L’obbligo per il danneggiato di allegare le tabelle di Milano
Con la rilevante sentenza n. 33005/21 depositata il 10 novembre 2021 la Corte di Cassazione è tornata sulle tabelle milanesi e sulla liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale. La Suprema Corte ha dichiarato ormai inattuale, essendo ampiamente note in tutti i tribunali, l’onere da parte del danneggiato dei produrre materialmente in giudizio copia delle tabelle.
E, soprattutto, ha stabilito due principi di diritto: primo, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato dirà solo fare istanza di applicazione di questo criterio, spetterà poi al giudice di merito liquidarlo mediante la tabella conforme a diritto; secondo, per garantire un’adeguata valutazione e l’uniformità di giudizio, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti.
Tabelle che però, ribadiscono gli Ermellini confermando il recente orientamento assunto dalla Suprema Corte, non dovranno essere quelle di Milano, che “non rispondono ai requisiti indicati in punto di perdita di rapporto parentale”, le quali restano conformi a diritto salvo che, appunto, per la liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale, “bensì altre tabelle che rispondano a tali requisiti”: ossia, quelle del Tribunale di Roma.
I familiari di un paziente deceduto per un errore medico citano in causa l’Asl e un dottore
I familiari di paziente avevano citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore l’Asl Salerno 1 e un medico chiedendo il risarcimento per la morte del loro congiunto dovuta a un errore sanitario. I giudici avevano accolto la domanda, liquidando il danno non patrimoniale all’attualità nella misura di 30mila euro in favore del coniuge di 20mila euro per ciascuno dei figli, “stante il grado e l’intensità del rapporto di parentela sussistente fra il de cuius e gli istanti, l’età dello stesso, e la mancata deduzione e, ancor più, la mancanza di ulteriori elementi di valutazione”, per citare la sentenza, e considerando per la moglie la circostanza della convivenza, sicché aveva “più intensamente vissuto il dolore per la perdita”.
La sentenza era stata appellata sia dai congiunti della vittima, che contestavano il quantum esiguo del risarcimento, sia delle società assicuratrici dell’azienda sanitaria e del medico, ma la Corte d’Appello di Salerno con pronunciamento del 2017 gli aveva rigettati tutti. Secondo i giudici di seconde cure, gli appellanti, pur avendo invocato l’applicazione delle tabelle di Milano, ne avevano omessa la produzione e, quanto alla liquidazione equitativa del danno, mentre il Tribunale aveva valorizzato il diverso grado ed intensità del rapporto parentale nonché l’età del defunto, sottolineando altresì la mancanza di deduzione di ulteriori elementi di valutazione, essi non avevano articolato alcuna specifica doglianza idonea a contrastare la ratio della decisione, né avevano fornito circostanziate deduzioni in ordine alla natura ed entità dello sconvolgimento delle abitudini familiari di portata diversa da quella considerata dal primo giudice.
I congiunti ricorrono per Cassazione contestando l’obbligo di “produrre” le tabelle milanesi
I congiunti della vittima hanno quindi proposto ricorso anche per Cassazione, obiettando innanzitutto, sulla scorta proprio di una pregressa sentenza della Suprema Corte (n. 392 del 2018), che nel caso di sentenza di appello pronunciata dopo il 7 giugno 2011 era sufficiente l’invocazione dell’applicazione della tabella milanese senza obbligo di produzione della stessa. Motivo che gli Ermellini reputano assolutamente fondato partendo proprio dal passaggio rilevante della sentenza della Cassazione del 7 giugno 2011, n. 12408, “la quale ha condizionato tutta la giurisprudenza successiva in materia di tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale”.
La Suprema Corte accoglie la doglianza e fa chiarezza sulle tabelle di Milano
Affinché il ricorso per cassazione non sia dichiarato inammissibile per la novità della questione posta, affermava quella pronuncia, “non sarà sufficiente che in appello sia stata prospettata l’inadeguatezza della liquidazione operata dal primo giudice, ma occorrerà che il ricorrente si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano; e che, inoltre, nei giudizi svoltisi in luoghi diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono comunemente adottate, quelle tabelle abbia anche versato in atti”.
La successiva giurisprudenza, ricordano i giudici del Palazzaccio, “si è uniformata a tale dictum, affermando che la denuncia in sede di legittimità della violazione delle tabelle diffuse dal Tribunale di Milano è ammessa esclusivamente ove nel giudizio di merito la parte abbia prodotto tali tabelle, o almeno ne abbia allegato il contenuto (anche a mezzo della loro riproduzione negli scritti defensionali conclusionali), al più tardi in grado di appello, ed abbia posto la questione dell’applicazione dei relativi parametri”.
La Suprema Corte, tuttavia, spiega che va chiarita, proprio alla luce della portata della decisione del 2011, “la differenza fra il proporre l’istanza di applicazione delle tabelle e l’onere di produzione o quanto meno di allegazione del contenuto delle tabelle medesime negli scritti defensionali. Le tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale rappresentano la concretizzazione in forma di fattispecie della clausola generale di valutazione equitativa del danno di cui all’art. 1226 cod. civ.. La conversione della clausola generale in ipotesi standardizzate, alla stessa stregua di fattispecie, risponde all’esigenza di preservazione dell’uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del fondamentale principio di eguaglianza. Cass.n. 12408 del 2011 ha riconosciuto che garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono. Attraverso il sistema del punto variabile per la misura del risarcimento a seguito di danno biologico, la tabella elaborata dall’ufficio giudiziario, per astrazione dalle sentenze di merito monitorate, definisce un complesso di caselle entro le quali sussumere il caso, analogamente a quanto avviene con la tecnica della fattispecie, in funzione dell’uniforme risoluzione delle controversie”.
Il danneggiato deve dedurre in giudizio la richiesta della liquidazione mediante tabella
Pertanto, proseguono gli Ermellini, l’omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano ha comportato, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, “l’integrazione della violazione dell’art. 1226 cod. civ. per la corrispondenza del precipitato tabellare delle prassi giurisprudenziali, elaborato da quell’ufficio giudiziario, alla corretta interpretazione della clausola di valutazione equitativa del danno. Essendo equivalenti alla morfologia della fattispecie legale, le tabelle constano di un elemento materiale, costituito dalla circostanza fattuale del punto d’invalidità, e di un elemento formale, rappresentato dal valore monetario. La giurisprudenza di questa Corte richiede che il parametro delle tabelle sia invocato nei gradi di merito perché la liquidazione del danno mediante tabella non corrisponde ad una mera qualificazione ma, avendo la tabella una portata equivalente alla fattispecie e costituendo essa l’alternativa alla clausola generale di cui all’art. 1226, presuppone che l’elemento materiale del danno corrispondente al punto di invalidità sia stato dedotto in giudizio, mediante per l’appunto l’invocazione dell’applicazione delle tabelle. Stante il rimedio alternativo della concretizzazione giudiziale della clausola generale, la parte attrice, se mira alla liquidazione del danno mediante tabella, è tenuta a dedurre in giudizio il danno così come standardizzato in forma di tabella, alla stessa stregua della fattispecie da allegare con la domanda”.
Non sarà invece così per la tabella unica nazionale di cui all’art. 138 cod. assicurazioni, che però, com’è noto, non è stata ancora adottata. Dal momento della sua adozione, spiega la Cassazione, la tabella nazionale sarà “l‘esclusiva forma di liquidazione del danno non patrimoniale, senza che la clausola generale dell’art. 1226 possa conservare una valenza residuale. E’ sufficiente quindi per l’attore allegare il danno non patrimoniale: sarà poi compito del giudice, stavolta in sede puramente qualificatoria, fare applicazione della tabella unica nazionale”.
L’allegazione materiale delle tabelle, invece, è ormai superata dalla loro diffusione
Dunque, ricapitolano gli Ermellini, la giurisprudenza di legittimità richiede non solo che l’applicazione delle tabelle sia stata invocata nei gradi di merito, ma anche che “nei giudizi svoltisi in luoghi diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono comunemente adottate, le tabelle siano state versate in atti, mediante deposito o riproduzione negli scritti difensionali. Le tabelle non sono una fonte di diritto che il giudice è tenuto a conoscere in virtù del potere di qualificazione giuridica dei fatti. Esse tuttavia, quale monitoraggio della giurisprudenza di merito sul danno non patrimoniale ed estrazione da essa di parametri standard per la relativa liquidazione, integrano il diritto vivente se acquistano, come nel caso delle tabelle del Tribunale di Milano, la valenza di determinazione del danno non patrimoniale conforme a diritto”.
Bisogna però considerare, aggiunge la Cassazione, che, quando nel 2011 la stessa Suprema Corte aveva enunciato l’esistenza dell’onere di produzione in giudizio, le tabelle milanesi, pur ampiamente già diffuse sul territorio nazionale (ed anche a motivo di ciò da adoperare ai fini dell’uniforme liquidazione del danno), “non erano comunque comunemente adottate in tutti gli uffici giudiziari. Da ciò la necessità di riversarle in atti, ove se ne invocasse l’applicazione”.
Ma il decennio da allora trascorso, “che ha consolidato il diritto vivente in termini di utilizzo delle tabelle milanesi quale parametro di liquidazione del danno non patrimoniale basato sul sistema del punto variabile, impone di presumere non solo che l’assoluta prevalenza degli uffici giudiziari abbia adottato nella propria giurisprudenza le tabelle in discorso, ma anche che le tabelle siano facilmente accessibili mediante i comuni mezzi di comunicazione, ed in primo luogo i mezzi informatici. Più in generale, l’informatica giuridica è ormai mezzo universalmente diffuso per l’accesso alle tabelle in generale di liquidazione del danno patrimoniale adoperate dagli uffici giudiziari, non solo quindi quelle milanesi (ad esempio, a parte le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, quelle adottate dal Tribunale di Roma)”.
La Suprema Corte conclude quindi che si può considerare “onere necessario e sufficiente per la parte quello dell’istanza di liquidazione del danno patrimoniale non mediante la clausola generale dell’art. 1226 ma mediante le tabelle. Sarà poi il giudice, sulla base della domanda, ad applicare la liquidazione tabellare conforme a diritto”.
Tabelle milanesi inadatte a liquidare il danno da perdita del rapporto parentale
Ma con l’occasione, trattandosi nella specie di danno da perdita di rapporto parentale, il Collegio ha inteso anche dare continuità alla recente sentenza della Suprema Corte del 21 aprile 2021, n. 10579, che aveva affermato questo principio di diritto: “al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”. Le tabelle milanesi, ribadiscono i giudici del Palazzaccio, “non rispondono ai requisiti indicati in punto di perdita di rapporto parentale, come rilevato dalla stessa Cass. n. 10579 del 2021”.
I principi di diritto
La sentenza impugnata è stata dunque cassata, ma nel giudizio di rinvio il giudice di merito, chiariscono gli Ermellini, “dovrà sì liquidare il danno non patrimoniale sulla base di tabella, conformemente alla domanda della parte danneggiata, ma facendo applicazione non delle tabelle milanesi, le quali restano conformi a diritto salvo che per la liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale, bensì di altre tabelle che rispondano ai requisiti sopra indicati”.
In conclusione pertanto la Suprema Corte enuncia i seguenti principi di diritto: “ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il criterio tabellare il danneggiato ha esclusivamente l’onere di fare istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto”; “al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella“.
La motivazione delle sentenze deve essere chiara e argomentata
Per inciso, la Suprema Corte ha accolto anche il secondo motivo di doglianza dei familiari della vittima, i quali lamentavano che, nella liquidazione operata dal Tribunale, non vi era stato ancoraggio a parametri obiettivi, da cui il carattere arbitrario della decisione, e che non era dato di comprendere da dove siano emersi i valori monetari indicati.
“Nella valutazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. la motivazione – asseriscono gli Ermellini – non è solo forma dell’atto giurisdizionale imposta dalla Costituzione e dal codice processuale, ma è anche sostanza della decisione, perché la valutazione equitativa, nella sua componente valutativa, si identifica con gli argomenti che il giudice espone. Gli argomenti (così come quando si bilanciano principi costituzionali) coincidono con la valutazione. Valutare è argomentare. L’argomentazione è la procedura che mira ad assicurare il più esteso esame delle circostanze del caso. Una liquidazione equitativa del danno, priva di specifica motivazione, è pertanto violazione non solo della legge processuale, ma anche dell’art. 1226, perché ciò che difetta è non solo la motivazione, ma anche la valutazione”.
Come detto, il giudice di appello aveva confermato la decisione di primo grado, che aveva dedotto dal grado ed intensità del rapporto parentale, unitamente alla circostanza dell’età del defunto ed a quella della convivenza quanto al coniuge, la quantificazione del danno all’attualità nella misura di 30mila euro in favore del coniuge e di 20mila euro per ciascuno dei figli. “Il punto correttamente censurato con l’atto di appello, e non colto dal giudice di appello che ha rilevato l’assenza di una specifica doglianza – conclude la Cassazione -, è la mancanza di un passaggio logico fra le circostanze evidenziate e gli importi identificati. Ciò che resta privo di motivazione, e che rende quindi apparente quella resa nel provvedimento, è il perché di quei determinati importi, poste in premessa le circostanze evidenziate. La lacuna motivazionale è sull’inferenza degli importi dai presupposti dati. Sul punto quindi della quantificazione del danno la motivazione è meramente apparente”. Dunque, sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.