Caduta su tombino scoperto fuori dalla sede stradale: chi paga?
Il fatto che un tombino colpevolmente non segnalato e privo di protezione si trovi al di fuori della sede stradale e al di là del guardrail non fa venir meno il concorso di responsabilità da parte dell’Ente gestore della strada per la caduta di un automobilista sceso dalla vettura, nel momento stesso in cui l’insidia si trovava in una posizione comunque raggiungibile, come si è dimostrato.
E’ un’ordinanza rilevante sul tema della responsabilità per omessa custodia quella, la n. 34886/21 depositata il 17 novembre 2021 dalla Corte di Cassazione.
La causa contro Anas promossa da un automobilista caduto su un tombino non custodito
Un automobilista aveva citato in giudizio l’Anas davanti al Tribunale di Potenza, chiedendo il risarcimento dei danni patiti a causa della rovinosa caduta in un tombino non segnalato collocato all’esterno della sede stradale. Il malcapitato, la sera del lontano 5 luglio 2000, mentre percorreva la Statale 407 a bordo della sua auto, era stato costretto a effettuare una sosta presso una piazzola per espletare il classico “bisogno corporale”. Dopo aver oltrepassato il guardrail, era caduto in un tombino situato a brevissima distanza dalla sede stradale, scoperto e privo di qualsiasi protezione, che era stato realizzato da Anas per il convogliamento delle acque reflue. E aveva riportato una grave frattura con conseguenze invalidanti permanenti. La società si era prontamente costituita chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale, inquadrata la domanda nella fattispecie dell’art. 2043 cod. civ., l’aveva respinta e la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza del 2019, aveva rigettato anche il gravame, confermando la decisione di prime cure e condannando l’automobilista al pagamento delle spese del giudizio di appello.
Il danneggiato tuttavia non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., nel senso che la sentenza avrebbe fatto un’errata applicazione delle norme in materia di custodia, rigettando la domanda di risarcimento in difetto di ogni prova circa l’esistenza del caso fortuito.
Il ricorrente sosteneva che il tombino era assoggettato alla manutenzione dell’Anas e come tale l’ente avrebbe dovuto prevedere anche la possibilità che un utente della strada potesse scavalcare il guardrail, per cui tale comportamento non sarebbe anomalo e non potrebbe avere rilievo ai fini del diritto al risarcimento.
Secondo la Suprema Corte il motivo di doglianza è fondato. Gli Ermellini chiariscono innanzitutto che la Corte d’appello aveva scrutinato la domanda dell’automobilista sia sotto il profilo della violazione dell’obbligo di custodia (art. 2051 cod. civ.) che sotto quello della regola generale in tema di responsabilità da fatto illecito (art. 2043 cod. civ.), ritenendola infondata sotto tutti e due i punti di vista.
La Corte di merito, peraltro, non aveva negato che a carico di Anas sussistesse un obbligo di custodia in ordine al tombino in cui si era verifica la caduta del danneggiato, così come non aveva escluso il danno, ma aveva rigettato la domanda di risarcimento sul rilievo, considerato decisivo, per cui il comportamento tenuto dal danneggiato, colposo e del tutto imprevedibile, integrava gli estremi del caso fortuito, di modo che doveva considerarsi interrotto il nesso causale tra il fatto dannoso e il danno riportato, richiamando anche la giurisprudenza di legittimità a sostegno di tale conclusione.
Il dovere generale di ragionevole cautela da parte dell’utente
La Suprema Corte con l’occasione riassume i principi in materia, ricordando che “in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione”.
Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno “è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
Gli Ermellini aggiungono infine che la responsabilità del custode, di cui all’art. 2051 cod. civ., “è esclusa dalla condotta colposa della vittima che abbia usato della cosa fonte di danno in modo anomalo ed imprevedibile”
Secondo la Cassazione, tuttavia, la Corte d’Appello potentina, nella specie, “non ha fatto in tutto buon governo di questi principi. La sentenza impugnata, infatti, ha correttamente osservato che il fatto di scavalcare il guardrail nel buio della sera e in una zona non adibita al transito dei veicoli e dei pedoni costituiva un uso della sede stradale non conforme alla sua destinazione ordinaria”. Da un simile comportamento era certamente lecito “dedurre l’esistenza di un comportamento colposo della vittima”.
La responsabilità concorrente del gestore
Manca del tutto nella sentenza impugnata, però, va a concludere la Suprema Corte, “la verifica della possibile esistenza di una responsabilità concorrente dell’Anas, consistente nell’aver lasciato aperto e incustodito un tombino che era comunque assoggettato al suo obbligo di custodia”. I giudici del Palazzaccio spiegano che, una volta riconosciuto che quel tombino era soggetto a manutenzione e controllo da parte di Anas, “il fatto puro e semplice che esso si trovasse al di là del guardrail non consentiva alla società custode di lasciarlo aperto e privo di segnalazione, posto che quel luogo era comunque raggiungibile da parte di un utente della strada, tant’è che fu raggiunto dalla vittima, nel caso in esame”.
La sentenza è stata quindi cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione, che dovrà riesaminare il caso, alla luce di tali indicazioni, e verificare se sia o meno configurabile un concorso di responsabilità dell’Anas ai sensi dell’art.2051 cod. civ., “rilevante ai fini dell’eventuale risarcimento del danno in proporzione dell’entità del possibile concorso”.