Pericolo post operatorio di soffocamento da cibo in ospedale
Per una persona che dev’essere operata il momento più a rischio è ovviamente quello dell’intervento chirurgico, tanto più se delicato e complesso, ma purtroppo sono innumerevoli i casi in cui, nonostante in sala operatoria sia tutto perfettamente riuscito, in un secondo tempo subentrano complicanze e problematiche foriere di gravi se non fatali conseguenze. Per questo l’assistenza post operatoria del paziente, sia nelle prime ore dopo l’intervento, sia fino al momento delle dimissioni, riveste un ruolo fondamentale. Un’assistenza che va intesa a 360 gradi e che cioè non deve limitarsi agli aspetti più strettamente sanitari ma va estesa a tutte le attività giornaliere del soggetto appena operato, e come tale debilitato e non in grado di adempiere da solo alle normali occupazioni quotidiane come mangiare o andare al bagno.
Un insieme di fattori che tuttavia non sempre vengono tenuti debitamente in considerazione delle strutture sanitarie, dove non di rado è proprio nelle fasi post operatorie che vengono commessi errori od omissioni che possono sfociare in tragedie, basti pensare ai casi di pazienti che, dopo aver superato l’intervento, muoiono per banali cadute o, peggio ancora, per soffocamento da cibo. Ed è proprio su quest’ultima circostanza che ci si vuole soffermare.
Il fenomeno del soffocamento da cibo: ogni anno in Italia mille ospedalizzati e 50 vittime
In generale, si tratta di un fenomeno tutt’altro che marginale. Ogni anno in Italia sono un migliaio gli ospedalizzati per eventi di soffocamento; tuttavia le stime più recenti, calcolate includendo gli episodi di minore gravità o comunque risolti senza l’intervento dei sanitari, mostrano come l’incidenza reale del problema sia 50-80 volte superiore rispetto a quella dei ricoveri. Ciò significa che nel nostro Paese ogni anno rischiano di morire per soffocamento tra le 50mila e le 80mila persone, e nel 60-80 per cento dei casi il soffocamento è imputabile al cibo.
E purtroppo ci sono anche i morti; mediamente 50 persone ogni anno perdono la vita per l’ostruzione delle vie aeree, in grande maggioranza bambini, ma non solo. Anche gli adulti muoiono, e i decessi si registrano anche, anzi, per lo più, in strutture quali case di riposo, nosocomi psichiatrici e normali ospedali, laddove i degenti, date le loro precarie condizioni psico-fisiche, avrebbero dovuto essere sorvegliati e protetti, con conseguente responsabilità da parte della struttura stessa: basti pensare all’anziano, ma è solo uno dei vari casi, rimasto soffocato mentre stava pranzando all’ospedale di Chieti nel 2018, con l’apertura di un’inchiesta per omicidio colposo in ambito sanitario da parte della Procura e l’iscrizione nel registro degli indagati di cinque medici.
Il processo deglutitorio
La comprensione della problematica non può prescindere da alcuni cenni di fisiologia della deglutizione. Il processo deglutitorio è un complesso concerto di meccanismi fisiologici, sensori e motori, volontari ed involontari. Il tratto aereo superiore ha due funzioni primarie: la respirazione e la deglutizione. Per eseguire un atto deglutitorio sicuro ed efficace le vie aeree superiori devono cambiare configurazione: da un sistema in grado di veicolare l’aria al fine della respirazione e della fonazione, ad uno dove il flusso d’aria cessa e s’instaura un meccanismo di protezione delle vie aeree durante il passaggio di cibi, liquidi, secrezioni e farmaci.
Questo complesso sistema richiede l’attivazione sequenziale di circa quaranta muscoli, innervati da sei paia di nervi cranici (V VII IX X XI XII), e il funzionamento di centri sopratentoriali affinché sia possibile la repentina interruzione della respirazione fino a che il bolo non raggiunge l’esofago. Ovviamente, se ciò non funziona, vi è un concreto rischio di inalazione del bolo alimentare.
Le fasi della deglutizione
Si distinguono diverse fasi della deglutizione, di cui alcune avvengono al di fuori della cavità orale (fase extra-orale) tramite la predisposizione e preparazione del cibo, altre all’interno della bocca (fase intra-orale). La Fase extra-orale o anticipatoria è preminentemente volontaria: l’atto deglutitorio è spesso correlato al vissuto precedente della persona ed entrano in gioco stimoli visivi, olfattivi, abitudini consolidate, rituali, tono dell’umore, gusto e ripulsa per dati alimenti.
La fase orale preparatoria
La fase intra-orale può essere suddivisa in quattro sotto-fasi: orale preparatoria; orale propulsiva; faringea; esofagea. La prima, detta anche “fase di anticipazione”, ha inizio quando viene introdotto il cibo nella cavità orale. Comprende una successione di atti volontari, quali la contenzione del cibo nella cavità orale, la masticazione, la miscelazione e l’insalivazione del bolo grazie ai muscoli di labbra, guance, lingua e mandibola, messi in azione, sui differenti piani, in modo ritmico, evitando di costituire recessi in cui potrebbero depositarsi frammenti di bolo. Durante la masticazione l’attività dei muscoli temporali e masseteri è sincrona. La mandibola agisce in sinergia con i muscoli sottoioidei nell’apertura della bocca. La lingua è collegata posteriormente all’osso ioide, all’epiglottide, al velo del palato e alla faringe. La massa linguale è condizionata dalla stabilità relativa della mandibola e/o dell’osso ioide.
La chiusura labiale viene mantenuta per evitare la fuoriuscita di alimenti. In questa fase le vie respiratorie sono ancora aperte e la respirazione nasale continua. Questo tempo di preparazione permette di apportare ai cibi le proprietà fisico-chimiche appropriate per una buona deglutizione. Il flusso salivare aumenta in modo rilevante e prepara la digestione, da una parte tramite la secrezione di amilasi, dall’altra con la stimolazione della peristalsi intestinale e la secrezione delle ghiandole digestive. La stimolazione delle papille gustative e di alcuni recettori olfattivi varia a seconda della consistenza e solidità del cibo, così come i gusti alimentari possono subire l’influenza dell’ambiente, dello stimolo della fame e di fattori socioculturali. Questa fase richiede e mette in gioco la coordinazione neuromuscolare di diverse strutture quali la fascia labiale, la chiusura labiale, la muscolatura del volto, i movimenti della mandibola, i movimenti della lingua, i muscoli del palato molle e la chiusura orofaringea.
La fase propulsiva
La fase orale propulsiva, che dura circa un secondo, con spinta del bolo verso l’istmo delle fauci ed elicitazione del riflesso deglutitorio (volontario) corrisponde al trasporto del bolo, raccolto sul dorso della lingua, verso la base della lingua e la faringe. La cavità orale è chiusa, la mandibola viene chiusa al fine di garantire un punto fisso alla muscolatura sottoioidea, i denti sono in occlusione, l’apice della lingua fa leva contro la cresta alveolare degli incisivi superiori, la lingua forma una depressione e spinge il bolo alimentare verso l’alto e posteriormente, accostandosi progressivamente al palato dall’avanti all’ indietro. Durante tutta questa fase il bolo alimentare è mantenuto nella cavità orale, anteriormente dalla chiusura labiale, posteriormente per la chiusura dell’orofaringe, da parte del velo del palato che aderisce sul dorso della lingua e previene la penetrazione di cibo in faringe, mentre la laringe è ancora aperta. La pressione intra-orale aumenta, grazie al tono dei muscoli e alla fascia labiale. La fase orale si interrompe nel momento in cui il bolo supera i pilastri del velo.
La fase faringea
La fase Faringea, che dura anch’essa circa un secondo, corrisponde al trasferimento del bolo dalla cavità orale all’esofago, alla chiusura delle vie respiratorie (rinofaringe e laringe) e all’opposizione al transito inverso dalle vie digerenti (involontaria). La cavità orale e la faringe sono anatomicamente separate, ma costituiscono una sola entità fisiologica. La faringe può essere schematicamente divisa in tre parti con il rinofaringe in alto chiuso dall’innalzamento del velo palatino durante il passaggio del bolo in direzione della faringe, l’orofaringe posteriormente alla cavità orale e l’ipofaringe, che è situata dietro e sotto il livello dell’epiglottide. Questa ha la forma di un imbuto, costituito lateralmente e dietro dai muscoli costrittori medio e inferiore della faringe, in avanti dalla parte posteriore della laringe e dalla regione retrocricoidea. L’ipofaringe circonda lateralmente e indietro la laringe e costituisce i seni piriformi che sovrastano l’esofago e terminano in basso con il muscolo cricofaringeo. Quest’ultimo serve da valvola a doppio senso per l’estremità superiore dell’esofago, permettendo al bolo di entrarvi e il passaggio in senso contrario del cibo in caso di vomito o fuoriuscita di aria.
Il tempo faringeo è la fase più rilevante e più delicata della deglutizione, poiché controlla da una parte il trasporto del bolo in direzione dell’esofago e dall’altra la protezione delle vie respiratorie. Questa fase della deglutizione è involontaria e riflessa ed è scatenata dal contatto del bolo alimentare con i recettori sensitivi dei pilastri del velo, delle pareti laterali e posteriori dell’orofaringe, della parte posteriore della lingua e del margine laringeo. Tre fattori partecipano alla progressione del bolo alimentare dalla faringe verso l’esofago: l’azione propulsiva della base della lingua; la peristalsi faringea, assicurata dai muscoli costrittori della faringe, dove assume importanza la sua velocità e la sua sincronizzazione; la presenza di una pressione negativa nell’ipofaringe. In caso di penetrazione accidentale di particelle alimentari nella laringe prima o dopo lo scatenamento del tempo faringeo, il riflesso di chiusura laringea e il riflesso della tosse assicurano la protezione dell’albero bronchiale.
La fase esofagea
Infine, la fase esofagea, che dura circa 8-20 secondi, involontaria. Lo Sfintere Esofageo Superiore è situato alla giunzione tra la faringe e l’esofago ed è collocato in corrispondenza della VI e della VII vertebra cervicale. Lo sfintere è chiuso a riposo e le fibre muscolari sono toniche e contratte. Lo SSE si apre sotto l’azione di più forze: il volume e il peso del bolo, le forze di trazione dei muscoli sopraioidei verso l’alto e in avanti.
I soggetti non autosufficienti o sottoposti a sedazione sono a rischio
Queste complesse operazioni vengono svolte naturalmente da un soggetto in condizioni normali, ma non è così per persone non autosufficienti o, nel caso di specie, per pazienti appena usciti da una sala operatoria, con ancora i postumi dell’anestesia o sedati pesantemente per contrastare le algie. Una forte sedazione, infatti, indipendentemente dalla riduzione dello stato di vigilanza, può produrre un deficit acquisito della fase intraorale della deglutizione, con interessamento di tutte le sue fasi: la fase preparatoria per una compromissione dei movimenti e della sensibilità delle labbra, lingua, palato molle e movimenti mandibolari; la fase orale per ridotta efficienza linguale nella propulsione e nel transito orale prolungato; la fase faringea per ritardo del riflesso di deglutizione e grave depressione del riflesso della tosse; la fase esofagea per una ridotta peristalsi. Inoltre, un eccesso di sedazione può incidere anche sulla fase extra-orale preparatoria della deglutizione, la quale, come detto, è preminentemente volontaria. E quindi il rischio di soffocamento in tali circostanze aumenta.
Come valutare la funzione della deglutizione in un paziente
A questo va aggiunto un altro aspetto. Gli infermieri professionali sono culturalmente attrezzati (o quanto meo dovrebbero esserlo) per valutare, anche in autonomia, la funzione della deglutizione e, dopo aver effettuato la prova con l’acqua, possono eseguire test semplici e sicuri quali: la valutazione della deglutizione con la Bedside Swallow Assessment Scale; Three-oz Water Swallow Test (WST, Test di Smithard); Gugging Swallowing Screen (GUSS). La prima, ad esempio è una scala più approfondita che consente di identificare i pazienti con disturbi della deglutizione a rischio di aspirazione tramite un punteggio: se supera il 24 il paziente è ad alto rischio e deve essere presa in considerazione la possibilità di un’alimentazione artificiale: viceversa, un punteggio più basso permette l’avvio precoce di una alimentazione per Os sicura, senza ulteriori indagini. Fermo restando che, presupponendo questi test lo stato di vigilanza del paziente, nei casi dubbi gli infermieri devono sempre interpellare un medico.
I soggetti a rischio vanno seguiti da infermieri professionali non da volontari ospedalieri
Il fatto è che, a dimostrazione di quanto non infrequentemente l’aspetto del pranzo e della cena – pur rientrando in pieno nel contratto di spedalità e quindi delle eventuali responsabilità di cui deve rispondere la struttura – sia colpevolmente sottovalutato, esso viene spesso interamente delegato ai cosiddetti Volontari Ospedalieri, che non hanno la formazione e le competenze necessarie.
E non si può prescindere dalla valutazione medica
Il servizio offerto dai volontari, per quanto sia organizzato e qualificato, oltre che prezioso, è per sua natura integrativo e non sostitutivo dell’assistenza ospedaliera, che compete prioritariamente al personale medico e paramedico. Il supporto all’alimentazione del paziente allettato, in particolar modo quando si rende necessario l’imboccamento, spetta al personale paramedico, ovvero agli infermieri e agli operatori socio-sanitari (OSS), e peraltro non può prescindere da una valutazione medica sulle funzioni neurologiche e psichiche del paziente. Si tratta di problematiche di importanza fondamentale, perché oltre un terzo dei pazienti anziani ospedalizzati, anche se non allettati, presentano disfunzioni della deglutizione anche minori. Tali disfunzioni possono aggravarsi, in via transitoria o definitiva, per accidenti neurologici o per effetto collaterale di farmaci.
L’indicazione all’imboccamento di un paziente che non è in grado di alimentarsi autonomamente dove essere data da chi è in grado di interpretare il quadro clinico e la sua evoluzione, medico in primis, ma anche logopedisti e infermieri professionali. Non si può affidare questa decisione, che può essere vitale, e lo stesso imboccamento dei pazienti più critici a un volontario ospedaliero.
Avv. Francesca Polmonari
Con il contributo del dott. Gaetano Quaranta
Specialista in Medicina legale e Pneumologia