L’onere probatorio negli infortuni scolastici
Anche se in questa primavera del 2021 la maggior parte delle scuole sono malinconicamente vuote a causa della pandemia da Covid, con gli studenti in “didattica a distanza”, gli infortuni scolastici rappresentano sempre una delle tipologie più frequenti degli incidenti che capitano ai minori. Ma in questi casi cosa devono fare i genitori dell’alunno infortunato per essere risarciti?
Indicativa al riguardo è la sentenza n. 7410/21 depositata il 17 marzo 2021 con la quale la Cassazione ribadisce un principio fondamentale a tutela del danneggiato, al quale è sufficiente dimostrare che il fatto storico è accaduto, e cioè che l’infortunio si è verificato nel plesso scolastico e durante l’orario di lezione nel quale il minore era affidato alla custodia dell’istituto: sarà quest’ultimo, per andare esente da responsabilità, a dover addurre la cosiddetta prova liberatoria, e cioè che l’incidente non è imputabile a propri difetti di vigilanza o di organizzazione.
I genitori di un alunno caduto a scuola citano in causa l’istituto per essere risarciti
Un principio che evidentemente non è ancora ben chiaro neppure tra i tribunali di merito se è vero che due genitori sono dovuti arrivare fino in Cassazione per far valere le proprie ragioni.
Il padre e la madre di un alunno avevano citato in causa l’istituto religioso che gestiva la scuola privata di Pompei frequentata dal figlio chiedendo il risarcimento dei danni che quest’ultimo si era procurato cadendo mentre scendeva le scale del piano dell’edificio in cui era ubicata la sua aula.
Il tribunale di Torre Annunziata, tuttavia, aveva rigettato la domanda e la decisione era stata confermata, con sentenza del 2017, anche dalla Corte d’Appello Di Napoli. I giudici di secondo grado avevano ritenuto correttamente instaurato il contraddittorio nei confronti dell’ente giuridico costituitosi in giudizio, che aveva a sua volta chiamato in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la compagnia Allianz, così come la qualificazione della natura contrattuale della responsabilità dell’ente scolastico, obbligato ad adottare tutte le misure organizzative e disciplinari necessarie a garantire la incolumità dell’allievo durante il tempo in cui questi è affidato alla cura degli insegnanti.
Tuttavia, la Corte territoriale aveva ritenuto infondata la pretesa risarcitoria, in quanto la parte danneggiata non aveva fornito prova delle modalità circostanziali in cui si erano verificati i fatti allegati nell’atto di citazione.
Il ricorso per Cassazione: denunciata l’inversione dell’onere probatorio
Di qui dunque il ricorso per Cassazione da parte dei genitori del minore che hanno censurato in primis l’errata applicazione da parte dei giudici del criterio di riparto dell’onere probatorio: era infatti risultato provato che il danno si era verificato durante lo svolgimento del rapporto con l’Istituto scolastico, e quest’ultimo non aveva fornito la richiesta prova liberatoria.
La Corte territoriale, invece, ancorando la decisione all’inefficacia probatoria delle dichiarazioni rese dal teste assunto in istruttoria, che non aveva materialmente visto cadere l’alunno, ma solo che questi veniva soccorso da altri compagni, e che non aveva indicato su quale scala il minore sarebbe caduto, avrebbe operato un’indebita inversione dell’onere probatorio, dato che l’ente scolastico, nella comparsa di risposta in primo grado, non aveva contestato la dinamica del sinistro, avendo soltanto allegato che “il minore si apprestava ad uscire dalla scuola”.
I ricorrenti hanno dunque battuto sul principio di diritto che pure il giudice di appello aveva richiamato correttamente in ordine al riparto dell’onere della prova nella specifica materia, secondo cui, in considerazione della natura contrattuale del rapporto che si instaura tra genitori dell’alunno ed istituto che eroga il servizio scolastico, va posto a carico della parte danneggiata solo la dimostrazione dell’evento di danno e delle circostanze di fatto idonee ad accertare che lo stesso si è verificato durante il periodo in cui l’allievo era affidato alla vigilanza dei docenti, trovandosi all’interno del plesso scolastico, mentre deve porsi a carico dell’istituto scolastico la prova che il fatto non è imputabile a difetto di diligenza nella prestazione di vigilanza, o ad inefficienti misure organizzative e di prevenzione volte ad evitare la situazione di pericolo, e dunque che l’evento si connota per la impossibilità di un efficace intervento di contrasto in quanto la condotta dell’alunno risulta imprevedibile e repentina.
Nonostante questo richiamo, tuttavia, la Corte d’Appello era pervenuta “illogicamente” a ritenere che sulla parte danneggiata venisse a gravare la prova della esatta ricostruzione della dinamica del sinistro, ossia della modalità del suo accadimento, pur essendo quest’ultimo incontestato nella sua storicità di evento dannoso, ed anche della rappresentazione dello stato dei luoghi in cui il sinistro era successo, così da consentire la verifica di eventuali carenze organizzative imputabili all’Istituto scolastico.
Era la scuola a dover addurre la “prova liberatoria”
Doglianze che la Suprema Corte reputa fondate. La Corte d’appello, convengono gli Ermellini, ha infatti correttamente individuato il riparto dell’onere probatorio, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, “attribuendo alla parte danneggiata la dimostrazione del fatto storico che non si esaurisce nella lesione (accertata dal Ctu) e nella verifica medico-legale condotta alla stregua dei criteri di compatibilità del fenomeno rilevato con il fattore causale “allegato” (criterio topografico, dell’efficienza quali-quantitativa, eziologico o dell’idoneità lesiva), ma si estende anche alla individuazione del tempo e del luogo in cui il sinistro si è verificato, atteso che in tanto è ravvisabile un inadempimento dell’Istituto scolastico alla obbligazione di vigilanza sulla sicurezza e la incolumità degli alunni minorenni affidati agli insegnanti, in quanto l’alunno permanga nella situazione di affidamento e dunque nella sfera di controllo dell’ente obbligato alla prestazione”: questa circostanza fattuale, aggiunge la Suprema Corte, è presunta finché l’allievo si trattiene entro il plesso scolastico o nelle sue pertinenze, mentre può estendersi anche là dove il minore fuoriesca dal plesso scolastico e dalle sue pertinenze, “se venga in concreto accertato che lo stesso non era stato ri-affidato ad altro adulto, ma continuava ad essere sottoposto a sorveglianza da parte dell’insegnate od altro dipendente scolastico”.
Nello specifico, dunque, il Giudice di merito, dopo avere correttamente richiamato il principio di diritto in ordine al riparto probatorio, “ha – contraddittoriamente – affermato che il danneggiato non aveva fornito alcuna prova della ricostruzione della dinamica del fatto, rilevando che l’unico teste escusso non era stato in grado di riferire le modalità in cui si erano svolti i fatti, non avendo assistito al sinistro, ma avendo visto soltanto l’alunno già caduto in terra e soccorso dai compagni senza specificare se fosse o meno caduto dalle scale: in mancanza di rappresentazione fotografica dei luoghi non era dato, quindi, verificare l’eventuale mancanza di misure organizzative idonee ad evitare l’insorgere di una situazione di pericolo”.
“Risulta evidente – proseguono i giudici del Palazzaccio – come alla astratta affermazione in diritto, secondo cui il mero fatto del pregiudizio subito dall’alunno all’interno del plesso scolastico onera l’Istituto a fornire la prova della non imputabilità a colpa dell’inadempimento, ovvero che questo si è verificato per un fatto esterno imprevedibile o per impossibilità sopravvenuta non determinata dalla condotta dell’obbligato, è seguita una illogica applicazione della regola del riparto dell’onere probatorio, in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto, anziché dare rilievo, a carico del danneggiato, all’incertezza sul modo della dinamica del fatto (avendo questi assolto alla dimostrazione che mentre era all’interno del plesso scolastico aveva subito il danno), quanto piuttosto verificare se il danneggiante avesse omesso di adempiere alla dimostrazione, richiesta dall’art. 1218 c.c., di avere correttamente assolto alla prestazione di vigilanza o che non fosse stato possibile adempiere a tale prestazione per fatto oggettivo non riferibile a causa imputabile all’Istituto“.
Essendo dunque la sentenza impugnata affetta nella motivazione da “insanabile contraddittorietà”, la Suprema Corte l’ha cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.