplici e solidi
Elementi portanti come “la durata della convivenza more uxorio ormai da oltre cinque anni e caratterizzata, oltretutto da un’eloquente contribuzione economica del de cuius alle spese del quotidiano relative alla gestione/manutenzione dell’alloggio comune e alle esigenze alimentari della coppia convivente, nonché da una determinazione personale seria in capo all’uomo, lo spostamento della residenza e del domicilio fiscale, la delega ad operare sul conto corrente del de cuius“, come detto cointestato, oltre alle vicissitudini strettamente finanziarie con cui la coppia si imbatteva e che affrontava assieme nel quotidiano (lei in cassa integrazione, lui camionista), non potevano non ritenersi indicative e rivelatrici di una convivenza stabile autentica e hanno portato i giudici del Palazzaccio a ribaltare la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Torino in diversa composizione per un nuovo riesame del caso.